Alpinismo d’esplorazione nella Kondus Valley. Il racconto di Della Bordella e Giordani
“Siamo partiti con un grande entusiasmo verso il progetto delle ‘torri nascoste’ del K6/Link Sar. Poi tutto si è dovuto ridimensionare nell’impossibilità di poterle raggiungere, nonostante tutti i nostri sforzi, per giorni e giorni. Abbiamo scalato poi su altre pareti e altre montagne, ma le torri sono ancora là, attraenti ma apparentemente irraggiungibili, salvo una remota nuova possibilità di approccio, scoperta alla fine osservando dall’alto quel complesso mondo di rocce e ghiacci, che potrebbe dare senso ad un nuovo tentativo”. Maurizio Giordani riassume con queste parole il recente viaggio nel Karakorum compiuto insieme a Matteo Della Bordella, Max Faletti e David Jonathan Hall.
“Aldilà di quanto fatto o tentato, sono grato ai miei compagni per avermi permesso di condividere con loro queste tre settimane di alpinismo nel senso più ampio del termine” racconta Matteo. “Forti emozioni si sono mischiate a profonde discussioni su natura, vita, alpinismo… persino politica, e non sono mai mancate le occasioni di scherzare, o di andare a coricarsi sotto un fantastico cielo stellato pieni di entusiasmo verso ciò che ci aspettava il giorno successivo”.
“Abbiamo combinato poco, dal momento che non abbiamo raggiunto nessuna vetta” racconta ancora Della Bordella. “La via aperta con Max Faletti la reputo però un gran tracciato, difficile e aperto nel miglior stile possibile. Mi ha impegnato a fondo per due lunghe giornate, sia tecnicamente, nella scalata, sia nella gestione di un terreno e di una parete complessi. L’unico mio piccolo rammarico resta per la cima inviolata, sopra al campo base, alla quale abbiamo scelto di rinunciare. Chissà chi sarà il primo essere umano a metterci piede sopra e a darle un nome! Probabilmente non noi, ma non importa: anche qui è stata un’avventura complessa, e sono convinto che abbiamo fatto la scelta giusta data la situazione”.
Mai dire gatto finché non ce l’hai nel sacco
“Dopo 3 anni di richieste per il permesso finalmente lo otteniamo” spiega Faletti. “Si parte per la Kondus Valley, in Pakistan”. Il loro obiettivo sono le semisconosciute torri tra il K6 (7282 m) e Link Sar (7041 m). Nella stessa area in cui si era mossa la spedizione Trans Limes, guidata da Daniele Nardi, nell’estate 2017. Un territorio molto delicato, al confine con l’india. Una valle ancora da esplorare, rimasta per molto tempo chiusa agli alpinisti a causa del conflitto indo-pakistano.
Dal campo base, “uno slargo della strada militare che dopo un km finisce al ‘Camp 1’: un accampamento militare che rifornisce il fronte indiano di giovani pakistani”, gli alpinisti non vedevano le torri. “Senza però perdere tempo abbiamo attraversato il ghiacciaio di detriti della Kondus Valley per vedere se si poteva passare tra i seracchi formati dal ripido ghiacciaio che scende dal K6. Sembrava che a sinistra i crepacci ed i seracchi ci offrissero una chance”. Il giorno dopo si sono però accorti che “era ‘un palo’: buchi troppo larghi e seracchi che franano ci hanno fermati nell’ascesa alle torri”.
Gli alpinisti tentano allora di andare verso destra, “piazzando una tenda dopo le vele sul ghiacciaio, prima della grande seraccata dove la distesa di ghiaccio fa una curva stretta e probabilmente è meno veloce”. Anche da qui però nessuna possibilità di accesso a causa di seracchi e “mega baratri di ghiaccio”. Un’ultima possibilità è ancora offerta da un ripido canale sulla destra “che finisce in una goulotte in mezzo ad alcune torri che formano un avancorpo che arriva fino a 5200m, dal quale si dovrebbe poi scendere sul ghiacciaio del K6 fino alle torri”, tentativo poi interrotto a causa delle difficoltà insite già solo nel raggiungere il luogo in cui piazzare il campo base avanzato. “Il goal previsto assomiglia sempre di più ad un auto goal”.
