Gente di montagna

Simone Moro, il winter maestro

Conosciamo il fortissimo scalatore bergamasco, unico al mondo a poter vantare quattro prime invernali sugli Ottomila.

Moro raccoglie il testimone di un certo modo di scalare che non è sport, è un’altra cosa. È una filosofia, sono valori, è un pensare a tutto, non solo al risultato. Reinhold Messner

Soprannominato “winter maestro” è l’unico alpinista a poter vantare quattro prime invernali su montagne di Ottomila metri. Ottimo comunicatore, Simone Moro non intende l’alpinismo come scopo di vita ma come mezzo per conoscere ed esplorare. La sua attività oggi si divide tra conferenze, libri, spedizioni himalayane e l’attività di elicotterista. Simone ha scalato 8 dei 14 Ottomila, tra cui per ben quattro volte l’Everest.

Dalle Alpi all’Himalaya

Simone Moro nasce a Bergamo il 27 ottobre 1967 e inizia a muovere i suoi primi passi verticali a soli 13 anni sulle montagne di casa. Le Orobie sono il suo parco giochi, un intrico di valli e pareti che ha dato il là a una folta generazioni di ottimi alpinisti, da Walter Bonatti a Mario Curnis. In qualche modo cime che segnano una strada. In poco tempo il suo orizzonte montano si allarga alle Dolomiti per poi approdare all’arrampicata sportiva. È in questo campo che il talento di Moro inizia a farsi notare, nel giro di tre anni il ragazzo arriva a scalare su difficoltà gradate 8a (è bene precisare che siamo nel 1987, agli albori di questa disciplina) per poi toccare l’8b+. Le sue doti nel campo dell’arrampicata lo portano in breve a diventare allenatore della nazionale italiana, ruolo che ricopre dal 1992 al 1996. Poco prima di ricevere questo incarico Simone presta servizio militare di leva frequentando il 138° corso AUC presso la Scuola Militare Alpina di Aosta, al termine del quale prosegue il suo periodo di ferma con il grado di sottotenente.

Il primo approccio ai giganti himalayani risale ai primi anni Novanta, quando un venticinquenne Simone Moro voglioso di sperimentare questa nuova dimensione si affaccia all’ufficio di Agostino Da Polenza. In quel periodo si sta organizzando una spedizione all’Everest per conto del CAI di Castelnuovo Garfagnana e Moro venne invitato. “Accettai di partecipare a una spedizione che non era quella che mi sarei aspettato come inizio di una carriera o come realizzazione dei miei sogni himalayani, ma era un’occasione importante, con tanta gente esperta, e per giunta a costo zero”. Una prima esperienza, un primo contatto con l’alta quota che non si è concluso per il meglio. Simone, poco acclimatato, commette quella che lui stesso definisce “la leggerezza del ‘bocia’” e alla fine si ritrova a essere portato a valle dai suoi compagni di spedizione dopo aver subito un edema cerebrale a una quota di circa 7400 metri.

Gli Ottomila

Da una brutta esperienza è nata una storia unica nel suo genere. Dopo quel primo sfortunato contatto con l’aria rarefatta Simone non ha più saputo farne a meno, riuscendo nel tempo a costruire una prolifica carriera alpinistica.

Arriverà anche in vette all’Everest, lo farà per ben quattro volte, tutte con l’ausilio dell’ossigeno supplementare. La prima sullo scoccare del nuovo secolo passando per il versante nepalese, con lui si troverà il kazako Denis Urubko. Nel 2002 ne raggiungerà la vetta salendo dal lato tibetano della montagna, in cordata con lui il bergamasco Mario Curnis. Sempre utilizzando l’ossigeno, nel 2006 compirà in solitaria e in velocità la traversata del colosso himalayano salendo dal versante nepalese e scendendo da quello tibetano. Infine, nel 2010 ritornerà sull’Everest, passando nuovamente dal lato nepalese.

