Montagne

Dhaulagiri

È la più alta cima interamente in territorio nepalese. Con i suoi 8167 metri è il settimo Ottomila per altezza. Il suo nome, Dhaulagiri, deriva dal sanscrito è significa “montagna bianca”. Per l’esattezza trova origine dalle parole “dhawala” – bianco, bello – e “giri” – montagna –.

Geografia

Il Dhaulagiri non è una singola montagna, ma un grande massiccio che si estende per oltre 120 chilometri. È delimitato a nord e sud-ovest dagli affluenti del fiume Bheri, mentre a sud-est dal Myagdi Khola. Le sue pareti appaiono verticali coprendo nell’arco di poco dislivelli di oltre quattromila metri.

Sono dieci le cime che compongono il massiccio: Dhaulagiri I (8167 m); Dhaulagiri II (7751 m); Dhaulagiri III (7715 m); Dhaulagiri IV (7661 m); Dhaulagiri V (7618 m); Churen Himal (7385 m); Churen Himal (7371 m); Churen Himal (7371 m); Dhaulagiri VI (7268 m); Putha Hiunchuli (7246 m); Gurja Himal (7193 m).

Storia

Scoperta nei primi anni dell’Ottocento a un primo esame del Trigonometrical Survey apparve come la più alta montagna mai osservata. Per una trentina d’anni il Dhaulagiri fu considerato il più alto monte al mondo, questo fino al 1838 quando venne osservato e misurato il Kangchenjunga che prese il suo posto fino al 1856, anno in cui fu decretato che la più alta elevazione al mondo fosse senza dubbio quella dell’Everest.

Il primo approccio alla montagna, con l’intento di trovarvi un passaggio per la vetta, avvenne nel 1950 da parte della spedizione francese guidata da Maurice Herzog che poco dopo sarebbe riuscita a violare l’Annapurna, il primo Ottomila salito dall’uomo. Tra il 1953 e il 1958 altre cinque spedizioni tentano la salita della montagna, passando per il versante nord. Nel 1959 gli austriaci, guidati a Fritz Moravec, provano la salita lungo la cresta nord-est identificando un possibile accesso alla vetta.

La prima ascensione

Siamo nella primavera del 1960 quando una spedizione svizzero-austriaca capitanata da Max Eiselin è pronta a partire per il Dhaulagiri. Del gruppo fanno parte Peter Diener, Ernst Forrer, Albin Schelbert e il primo salitore del Broad Peak Kurt Diemberger. A loro si uniscono poi gli sherpa Nyima Dorji and Nawang Dorji.

Si trattò di una spedizione innovativa, sotto alcuni punti di vista. Per la prima volta si decise di gestire la logistica del trasporto al campo base utilizzano un piccolo aeromobile battezzato “Yeti”, velocizzando così il trasporto prima affidato alle gambe e al fiato dei portatori. Una decisione sicuramente interessante, ma che ben presto presentò i conti agli organizzatori. L’aereo fu in grado di portare al Dapa Col viveri, materiali e alpinisti e dopo aver posato Diemberger ed Ernst Forrer al colle nord-est della montagna si preparò per il volo di rientro alla base per recuperare gli ultimi componenti ma le cose non andarono secondo i piani. Durante le operazioni di decollo si ruppe la cloche portando a un rovinoso schianto contro i fianchi del Dhaulagiri. Fortunatamente i piloti riuscirono a uscirne illesi mentre per il piccolo areo non ci fu nulla da fare e gli altri membri della spedizione dovettero mettere gli zaini in spalla e raggiungere la montagna a piedi. Per il resto fu una spedizione tranquilla e senza particolari intoppi. Nelle settimane successive l’arrivo al campo base gli alpinisti lavorarono sulla montagna preparando la via di salita con corde fisse e campi quindi tentarono la vetta. Un’ascesa leggera, senza portatori d’alta quota e senza bombole d’ossigeno. Ci provarono una prima volta il 4 maggio, ma i venti in quota respinsero l’attacco. Il 12 maggio ripartirono per i campi alti, il 13 diedero via all’attacco di vetta e ci riuscirono. Sul punto più alto giunsero Kurt Diemberger, Peter Diener, Ernst Forrer, Albin Schelbert e Nawang Dorje e Dorji.

Prima invernale

Nell’inverno 1984/1985 i polacchi decisero di tentare l’invernale al Dhaulagiri. A guidare la spedizione era Adam Bilczewski mentre del gruppo facevano parte nomi di primordine come Jerzy Kukuczka, che in quella stagione si promise l’importante obiettivo di due salite nella stagione fredda: dopo aver messo piede sul Dhaulagiri si sarebbe infatti spostato al campo base del Cho Oyu per tentare anche questo prima del 21 marzo.

La spedizione raggiuse il campo base nei primi giorni di dicembre, Kukuczka qualche settimana dopo. Nel mese di dicembre gli alpinisti non riuscirono a lavorare molto sulla montagna, sia per problemi di acclimatazione, sia per le difficoltà ambientali dovute alla stagione. I primi giorni di gennaio furono però ben sfruttati per portare avanti le operazioni di preparazione della linea di salita e in breve riuscirono anche a fare un tentativo di vetta. Salirono Kukuczka, Andrzej Czok e Janusz Skorek ma, una volta superata quota ottomila verso le 12, decisero per un saggio rientro verso la propria tenda: troppo tardi per andare in cima e tornare in sicurezza. Un nuovo tentativo partì il 20 gennaio. Di nuovo Kukuczka e Czok. Salirono nella tempesta, fino a circa 7700 metri dove si fermarono per la notte. Il giorno seguente continuarono, con cielo sereno, fino al punto più alto che toccarono intorno alle 16. Ormai il buio era vicino, impossibile rientrare alla tenda. Scesero quanto più in fretta poterono quindi si fermarono a bivaccare in una truna attendendo le prime luci dell’alba per poter proseguire in sicurezza. Due giorni dopo, acciaccati e con qualche congelamento, raggiunsero il campo base, festeggiarono la riuscita della spedizione e si prepararono al rientro.

