Cronaca

Nepal, Trump e migliaia di futuri incerti

Il presidente degli Stati Uniti d’America minaccia di espellere migliaia di rifugiati Nepalesi giunti negli Stati Uniti a seguito del terremoto.

Era il 25 aprile 2015, quando una serie di devastanti terremoti scosse tutto il Nepal, causando ingenti perdite ed enormi danni. La prima scossa, di magnitudo 7,8 e con epicentro poco ad ovest di Kathmandu, colse tutti quanti alla sprovvista. Le violente scosse e i conseguenti assestamenti si susseguirono fino ai primi giorni di maggio, quando la desolazione lasciata dal disastro apparve tristemente chiara. Il bilancio fu di 8.633 vittime e 755 quello delle persone disperse, con un numero stimato di oltre ventimila feriti. Furono 1.120.103 le famiglie colpite dai sismi, 494.717 le case crollate, 267.373 quelle danneggiate. Una tragedia di proporzioni bibliche per un paese pacifico come il Nepal.

Le prime parole del Primo Ministro Nepalese andarono ovviamente al futuro, cercando di rassicurare la popolazione rimasta parlando subito dell’importanza di riabilitare e ricostruire. Chi aveva vissuto il dramma però, non riusciva più a figurarsi un futuro ambientato nel contesto Nepalese. A seguito di questi disastri naturali infatti, migliaia di persone tra quelle sopravvissute migrarono all’estero in cerca di una speranza. In quel periodo gli Stati Uniti adottavano una politica di apertura e accoglienza dei migranti, e la relativa prossimità spinse moltissimi Nepalesi a cercarvi rifugio.

Uno speciale permesso, concesso proprio a causa della situazione di necessità, venne assegnato agli immigrati Nepalesi, che trovano nel Nuovo Continente una patria accogliente dove cercare di dimenticare gli orrori del passato e ricominciare una nuova vita. Il TPS, temporary protected status, è stato ideato dal Congresso nel 1990, proprio per far fronte a situazioni del genere, e permetteva loro un soggiorno in regola, a tutti gli effetti legale.

Nepal, terremoto, Trump, deportazione
Il presidente Trump e il segretario alla sicurezza nazionale Kirstjen Nielsen visitano un centro anti-contrabbando a Key West, in Florida, © Pablo Martinez Monsivais

Oggi, dietro ordine dell’amministrazione Trump, che secondo la critica punterebbe semplicemente a mettere in mostra con gli elettori il rispetto delle promesse (al limite della xenofobia) fatte in campagna elettorale, il Dipartimento della Sicurezza Interna sta preparando la cancellazione dei permessi di residenza speciale agli immigrati Nepalesi. Il numero dei cittadini a rischio deportazione supera i 9.000. Agli interessati, verrà concesso un periodo “di grazia” di un anno, scaduto il quale si procederà ad una vera e propria deportazione forzata, con termine ultimo il 24 giugno 2019. 

Non è la prima volta che il presidente Trump agisce contro minoranze etniche entrate nel paese grazie al TPS, negli ultimi anni infatti avrebbe allontanato anche 50.000 Haitiani e addirittura 200.000 Salvadoregni, con diversi altri casi come quello Nepalese ancora in bilico. I funzionari di Trump dicono che la designazione del TPS non è mai stata pensata per permettere una residenza a lungo termine agli stranieri, ritenendone quindi la revoca sensata.

A distanza di tre anni, le zone più povere del Nepal rimangono ovviamente ancora in condizioni difficili, e la situazione non cambierà certamente entro il 2019. Tutta quella fetta di popolazione che ha subito le conseguenze devastanti dei terremoti, che probabilmente ha perso così tanto da vedersi costretta a fuggire dalla propria patria e che ha dovuto ricominciare una nuova vita in un paese diverso, potrebbe vedersi costretta nel giro di un anno a lasciare nuovamente casa per tornare ad un territorio ormai martoriato dalla natura, inospitale e in rovina.

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