Pareti

Groenlandia, nuova via per Federica Mingolla ed Edoardo Saccaro

Partiti lo scorso 17 luglio Federica Mingolla ed Edoardo Saccaro hanno trascorso circa un mese e mezzo nella Groenlandia meridionale, ai piedi del Nalumasortoq (2045 m). Sono andati alla ricerca di uno spazio ancora intonso su cui tracciare una nuova via. Si chiama La Cura, sale lungo quella che era l’inviolata parete sud del Middle Pillar del Nalumasortoq e raggiunge difficoltà di apertura fino al 7b+/A2.

Stiamo parlando di una zona poco frequentata e conosciuta, è però sufficiente cercare su internet per farsi un’idea della dimensione verticale in cui i due si sono ritrovati. Bastano un paio di foto per rimane impressionati e per innamorarsi di questo affascinante territorio, un po’ come successo a Federica.

 

Federica, come siete arrivati a questa meta?

“Tutto è nato su Instagram. Stavo sfogliando alcune foto di Nico Favresse e Sean Villanueva, grande fonte di ispirazione, quando mi sono imbattuta in una foto della Groenlandia. Qualche anno fa avevano realizzato un viaggio in barca a vela lungo la costa, ma non sono stati nella zona in cui siamo andati noi.

Comunque, da queste loro immagini ho iniziato a fare una ricerca seguendo gli hashtag presenti sotto la foto e sono arrivata fino al fiordo di Tasermiut, dove si trovano queste pareti. Tra cui le due più importanti sono quelle del Nalumasortoq e del Ulamertorsuaq.”

Poi?

“Quando ho visto queste montagne, le pareti, il luogo, ho pensato ‘che posto meraviglioso’. Così ho iniziato a informarmi sulla logistica, su come arrivare e sui costi.”

Come avete recuperato informazioni sulla montagna e sulle vie?

“Sempre attraverso i social. (ride)

Attraverso altre foto trovate su Instagram sono arrivata a un ragazzo, una guida trekking locale, che pubblica spesso foto dalla zona. Ho deciso di scrivergli, chiedendo informazioni e ha subito iniziato ad aiutarmi dandomi informazioni sulla logistica di base, contatti utili e poi inviandomi tutta una serie di documenti. Relazioni, introvabili se non lì, dei climber che si sono cimentati sulle montagne aprendo nuove vie.”

Si potrebbe quindi parlare di esplorazione?

“Non se possa essere esplorazione, è comunque una zona in cui sono state aperte tante vie. Tutta la parete ovest del Nalumasortoq è piena di vie, hanno iniziato ad aprire negli anni Ottanta. Oggi però sono in condizioni pietose e molte non sono mai state ripetute.

Noi, prima di dedicarci al nostro progetto, abbiamo ripetuto una delle vie più battute, chiamata British Route, che viene salita almeno una volta l’anno. Sembrava però di scalare su una via appena aperta qui in Italia.”

La vostra via invece?

“Quando ci siamo trovati davanti al Nalumasortoq pensavamo che non si potesse fare nulla poi, addentrandoci oltre nella valle, abbiamo individuato questa parete nascosta (che fa sempre parte del complesso del Nalumasortoq).

La gente del posto ci ha spiegato che in quella zona la meteo era molto instabile e la roccia era spesso bagnata, ragione per cui fino a oggi la parete è rimasta intonsa. I cambiamenti climatici poi, con l’aumentare della temperatura, hanno asciugato la parete rendendola scalabile anche dove si vedono le macchie nere lasciate dall’acqua. Si capisce che c’era, la roccia è da pulire, ma si sale.”

Come l’avete scovata la parete?

“Durante una sgambata con un ragazzo svedese che si trovava con noi al campo base. Era curioso di vedere la parete nord di quello che chiamano Alf Dome, per la somiglianza con il monolite californiano. Arrivati mi si è aperta un’altra prospettiva sulla parete sud del Nalumasortoq. Impossibile che non ci fossero vie, ho pensato. Soprattutto: impossibile che la via di salita intravista da me non fosse già tracciata.”

Quindi?

“Quindi, una volta rientrati al campo base, ho consultato varie relazioni, articoli alpinistici e altri materiali che lo svedese aveva con se non trovando nulla su quella parete.

Il giorno dopo io ed Edoardo abbiamo allora iniziato a portare del materiale sotto la parete, allestendo un secondo campo, con l’intenzione aprire sul versante sud del Nalumasortoq.”

Quanto tempo avete impiegato?

“Due settimana da quando abbiamo montato il primo tiro a quando siamo arrivati in cima. Un periodo non continuativo perché inframezzato da diversi giorni di brutto tempo che hanno rallentato le operazioni.

La speranza era poi quella di tornare per liberare la via, ma la meteo è peggiorata portando il freddo. Ci avevano avvisati che verso la metà di agosto le temperature sarebbero cambiate, nonostante questo abbiamo comunque fatto un tentativo ma faceva davvero troppo freddo. Una sofferenza scalare in quelle condizioni. Così, alcuni tiri, i più difficili, rimangono ancora da liberare.”

Hai in mente di tornare?

“Voglio assolutamente tornare, sia perché il posto è stupendo sia perché La Cura potrebbe raggiungere gradi superiori all’8b. Voglio tornare in forma solo per salire su La Cura.”

Se dovessi riassumere questa esperienza cosa ci diresti?

“È stato bello vivere in un posto selvaggio come questo, trovare questo contatto con la natura. Un periodo di pace, difficilmente riproducibile in altri luoghi. Il campo base sul mare e cinque ore di cammino dopo sei sul ghiacciaio, di fronte al Nalumasortoq. Cammini tra i rododendri, ti addentri nella valle e poi incontri questo libro aperto, questa montagna su cui ancora si può fare tanto.”

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