Piano B
“Visto che non possiamo andare dove vogliamo chiediamo consiglio all’ufficiale di collegamento Omer, obbligatorio in queste zone, sulla direzione che avremmo potuto prendere” spiega Faletti. “Lui ci dà un paio di opzioni, non le più comode”. Così, armati di tanta voglia di salire i ragazzi partono “per una di quelle torri che si trovano di fronte al campo base e che già Daniele Nardi e Tom Ballard avevano battezzato ‘Alison Peak’. Io faccio coppia con Matteo mentre Maurizio con David”. Un lungo avvicinamento su detriti morenici li portano sotto le torri, dove riposano una notte prima di iniziare la salita. “Maurizio e David si spostano tramite cenge sulla direzione di un monolite, sito sulla cresta del paretone di granito largo circa 2 chilometri ed alto circa 950 metri. Matteo ed io andiamo invece sullo spigolo Est”. Tutte e due le cordate hanno poco materiale: due serie di friends fino al 2 ed un 3 e un 4 a cordata. “Subito dopo la prima facile rampa troviamo già un tiro abbastanza difficile in fessura, poi tiri offwidth, anche bagnati dal VI+ fino all’VIII- poi avanti fino ad un diedro di lX-“ e ancora su neve inconsistente e su pareti bagnate a rompere il ghiaccio per salire, “visto che per essere leggeri avevamo solo le scarpette d’arrampicata”.
“Alle ore 19 per fortuna Matteo arriva a un fantastico bivacco, quindi tramite contatto Radio sentiamo Mauri e David che dopo aver fatto una decina di tiri, alcuni su fessure con dell’erba, si sono stufati e hanno rinunciato”. Matteo e Max continuano invece la loro salita il giorno seguente per sei o sette tiri in fessura “fino all’VIII grado con una breve sezione di A2 e infine una placca a cristalli di VII alta 25 metri, esposta e senza protezioni poi, finalmente, si arriva sulla cresta”. Da qui i due dovrebbero iniziare la salita del monolite che porta verso la cima della montagna. “Ci sembra impossibile salire, forse ci vogliono spit o per lo meno sono assolutamente necessari scarponi, ramponi e piccozze”. Ecco allora che arriva la scelta di rientrare verso valle “terminando la via a metà della lunga cresta” e dedicandola alla natura “che ci ha dato l’opportunità di salire clean senza trafiggere la linea elegante con chiodi o spit per 850 metri di scalata e 700 metri di dislivello fino alla quota di 4850 metri circa”. Tracciato che i due hanno chiamato, per l’appunto, Ma Ma Natura.
Ancora un tentativo
“Il tempo stringe: l’aereo per il ritorno parte tra 6 giorni da Skardu, Maurizio un po’ demotivato va a fare dei trekking per conoscere meglio la zona. Noi riposiamo un giorno” poi inizia una nuova fase della spedizione. “Matteo ‘la motivazione’, io e David, dopo una consulta con l’ufficiale Omer ripartiamo per una complessa montagna involata e mai tentata”. Una cima di circa 6000 metri “piena di magnifiche torri e con canali molto ripidi” che si trova proprio sopra il campo base. “In 12 ore di camminata, un tiro di M5 ed una cresta aerea, arriviamo 5400 metri dove la neve soffice e inconsistente, ricca di brina di fondo alla base” non permette ai ragazzi di superare i tratti i più ripidi. Inutile insistere e così i tre decidono, saggiamente, di scendere “per non incappare in qualche valanga visto l’aumento repentino della temperatura”.
Dopo aver trascorso la notte a 5200 metri Matteo e Max decidono per un nuovo tentativo. David non si accoda a loro, preferendo scendere a valle. I due partono alle 2 del mattino “ma siamo rallentati dalla poca consistenza della neve e soprattutto dal mio mal di testa, che mi costringe a gettare la spugna a quota 5593 metri”. Della Bordella vorrebbe continuare fino in vetta, “ma dopo aver proseguito per altri 150 metri da solo verso l’alto arriva appena sotto l’ultimo salto roccioso e poi decide di scendere”.
Gran risultati, altro che roba secondaria
Esplorare va bene, ma poi non divulgare… o farlo non fornendo troppi dettagli. Altrimenti da esplorare non resta niente.