AlpinismoAlta quota

“Revers Gagnant”. Una via da sogno per Symon Welfringer sul Sani Pakkush

Tra le poche salite himalayane della stagione autunnale, l’ascesa in stile alpino realizzata sul Sani Pakkush (6953 m), in Pakistan, dai francesi Symon Welfringer e Pierrick Fine, è certamente meritevole di nota. Una avventura vissuta nel silenzio mediatico fino al ritorno alla civiltà. “Abbiamo vissuto un sogno che non dimenticheremo tanto presto – scrive Welfringer dopo aver portato a termine, tra il 16 e il 20 ottobre, quella che probabilmente è la seconda salita della montagna, dopo la prima del luglio 1991 ad opera di un team tedesco – . Questo sogno ora ha un nome: Revers Gagnant (2500m / 90° / M4+ / WI4+)”.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da Symon Welfringer (@symon9v)

La terapia della felicità

“Terapia della felicità”. Così Symon Welfringer ha deciso di intitolare il racconto della salita sui suoi canali social.

“Il 19 ottobre, attorno alle 2 del pomeriggio, insieme a Pierrick Fine, finalmente ho raggiunto la vetta del Sani Pakkush. Abbiamo affrontato 4 giorni di salita lungo i 2500 metri della grandiosa parete Sud. Abbiamo attraversato terreni differenti, passando da pendii infiniti e stancanti ricoperti di neve a passaggi più tecnici di misto e arrampicata su ghiaccio”.

Il nome con cui è stata ribattezzata la via, Revers Gagnant (trad. battuta d’arresto vincente), “fa riferimento al fatto che ci siamo messi in gioco contro ogni probabilità di vittoria, scegliendo di partire per il Pakistan, senza grandi riflessioni, in una stagione che si presupponeva sarebbe stata negativa per l’alpinismo. Al contrario abbiamo incontrato delle condizioni meteo fantastiche durante tutta la salita, e per fortuna la nostra parete era esposta a Sud, perché le temperature sono scese parecchio, fino a -30°C durante la notte”, spiega Symon.

Quattro giorni di fatica

“Dopo una partenza alle 2 del mattino dal campo base il primo giorno, ci siamo trovati a fronteggiare le prime difficoltà a quota 5000 m, proprio all’attacco della parete, a causa di alcuni passaggi su ghiaccio. Poi abbiamo proseguito su terreni più facili di neve e misto. A circa 5600 m abbiamo affrontato uno dei tiri più duri M4+/M5 fino a raggiungere una piccola piattaforma e goderci uno scomodo bivacco”, prosegue il francese.

“Il secondo giorno ci siamo impegnati per salire ancora un po’ lungo la parete e abbiamo affrontato due tiri spettacolari di puro ghiaccio. A circa 6200 m ci siamo ritrovati alla ricerca disperata di un punto per bivaccare ma non siamo riusciti a trovarlo. Alla fine abbiamo deciso di attendere l’alba seduti su una roccia. Il terzo giorno, veramente esausti dopo quei 2 tremendi bivacchi, abbiamo deciso di posizionare la tenda a 6400 m sulla cresta sommitale, dove abbiamo incrociato un simpatico e confortevole crepaccio per riposarci adeguatamente.

Il 19 ottobre abbiamo deciso di tentare la vetta senza quasi attrezzatura. Abbiamo lasciato il nostro bivacco per affrontare gli ultimi 500 metri sulla cresta innevata. Il cambiamento continuo di qualità della neve ha reso sempre più dura la salita, ma dopo 7 ore di fatica, talvolta sprofondando nella neve morbida, abbiamo raggiunto la cima. Alle 2 del pomeriggio, totalmente distrutti, siamo arrivati a 6953 metri”.

Per la discesa è stato necessario un altro giorno di fatica. “Nel tardo pomeriggio del 20 ottobre eravamo sani e salvi al campo base, ormai privi di ogni energia ma carichi di emozioni”. 

L’esprit de cordée alla base del successo

Symon si lascia andare ad una riflessione emotiva, che appare come un sentito ringraziamento all’amico che lo ha accompagnato in questa impresa da sogno: Pierrick Fine.

“Attorno ai 6900 metri mi sentivo esausto, ma la mia mente era ancora attratta dalla vetta. Ogni passo conta, sei focalizzato sul respiro, perchè si mantenga calmo e regolare. Ogni singolo movimento è stancante. In tali momenti comprendi quanto sia importante avere accanto a sé la giusta persona. Pierrick possiede differenti competenze e questa è stata la chiave del nostro successo. Lui ha fatto da guida nei passaggi più tecnici ma per certo ha dato il massimo al di sopra dei 6500 metri, dove si è dimostrato sempre più forte man mano che l’altitudine aumentava. ‘L’esprit de cordée’, lo spirito di cordata, come diciamo in francese, la complicità tra due amici legati da una corda. Partire per una spedizione grande e impegnativa con un solo compagno di squadra è per certo più rischioso. Ma se le cose vanno bene, si crea un legame davvero speciale tra i due. Questo è ciò che ho vissuto con Pierrick”. 

Tags

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close