In breve tempo Moro diventerà uno specialista delle ascensioni in velocità ad altissima quota. Sarà così che nel 1996 arriverà in vetta allo Shisha Pangma (27 ore no stop per fare campo base-cima-campo base); sul Cho Oyu, nel 2002, in appena 11 ore. E ancora nel 2003, sul Broad Peak che salirà e scenderà in appena 29 ore. Nel corso degli anni il suo alpinismo diventerà sempre più essenziale, andando ad abbracciare la filosofia dell’amico Reinhold Messner. Un tipo di approccio leggero e veloce quello che nel 2008 gli permetterà, insieme al valdostano Hervé Barmasse, di portare a termine in 43 ore di salita la prima assoluta del Beka Brakai Chhok (6940 metri, Karakorum). Per ben due volte tenterà l’Annapurna, il più mortale tra gli Ottomila, la prima nel 1997. Sarà uno dei momenti più tragici per la carriera di Simone che durante il tentativo di apertura di una nuova via verrà travolto da una valanga insieme ai suoi due compagni di spedizione, Dimitri Sobolev e Anatoli Boukreev, solo lui sopravvivrà all’incidente. “Precipitavo e basta. Ricordo tutto quel lungo volo e rammento ancora che alla fine di quel viaggio mi ritrovai seduto, e immerso in un silenzio tombale” ricorderà Simone nel suo primo libro “Cometa sull’Annapurna”. Nel 2004 tornerà sulla montagna ma, quasi raggiunta la cima, alcuni problemi di salute lo porteranno saggiamente a rinunciare.

Il nome di Simone Moro è indissolubilmente legato alla storia dell’himalaysmo invernale. Sarà lui a dare un nuovo impulso a questo tipo di salite dopo quella che è stata la forte generazione dei polacchi. Ragazzi che sul finire degli anni Settanta hanno deciso di cimentarsi con qualcosa di nuovo e inesplorato: gli Ottomila in inverno. Un modo, per i polacchi, di guadagnarsi il loro posto nella storia dell’alpinismo. Lo stesso è stato per Simone Moro che il 14 gennaio 2005 raggiunge la vetta dello Shisha Pangma insieme al polacco Piotr Morawski. Per la prima volta nella storia un alpinista non polacco riesce nella scalata di un Ottomila in inverno. “Cima, cima, cima! Alle 13:15 Piotr e io eravamo sulla vera vetta del Shisha Pangma a 8027 metri. Vento impossibile e freddo polare hanno davvero messo a dura prova la nostra resistenza. Essere il primo uomo al mondo con Piotr a calcare la cima del Shisha in inverno mi rende davvero felice ed essere il primo non polacco che dimostra di saper affrontare una prima invernale a oltre 8000 metri rende onore all’alpinismo italiano”, questo il messaggio inviato da Simone dopo aver raggiunto campo 2.

Un nuovo tassello per l’alpinismo italiano che di lì a poco si è andato arricchendo di altre prime invernali. È sempre Simone, insieme a Denis Urubko, a portare a termine la prima salita invernale del Makalu, il 9 febbraio 2009. Un evento storico, che arriva dopo 29 anni di tentativi portati avanti da molte spedizioni e che vale ai due alpinisti la candidatura ai Piolets d’Or Asia oltre ai complimenti di Reinhold Messner che descrive la salita come “una delle grandi ascensioni degli ultimi anni”. Nel 2001 sarà invece la volta del Gasherbrum II, sempre con Urubko e con l’aggiunta dell’americano Cory Richards. Simone è così riuscito a eguagliare Jerzy Kukuczka, indiscusso fuoriclasse dell’alpinismo polacco e secondo uomo in assoluto a completare la salita dei 14 Ottomila. Questo non è però bastato al bergamasco che ha continuato a cercare nuove salite. Gli ultimi anni l’hanno visto tornare più volte al Nanga Parbat rimasto, dopo il 2013, il penultimo Ottomila da violare in inverno insieme al K2. Ci ha provato più volte fino a quando nel febbraio 2016, dopo aver rinunciato a salire la via Messner-Eisendle, si unisce all’ultimo momento ad Alex Txikon e Ali Sadpara. I tre raggiungono il vertice passando per la via Kinshofer al termine di quella che è una stagione himalayana veramente complessa, non tanto per ragioni ambientali quanto per le diatribe umane che si disegnano tra le tende di campo base.

