“Tra zero e ottomila”, nuova edizione per il best seller di Kurt Diemberger
Uscito per la prima volta nel 1970 “Tra zero e ottomila” di Kurt Diemberger torna oggi in libreria come testo della collana Stelle Alpine di Hoepli. Il volume, oggi cinquantenne, è oggi una pietra miliare nella letteratura di montagna. Racconta la storia di un’epoca in cui nulla era a portata di mano. Parla di Diemberger, l’ultimo alpinista in vita ad aver scalato due Ottomila in prima assoluta, per definirlo in modo didascalico. Racconta di un alpinismo fatto con mezzi diversi e con tanta passione. Con curiosità, si capisce scorrendo le pagine.
Rileggerlo oggi, con un occhio più attento permette di cogliere l’incanto di Kurt di fronte alle cose belle della natura, lo stupore che ancora oggi lo accompagna alla vista dei monti. Esce fuori anche la puntigliosità con cui segue i lavori editoriali. Una nota in apertura dell’ultimo capitolo è emblematica di questo. “Quando scrissi questo libro, nel 1970, impiegai un’intera estate a comporre questo capitolo”. Non pensava che sarebbe stato necessario aggiungere quelle ultime pagine, all’inizio. Poi diventò una parte fondamentale del racconto, un testamento per i giovani.
Ad aiutare lo scalatore austriaco nel suo viaggio tra i ricordi, necessario per editare la nuova versione del libro, il giornalista e storico d’alpinismo Roberto Mantovani. I due hanno lavorato insieme per lungo tempo, già prima di questo lavoro. È infatti lui a firmare l’introduzione al volume elogiandone una dote inconsueta per i testi di avventura e alpinismo: la capacità di non invecchiare. Aggiungendo poi, in conclusione, che “per i cultori della storia e della letteratura dell’alpinismo, sarà l’occasione per iniziare un nuovo viaggio di scoperta e di esplorazione tra pagine appassionanti”.
Roberto, cos’è che rende così attuale “Tra zero e ottomila”, oggi alla sua quarta edizione?
“Kurt è un ottimo scrittore, racconta molto bene le vicende senza utilizzare lo stile classico delle narrazioni alpinistiche. In questo forse è stato aiutato dalla diversa cultura di provenienza.
Con questo volume ha saputo cambiare l’impostazione della narrazione alpinistica. Ha portato una ventata di aria fresca, un po’ com’è stato sulla fine deli anni Ottanta con Reinhard Karl. Due modi di scrivere diversi, ma stesso effetto.”
Quali i punti forti della narrazione di Kurt?
“Kurt ha questa capacità di restituirti una realtà non banale e, al contempo, riesce a mostrarti cose di cui non ti sei mai accorto. È come se di fronte a un panorama ti riuscisse a rendere la realtà più vivida.”
Fu un successo fin dall’inizio?
“Si, già nel 1970. L’impianto era quello tradizionale: raccontava la sua iniziazione ad alpinista, di quando da ragazzino si muoveva in cerca di cristalli. Poi gli Ottomila e le grandi esperienze che l’hanno portato in giro per il mondo.
In quella prosa c’era però qualcosa di nuovo che affascinava e che ha contribuito a trasformare il volume in un evergreen. Un testo incapace di invecchiare.”
È attuale ancora oggi, a 50 anni dalla prima pubblicazione?
“Sono stati aggiunti alcuni capitoli, è cambiato l’ordine della narrazione. Sono state sistemate alcune piccole lacune narrative su cui Kurt ha riflettuto per anni. Il risultato è un libro che merita di essere letto perché contiene spunti narrativi interessanti. Merita di essere letto soprattutto dai più giovani che non hanno avuto modo di prendere in mano la prima edizione. È una lettura fondamentale per la formazione culturale alpinistica.
È particolare come il racconto di Kurt, pur avendo riferimenti storici precisi, sembri fuori dal tempo. Parla dello schianto dello Yeti (nome con cui venne chiamato un piccolo aeromobile PC-6 che nel maggio del 1960 si schiantò a una quota di 5600 metri alle pendici del Dhaulagiri, nda), racconta le sue avventure in bici. Cose che sembrano capitate ieri, leggendo. È un modo di vedere le cose e di raccontarlo completamente nuovo, coinvolgente, simpatico. Il risultato è una narrazione equilibrata, che mostra una sensibilità non comune da parte del narratore.”
Diemberger arriva da una cultura alpinistica di stampo tedesco, sfogliando il libro si nota però come non segua la stessa filosofia eroica…
“Attraverso le sue parole Kurt apre le finestre su un mondo per noi lontano, quello dell’alpinismo austro-tedesco. Un mondo di grandi appassionati dove l’autore mostra un punto di vista diverso da quello tradizionale di lingua tedesca in cui la lotta dell’alpinista contro la natura è sempre stata esaltata e decantata.
Kurt ha si un atteggiamento romantico, ma di incanto. Non c’è mai lotta contro la montagna, ma stupore e fascino. Questo perché, prima di essere un alpinista, è un cercatore di cristalli. E sono sicuro che quando è andato a scalare la grande meringa di ghiaccio al Gran Zebrù, lui l’abbia fatto con la curiosità di andare a capire cos’era, com’era fatta. È particolare osservare come ancora oggi, a 88 anni, camminando insieme lui sia capace di mostrarti dettagli che a te sarebbero passati del tutto inosservati. Vive con la stessa curiosità di un ragazzino alla scoperta del mondo.”