Gente di montagna

Jean-Christophe Lafaille

“La cosa più importante è l’aspetto mentale. Tutte le vie difficili richiedono concentrazione, motivazione e quindi sviluppano lo ‘spirito’. Mi piace lo ‘spirito’ della montagna.”

Jean-Christophe Lafaille

Guida alpina e alpinista himalayano, il francese Jean-Christophe Lafaille era uno di quei talenti che nascono raramente. Con le sue salite estreme, sia sulle Alpi che sulle più alte montagne della Terra, ha dimostrato di essere la più concreta promessa alpinistica dell’ultimo decennio del ventesimo secolo.

Garante internazionale di Mountain Wilderness di lui, scomparso prematuramente sul Makalu, ci rimangono oggi vie audaci e ricche. Pennellate di un artista su roccia e ghiaccio, indelebili, a raccontare la storia di un talento fuori dal comune.

La vita

Jean-Christophe Lafaille nasce a Gap, centro del dipartimento delle Alte Alpi. Chi cresce qui, ha un contatto quasi naturale con la montagna: le vede ogni giorno e prima o poi è naturale cercare di raggiungerle.

Lafaille si avvicinò al mondo delle terre alte che ancora era un bambino, iniziando a praticare l’arrampicata a 7 anni. Il giovane francese dimostrò fin da subito un grande talento naturale per la disciplina, tanto da iniziare in breve con l’agonismo. Nel corso dell’adolescenza focalizzò la sua attività sulle falesie di Céüse, uno dei più noti e rinomati siti d’arrampicata francesi, contribuendo all’apertura di nuove vie e a diffonderne la conoscenza oltre i confini nazionali. Fu proprio su queste pareti calcaree che nel 1989 Lafaille mise a segno la sua prima importante realizzazione: il free solo di Le privilège du serpent (7c+).

Qualche anno dopo prese il patentino di guida alpina, divenendo quindi un professionista della montagna e spostando la sua attenzione dall’arrampicata all’alpinismo tecnico.

Sposatosi due volte è padre di due figli. Marie, avuta con la prima moglie, a cui il papà ha dedicato una cima di 6350 metri in Himalaya (Mari Ri) e Tom, avuto con la seconda moglie. Anche a lui il Lafaille volle dedicare una delle sue imprese in montagna, a lui è infatti dedicata una nuova via sul Nanga Parbat.

L’alpinismo

L’attività alpinistica di Jean-Christophe Lafaille iniziò verso la metà degli anni Ottanta. Già nel 1985, in febbraio, sul Mont Blanc du Tacul aprì una nuova via sul versante nord-est, la Goulotte Lafaille. Salì solo, su ghiaccio ottimo, disegnando una bella linea in stile classico. Un percorso che oggi conta numerose ripetizioni.

Cinque inverni dopo poi, una grande prima solitaria invernale: la via degli svizzeri sulla sud del Grand Capucin. Poi, nell’agosto del 1990, toccò alla prima solitaria (quarta ascensione) della est del Grand Pilier d’Angle seguendo Divine Providence.

Ancora sul Bianco, nel gennaio del 1991 siglò la prima solitaria invernale della Bonatti-Ghigo sulla est del Grand Capucin. Nell’estate si concentrò invece sul versante est del Mont Maudit dove aprì la via Balade pour Mélanie, un tracciato estremamente tecnico e difficile. Poco dopo tornò sul Grand Pilier d’Angle per realizzarvi la prima salita solitaria. Facendolo aprì una nuova via che forzò lo Scudo sulla est, Un autre monde. Ma non si fermò a questo. Dopo aver portato a termine la salita, sempre solo si spostò sul Pilone Centrale salendolo per un nuovo itinerario, anche questo di estrema difficoltà: via Ecume des jours.

Il 1992 fu l’anno più produttivo per Lafaille. L’8 febbraio salì sul Grand Capucin dove siglò la prima solitaria e prima invernale della via Directe des Capucines. Il giorno dopo salì il Trident del Mont Blanc du Tacul per la via Week-end in Transilvania, realizzandone la prima solitaria invernale. In aprile si spostò sulle Grandes Jorasses dove tracciò un nuovo percorso, Le chemin des étoiles. Ovviamente, sempre in solitaria. Lo stesso stile con cui vi ritornò nel 1999, aprendovi un nuovo tracciato chiamato Décalage.