Con la salita del Nanga Parbat Simone è definitivamente nella storia come il primo e unico uomo ad aver raggiunto la vetta di 4 Ottomila in prima assoluta invernale.

Nel gennaio 2020 durante l’ascensione al Gasherbrum I cade per venti metri in un crepaccio a testa in giù, riportando varie contusioni. Con l’aiuto della compagna di cordata Tamara Lunger, riesce a risalire e a mettersi in salvo.
Nelle scorse settimane Moro a annunciato di voler tornare sul Manaslu il prossimo inverno.

Altre salite degne di nota

L’attività alpinistica di Simone non si è concentrata solo sugli Ottomila, ma ha coinvolto le montagne di tutto il mondo. Nel 1993 si trova in sud America dove sale, in appena 13 ore, l’Aconcagua per poi tentare, insieme a Lorenzo Mazzoleni, l’apertura di una nuova via sulla parete sud. Tentativo poi abortito a causa del maltempo e di una valanga. Nel 1996 sale in velocità la parete ovest del Fitz Roy impiegando 25 ore per compiere la scalata e ritornare al campo base. Nel 1999, in 37 giorni, porta a termine la salita di Pik Lenin (7134 m), del Pik Korjenevska (7105 m), del Pik Komunism (7495 m) e del Pik Khan Tengri (7010 m) divenendo il secondo alpinista ad aver compiuto questa maratona alpinistica. Nel 2001 realizza in due giorni, in stile alpino e senza acclimatamento la prima salita invernale del Marble Wall (Tien Shan, 6400 m). Nel 2004 porta a termine la prima salita della parete nord del Baruntse Nord (Nepal, 7066 m). Nel 2005 apre una nuova via sul Batokshi Peak (Pakistan, 6050 m).

Elicotterista

Oltre ad aver raggiunto i più alti traguardi in campo alpinistico Simone Moro si è distinto anche per le sue doti come elicotterista. Nel giro di 69 giorni prende sia il brevetto come pilota privato che come pilota commerciale, specializzandosi poi nel soccorso alpino sulle montagne del Nepal. Moro diventa così il primo europeo a volare in Himalaya. È su queste cime che Simone inizia a stabilire record di altitudine effettuando, il 18 maggio 2012, insieme al pilota Piergiorgio Rosati al posto di pilotaggio, un recupero in long line a oltre 6400 metri sul Tengkangpoche (in long line Simone Moro). Nel 2013 vola ancora più in alto. Un suo elicottero, un AS-350, pilotato da Maurizio Folini, riesce a effettuare un recupero in long line a una quota di circa 7000 metri (in long line l’allora aspirante guida Armin Senoner).

Nel 2015 troviamo infine Moro seduto ai posti di comando pronto a tentare un nuovo record. Parte dall’aeroporto di Bolzano con un elicottero biposto con motore a turbina della categoria E-1a, ovvero elicotteri con peso al decollo inferiore a 500 chili, e raggiunge una quota di 6705 metri.

Curiosità

Nel 2015 Simone Moro è stato co-conduttore, insieme a Caterina Balivo, del reality show Monte Bianco – Sfida Verticale.