Qualche settimana dopo Kukuczka festeggiò anche il buon esito della salita invernale al Cho Oyu.

Vie alpinistiche

La principale e più frequentata via di salita al Dhaulagiri è quella seguita dai primi salitori lungo la cresta nord-est.

Nel corso degli anni sono state aperte altre vie alpinistiche sulla montagna.

  • 1978 – In primavera i giapponesi, sotto la guida di Takashi Amemiya, aprono una nuova via sull’inviolato versante sud-ovest. Nel 1975 Amemiya aveva già provato la salita da questo versante, in quell’occasione la spedizione si concluse in tragedia con la scomparsa di sei alpinisti sotto una valanga.
  • 1978 – In autunno i giapponesi, guidati da Seiko Tanaka, aprono una nuova via lungo la cresta sud-est. Spedizione che raggiunge il successo, ma con tragica scomparsa di quattro alpinisti.
  • 1984 – I cecoslovacchi Jan Simon, Karel Jakes e Jaromir Stejskal aprono una nuova via sul versante est. Simon muore durante la discesa.
  • 1988 – I russi Yuri Moiseev e Kazbek Valiev, insieme al cecoslovacco Zoltan Demján, aprono una nuova via lungo il contrafforte sud-ovest.
  • 1993 – Una spedizione composta da scalatori russi e inglesi apre una nuova via sul versante nord.

Salite degne di nota

  • 1976 – Le guide alpine San Martino Primiero effettuano la prima salita italiana al Dhaulagiri.
  • 1980 – Voytek Kurtyka, Ludwik Wiczyczynski, il francese René Ghilini e lo scozzese Alex MacIntyre salgono la parete est fino a raggiungere la cresta nord-est. Costretti a rientrare al campo base da una tempesta ritornano sulla montagna una settimana dopo quando salgono in cima passando per la cresta nord-est.
  • 1981 – Il giapponese Hironobu Kamuro raggiunge la cima in solitaria.
  • 1982 – La belga Lutgaarde Vivijs è la prima donna a raggiungere la cima del Dhaulagiri.
  • 1995 – Anatolij Bukreev realizza la salita al Dhaulagiri nel tempo record di 17 ore e 15 minuti.
  • 1999 – Tomaž Humar riesce nella salita solitaria della parete sud, ma è costretto ad arrestare la sua salita a circa 7300 metri a causa delle pessime condizioni della roccia. Attualmente la parete sud del Dhaulagiri rimane inviolata e rappresenta uno degli ultimi grandi problemi himalayani ancora da risolvere.

Altri eventi storici importanti

Il Dhaulagiri è purtroppo celebre per le tragedie che l’hanno interessato nel corso degli anni. I suoi versanti sono estremamente verticali e insidiosi. Tra gli ultimi sfortunati avvenimenti a noi vicini la scomparsa di Simone La Terra nella primavera 2018.

Guida al Dhaulagiri

Una volta raggiunta Kathmandu, capitale nepalese di grandi fascino, ci si sposta con in bus a Pokhara. Da qui, con un mezzo fuoristrada, si prosegue in direzione del villaggio di Beni e ancora oltre fino a Darbang (1180 m). Lasciato il mezzo e presi gli scarponi inizia il trekking di avvicinamento alla montagna. Otto giorni di cammino, su un sentiero che non sale mai troppo verticale, portano attraverso antichi villaggi. I tremila metri di quota vengono superati solo il quarto giorno, con l’arrivo a Sallagari, quindi non è necessario fare pause di acclimatamento almeno fino a quando non si raggiunge “L’Italian Base Camp” posto a circa 3600 metri di quota. Non siamo ancora al vero campo base, ma è meglio sostare un giorno per permettere al corpo di abituarsi alla nuova pressione. Si procede quindi fino al North Glacier (4300 m) e ancora al vero campo base, a quota 4740 metri.

Negli ultimi giorni di cammino sarà impossibile distogliere lo sguardo prima dalla parete ovest e poi dalla cresta nord-est del Dhaulagiri che si sveleranno a noi in tutta la loro bellezza ed eleganza.

Per chi fosse interessato a vivere questa esperienza di trekking, o alla scalata dell’Ottomila, è necessario prevedere il pagamento dei permessi di accesso ai parchi nazionali ed eventualmente l’ottenimento del permesso di scalata per poter raggiungere la vetta. L’organizzazione del trekking o della spedizione è possibile farla in autonomia, oppure appoggiandosi ad agenzie specializzate, ne esistono molte sia in Italia che in loco.

Il Dhaulagiri nei libri

Tra zero e Ottomila, di Kurt Diemberger, HOEPLI, 2020

Il Dhaulagiri nella filmografia

Dhaulagiri, ascenso a la montaña blanca, di C. Harbaruk e G. Glass, 2017

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