Nel 2001, in invernale e solitaria, disegnò la via Lafaille sulla ovest dell’Aiguilles du Dru. Tracciato con passaggi in artificiale valutati A5+ (a oggi conta pochissime ripetizioni).

Gli Ottomila

Lafaille incontrò l’altissima quota per la prima volta nel 2002. Fu Pierre Béghin, altro nome importante per la storia alpinistica francese, a invitarlo. L’obiettivo fu la parete sud dell’Annapurna in stile alpino. Purtroppo non si trattò di un’esperienza fortunata, i due non raggiunsero la vetta e durante la discesa Béghin fu vittima di un incidente mortale. Anche Lafaille ebbe i suoi problemi, una scarica di sassi gli ruppe infatti un braccio. Questo lo rallentò nella discesa, impiegò 5 giorni per tornare al campo base.

Nel 1993 tornò in Himalaya, questa volta con l’obiettivo di raggiungere la cima del Cho Oyu lungo la via polacca, cosa che gli riuscì senza particolari problemi e senza utilizzo di bombole d’ossigeno. L’anno seguente decise di muoversi in solitaria sullo Shisha Pangma, dove aprì un nuovo tracciato sulla parete nord. Nel 1995 riprovò invece l’Annapurna, questa volta da solo per il Pilastro Bonington, ma il risultato non fu quello sperato.

Nel 1996 salì in solitaria e in soli 4 giorni il Gasherbrum II e l Gasherbrum I, aprendo su quest’ultimo un nuovo tracciato che percorre il lato nord-est. Dopodiché toccò al Lhotse, nel 1997, e sempre nello stesso anno volle immaginare un tentativo invernale solitario al Dhaulagiri, ma non riuscì nemmeno a raggiungere il campo base per colpa delle abbondanti precipitazioni.

Il 1998 lo vide impegnato per la terza volta sulla sud dell’Annapurna, ma anche in questa occasione la montagna non si concesse.

Nel 2000 raggiunse il Manaslu su cui si mosse in solitaria lungo la parete nord, raggiugendo la vetta nei primi giorni maggio. L’anno seguente si presentò al campo base del K2 insieme ad Hans Kammerlander, obiettivo la salita della via Cesen. Lafaille firmò così la prima ripetizione francese della via Cesen.

Durante quegli anni Lafaille si fece promotore di un alpinismo di alto livello dai connotati fortemente agonistici e sportivi. Una posizione in controcorrente rispetto al pensiero ancora oggi presente che preferisce non imporre regole considerando l’alpinismo non come uno sport.

Ancora Annapurna, nel 2002. Questa volta non si mosse da solo, ma con Alberto Iñurrategi, riuscendo a salire seguendo la cresta est della montagna. Fu una prima di straordinario valore.

Come il 1992 per le Alpi, il 2003 fu il suo anno più produttivo in altissima quota. In soli due mesi fu capace di scalare in sequenza Dhaulagiri, in solitaria; Nanga Parbat, con Simone Moro; Broad Peak. Il Nanga Parbat per un nuovo tracciato chiamato Tom e Martina, rispettivamente figli di Lafaille e Moro. Sul Broad Peak rischiò invece di perdere la vita a causa di un edema polmonare e di una caduta in crepaccio. A salvarlo furono Ed Viesturs e Denis Urubko.

Nel 2004 ritornò allo Shisha Pangma, lo fece sul finire dell’autunno con l’obiettivo di firmarvi la prima invernale. Raggiunse la cima l’11 dicembre mentre circa un mese dopo (14 gennaio) vi riuscirono Simone Moro e Piotr Morawski. I due ex compagni di cordata a questo punto entrarono in contrasto. Lafaille esigeva il primato, affermando di aver effettuato la salita durante l’inverno meteorologico. Moro dall’altra parte ribatteva che l’inverno da prendere in considerazione era quello astronomico. Fu questa l’occasione in cui prese vita l’annoso dibattito su inizio e fine dell’inverno che tiene banco ancora oggi. Alla fine venne riconosciuta come prima invernale la salita di Moro e Morawski e si impose la regola per cui una scalata è da considerarsi invernale se realizzata interamente tra il 21 dicembre e il 21 marzo.