Nel corso degli anni è stato insignito di numerosi premi:

  • 2002: David A. Sowles Memorial Award dall’American Alpine Club
  • 2003: Pierre De Coubertain Fair Play award dall’UNESCO
  • 2008: Premio Paolo Consiglio dal Club Alpino Accademico Italiano
  • 2009: Premio Paolo Consiglio dal Club Alpino Accademico Italiano
  • 2009: Eiger Award
  • 2009: Premio Dalla Longa
  • 2010: Adventurer of the Year Award
  • 2010: Premio Dalla Longa
  • 2011: “Best of The ExplorersWeb” dal Golden Piton USA

Onorificenze

Medaglia d’oro al valore civile per aver rinunciato al suo progetto alpinistico di concatenamento Everest Lhotse (2001, con Denis Urubko) ed essersi impegnato nel salvataggio di Tom Moores, alpinista inglese precipitato dal Lhotse a una quota di circa ottomila metri. Ricevuta la richiesta di aiuto in piena notte Moro si è subito messo sulle tracce del ragazzo che trova ferito senza guanti e ramponi. Quindi lo recupera, lo mette in sicurezza e lo porta fino alle tende. Uno sforzo fisico che, a quota ottomila metri, lo obbliga a dover rinunciare il giorno dopo alla vetta della montagna. 

Libri

  • Cometa sull’Annapurna, Corbaccio, 2003
  • 8000 metri di vita, Grafica & Arte, 2008
  • La voce del ghiaccio. Gli ottomila in inverno: il mio sogno quasi impossibile, Rizzoli, 2012
  • In vetta a un sogno, Rizzoli, 2013
  • In ginocchio sulle ali. La passione per il volo, la missione di soccorso in quota: non voglio smettere di sognare, 2014, Rizzoli
  • In Cordata, Rizzoli, 2015
  • Nanga, Rizzoli, 2016
  • Devo perché posso, Rizzoli, 2017
  • Siberia -71°. Là dove gli uomini amano il freddo, Rizzoli, 2018
  • I sogni non sono in discesa, Rizzoli, 2019
  • Ho visto l’abisso, Rizzoli, 2020
  • A ogni passo. Le storie di montagna e di vita che racconto a mio figlio, 2021

Sognate in grande e alzate l’asticella della fatica. Simone Moro

Articolo scritto originariamente da Gian Luca Gasca. Aggiornato dalla redazione di Montagna.tv il 23 ottobre 2024.

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18 Commenti

    1. Probabilmente intendono dire che abbraccia la sua filosofia per l’essenzialità dell’equipaggiamento che adopera e i tempi contenutissimi nelle ascensioni…
      Suppongo…
      Ciao!

      1. Nell’alpinismo di Messner trovo intenti e motivazioni piu nobili.il by fair means di moro è stato sempre accostato a sponsor che gli hanno garantito attrezzatura e abbigliamento di prim ordine(vedi la famosa maratona alpinistica del ’99),quando invece Messner vendeva la sua auto per pagarsi le spedizioni.ripeto,grande alpinista ma Messner (e bonatti)sono un altra cosa.un saluto.

    2. Il modo di fare di moro mi sembra punti solo ed esclusivamente al risultato, passando sopra a tutti valori e a tutte le persone. Mai la frase di Messner avrebbe potuto essere più fuori luogo. Basti vedere come si è comportato sul Nanga, con Nardi e Tomek.

      1. Guarda anche come si è comportato con Tamara, sua stessa compagna di cordata, abbandonata alla sua sorte ad 80mt dalla cima. Poteva concludersi in tragedia visto che la ragazza non stava bene già dal mattino ed essendo sola ad 8000mt è anche scivolata per 200mt.

        1. Ma in quanti eravate sul Nanga Parbat? Legga le interviste della Lunger e vedrá che il fatto di scendere sola fu una sua decisione, ma si sa bisogna sempre prendersela con qualcuno.
          Cordialmente

  1. Ma come? Non è stato nominato il Pik Pobeda?
    Salita estrema a -70 , più difficile di altri 8000.
    Così disse Moro.

