Gente di montagna

Carlalberto “Cala” Cimenti

“Quando il vento soffia forte contro di te, tu cerca un lato riparato, troverai sempre il sole a riscaldarti.”

Cala Cimenti

Se n’è andato in un giorno qualsiasi l’unico snowleopard italiano. Carlalberto “Cala” Cimenti, amava la vita, la sua Erika e la sensazione delle neve sotto gli sci. Negli anni aveva affinato la sua passione per la montagna divenendo uno sciatore estremo, cercava il ripido e l’altissima quota. La vita gli ha regalato ascensioni in tutto il mondo, dall’Africa al sud America, dalle Alpi all’Himalaya.

La vita

Nato il 14 febbraio 1975 la vita di Cala Cimenti si è presto legata alla montagna, scoperta grazie al padre Charlie. Durante l’adolescenza pratica ciclismo a livello agonistico, disciplina che non abbandona nemmeno in età adulta e che riscopre negli ultimi anni: nell’estate 2020 immagina un viaggio a pedali attraverso l’Italia.

All’inizio degli anni Novanta consegue la laurea in Lettere all’Università di Torino.

Nella primavera 2018 si sposa con Erika, anima gemella a cui chiede la mano davanti allo spettacolo delle montagne himalayane.

Nel marzo 2020 vive in prima persona la terribile esperienza del Coronavirus.

Pochi giorni prima del suo 46esimo compleanno se lo porta via una valanga in Valle di Susa. Con lui si trovava l’amico Patrick Negro.

Lascia l’amata moglie e una figlia, Alice.

L’alpinismo

Avvicinatosi alla montagna da piccolissimo, a soli 12 anni è già in cima al Monte Bianco. Nel giro di poco, grazie al padre, i suoi orizzonti si allargano alle montagne del mondo con avventure incredibili. Durante l’adolescenza scala l’Ojos del Salado, il vulcano più alto del mondo, il Kilimangiaro e diverse cime di seimila metri in Nepal.

A 30 anni incontra gli Ottomila, capisce che non sono così distanti. Nel 2005 sale il Cho Oyu, aprendo un nuovo capitolo della sua vita che l’avrebbe portato verso lo sci in altissima quota. Prima però scala l’Ama Dablam (6812 m) in pieno periodo monsonico, impiegando solo 13 ore e 40 minuti per andare dal campo base alla vetta. Quando fa ritorno al campo base sono passate 26 ore dalla sua partenza.

Nel 2011 vive la sua prima esperienza con le assi a quota ottomila, sul Manaslu.

Tra il 2013 e il 2015 si dedica al progetto Snow Leopard, premio alpinistico sovietico (ancora riconosciuto nella Comunità degli Stati Indipendenti) concesso agli alpinisti che riescono a salire tutti i 5 Settemila che si trovano nel territorio dell’ex Unione Sovietica. Nell’estate 2013 Cala parte per la Russia con l’obiettivo di completare il progetto in due mesi. Con se ha anche gli sci. In breve tocca la vetta del Picco Ibn Sina (ex Peak Lenin, 7134 m), del Khan Tengri (7010 m) e del Peak Korjenekaya (7105 m). Sui due rimanenti manca la vetta di poco a causa del maltempo. Nell’agosto 2014 sigla salita e discesa con gli sci del Pik Pobedy (7439 m), è il secondo italiano a farlo. Ci troviamo su montagne remote e poco battute dagli scalatori occidentali. Cime per nulla scontate, dov’è comunque necessario avere un ottimo livello tecnico. L’ultima vetta, quella del Picco Ismail Samani (ex Picco del Comunismo, 7495 m), gli riesce il 19 agosto 2015.

Nella primavera 2017 eccolo ricomparire ad altissima quota, sul Dhaulagiri che scende con gli sci da settemila metri. Nel 2018 è in Pakistan, sul Laila Peak, cerca la prima discesa assoluta, ma purtroppo viene anticipato di qualche giorno da una spedizione francese. Riesce comunque ad aggiudicarsi la seconda.

Nel 2019 sceglie di affrontare la nona montagna della Terra, Il Nanga Parbat. Sale per la via Kinshofer, sul versante Diamir, e scende con gli sci. Poche settimane dopo raggiunge la vetta dell’inviolato Gasherbrum VII, per poi ridiscenderlo sempre sulle assi. Durante questa discesa il suo compagno di cordata Francesco Cassardo subisce una grave caduta per oltre 500 metri. Cala lancia l’allarme, gli rimane al fianco e lo veglia in attesa dei soccorsi.

Onorificenze

2015 – Premio Snow Leopard

Libri

Sdraiato in cima al mondo, Sperling & Kupfer, 2020

“Cala per me era l’eroe […] mi ricordava quelle figure mitologiche, con una forza e un entusiasmo enormi, capaci di imprese mitiche, ma allo stesso tempo con una sua fragilità e una semplicità che lo rendevano estremamente umano.”

Enzo Cardonatti

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