Tutte le salite di Lafaille furono realizzate senza l’utilizzo di bombole d’ossigeno. Inoltre, dopo aver portato a compimento le tre salite del 2003 decise di cimentarsi nella collezione dei 14 Ottomila.

Nel 2006 tentò la salita invernale del Makalu, come nel suo tipico stile ci provò in solitaria. A fine gennaio era in quota, pronto ad attaccare la vetta. Lo aveva comunicato alla moglie, da un campo posizionato circa mille metri sotto la cima. Fu la sua ultima telefonata, quindi si perse ogni traccia. Provarono anche a cercarlo con un elicottero, ma ogni tentativo fu vano.

L’ambientalismo

La passione per l’alpinismo porta ben presto Jean-Christophe Lafaille a voler tutelare e proteggere queste montagne. Per questo nel 1997 firma la “petizione per la protezione del Monte Bianco” di Mountain Wilderness e sostiene la campagna Mont-Blanc 2000.

Nel 1998 aderisce a Mountain Wilderness divenendone uno dei ventuno garanti internazionali.

Onorificenze

Gold Crystal per la più bella impresa himalayana dell’anno: nuova via sullo Shisha Pangma (1994). Premio consegnato dalla Fédération française de la montagne et de l’escalade.

Libri

Prigioniero sull’Annapurna, CDA&Vivalda, 2007

“La mia famiglia non cambia il mio stile alpinistico che cerca percorsi audaci, ma influisce sul tempo. Trascorro meno tempo in montagna, ma è un’esperienza molto bella cercare di essere il miglior padre che io possa essere. Sono molto orgoglioso di avere una grande famiglia e di continuare a scalare sul difficile.”

Jean-Christophe Lafaille

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3 Commenti

  1. Un alpinista che non seguiva le normali !
    E faceva spesso “robe” molto difficili da solo!

    Tre domande:
    -La cresta est dell’Annapurna non era stata percorsa per primi da Loretan e Joss, poi scendendo dalla nord ?
    Lafaille e Inurrategi furono capaci di tornare indietro ! ……… era quella che aveva tentato Casarotto d’inverno !?
    -Sul Nanga ha salito la via nuova con Ed Viestrus, non con Moro perché ha rinunciato verso i 7400 ?
    -Sul Shisha Pangma d’inverno non ha salito con variante iniziale la via britannica e da solo ?
    Mentre Moro non ha seguito il lungo percorso a destra fatto in discesa da britannici e polacchi ?

    1. Sul Nanga posso risponderti: Moro e Lafaille salirono una nuova variante fino a 7400 (campo 4 della via Normale), da li Moro dovette ritirarsi per via dell’inferiore acclimatamento e cosi’ Lafaille ando’ in vetta con Ed Viesturs. Da 7400 alla vetta seguirono pero’ la via Kinshofer.

      Sull’Annapurna effettivamente Loretan e Joos furono i primi a salire da quella cresta, pero’ poi scesero dalla via dei francesi, mentre Lafaille e Inurrategi seguirono in discesa lo stesso percorso dell’andata, fu quindi la prima Integrale sulla cresta.

      Sul Shisha Pagma non so risponderti

      1. Confermo quanto sopra specificando che Viesturs raggiunse il campo 4 del Nanga Parbat, dove si incontrò con Lafaille, per la via normale (Kinshofer) e quindi non può essere considerato autore della nuova via (per la quale, a rigor di logica, dovrebbe essere il solo Lafaille essendosi il Moro ritirato).
        Per quanto riguarda lo Shisha Pangma, Lafaille fece una salita unendo due vie esistenti e tracciando una nuova variante nel tratto mediano/inferiore della parete sud con uscita dalla britannica di Scott e compagni.

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