    1. Ho finito proprio ieri sera di leggere il libro di Nardi. Ultima pagina ringraziamenti , ringraziano tutti gli alpinisti più forti in questo momento, non trovo il nome di Moro……….questo mi fa riflettere……

  2. Comunque la salita in vetta all’Everest, per un alpinista top, se fatta con l’utilizzo dell’ossigeno non dovrebbe contare. Anche fatta 20 volte, ma con l’ossigeno, non dovrebbe valere. Punto.

    1. Si che vale, vale come scalata «con ossigeno», (Hillary ha fatto la prima con ossigeno, Messner ha fatto la prima «senza ossigeno »), dove é il problema? non mi sembra così drammatico non le sembra?
      Cordialmente

    1. No. Conta. Ma va inserita, come ogni cosa umana, nel contesto storico. Nel 54 non si riteneva possibile sopravvivere a quelle quote. Nel 1978 moltissimi fisiologi sostenevano che fosse impossibile la vita in cima all’Everest. Ma poi si è andati oltre. Nel 54 il record sulla maratona era circa 2 ore e 18 minuti. Se lei oggi corresse in 2 ore e diciotto al massimo avrebbe due righe sul giornale locale. Questo non sminuisce la prestazione record del 54. Ma sminuisce chi la ottiene oggi.

  3. Il curriculum alpinistico di Simone Moro chiariscce fuori da ogni dubbio che stiamo parlando di un alpinista di altissimo livello.Trovo ridicoli oltrechè scorretti quanti denigrano le qualità alpinistiche di Moro basandosi solamente
    sulla antipatia personale, che è legittima,ci mancherebbe, ma che non deve essere determinante al momento di esprimere un giudizio.In quanto al tentativo, ripetuto da molti, di attribuire all’alpinismo una valenza etica assoluta ed immutabile ricordo che in realtà è l’alpinismo che si adegua all’etica sociale del moment e non viceversa.Molti criticano la scelta di Moro e Lungher di accorciare i tempi dell’acclimatamento utilizzando la camera ipobarica:questo non è altro che la conseguenza logica in una società che idolatra la tecnologia.L’etica e la morale non c’entrano nulla.Cordialmente.
    Carlo

    1. Carlo, hai la memoria corta forse, ma molto corda, perché ovviamente le critiche sono riferite alla spedizione del Nanga; nessuno qui ha chiamato in causa la camera iperbarica prima di te, ormai Moro ci ha abituato a molto peggio. Scorrettezza è il sinonimo di quella spedizione dove moro ha di fatto di tutto per salire su quella montagna, la cima della vita passando sopra a valori e persone, acquistando di fatto il lavoro fatto da altri per raggiungere una cima, dalle corde fisse al portatore Ali che in tutti gli articoli compare come il terzo, ma che di fatto era il prima, il più forte dei tre, ha aperto lui traccia. Ora devi capire che da quelle zone trapelano poche notizie, possiamo affidarci quasi solamente a come ce la raccontano gli alpinisti. Quindi ce la raccontano sempre bene, ma stavolta ci son le versioni di Tomek e Nardi che sbugiardano moro. La gente si è stancata di sentirsi raccontare solo belle storie. Purtroppo siamo i soliti italiani che non amiamo mettere in discussione oggettivamente i nostri idoli, ma gli alpinisti di fama internazionale non lo considerano più.

  4. Tornando al discorso Nardi – Nanga Parbat , Moro ha ben spiegato la sua scelta e la sua versione, i risultati sono chiari ed evidenti!!
    Il povero Nardi , così come è stato definito, ha fatto innumerevoli tentativi ed è pure morto inseguendo un sogno che altri hanno saputo realizzare… naturalmente la mia opinione con estremo rispetto!!

    1. Non si può non rispettare l alpinismo di Moro,può rimanere antipatico(per me è così),ma d altronde anche Messner ha il suo bel carattere e mantiene allo stesso tempo un gran carisma(visto dal vivo fa venire i brividi).detto questo devo spezzare una lancia per Nardi,lui riusciva a tenere ancora vivo in me il sogno dell avventura,folle e visionaria,ma maledettamente affascinante.

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