LibriNews

100 anni di storia dell’Everest

Con “Everest. Una storia lunga 100 anni”, edito da Laterza, Stefano Ardito fa una narrazione appassionante della storia del Tetto del Mondo. Fin dalle origini, quando le divinità tibetane inclusero nel loro affollato pantheon Chomolungma, la “Dea del vento” (ma anche “Dea del Luogo”), che le popolazioni della valle del Khumbu, in Nepal, rappresentavano mentre cavalca una tigre.

È un racconto snello e ricco di particolari, attento alle origini etniche e linguistiche di coloro che per secoli vissero nelle valli dominate dalla presenza della divinità che occhieggia da lontanissimo le piantagioni di tè di Darjeeling, fin alle valli e ai colli altissimi percorsi dalle carovane di yak carichi di riso, spezie, lana e salgemma.

Poi la storia prende nuovo ritmo. Chomolungma nel 1856 diventa Everest, in omaggio al primo direttore del Survey of India George Everest. E il racconto delle montagne dell’Himalaya incrocia non di rado (come descritto magistralmente da Peter Hopkirk ne “Il Grande Gioco”) quello delle lotte inglesi, russe e dei potentati e regni asiatici. Poi, a fine Ottocento, le montagne si avvicinano al centro dell’impero britannico e lo spirito dell’esplorazione e il desiderio di salirle porterà i primi “alpinisti”, supportati dagli sherpa (allora raccoglitori di tè o commercianti e conduttori di carovane) a prender quota fin alla sommità delle valli himalayane. Da lì in poi è un ricorrersi di date, nomi, citazioni, storie brevi e appassionati delle quali Stefano Ardito fa sintesi, senza mai banalizzare.

Il Because it’s There!” di George Mallory, in risposta a una giornalista che gli chiese perché voleva salire l’Everest, è del 1923 e rimane inciso indelebilmente nella roccia della storia dell’alpinismo.

Edmund Hillary e Tenzing Norgay “conquistano” l’Everest nel 1953, il formidabile regalo per l’incoronazione di Elisabetta regina d’Inghilterra. La storia corre poi come l’organizzazione di “spedizioni”, prima nazionali poi private e sempre più “audaci”, su pareti nuove, inesplorate. È il tempo di Chirs Bonington che con Douglas Haston e Doug Scott, a metà degli anni Settanta, orchestrano sulla parete Sud-Ovest una memorabile spedizione e una grande salita. Reinhold Messner tenta l’azzardo in linea con la sua filosofia alpinistica, senza l’uso mezzi artificiali, nel 1978 e raggiunge con Peter Habeler per la prima volta la vetta senza ossigeno supplementare. È la prima salita della cima più alta della Terra “by fair means”, ossia con metodi leali. Una salita tutta ideale e sportiva ligia all’etica dello scalare le montagne che Mummery aveva teorizzato e Reinhold aveva portato avanti e praticato sulle Alpi e non solo. Passano pochi anni e ancora lui, Messner, sul versante nord (quello tibetano) colloca un’altra pietra miliare nella storia dell’alpinismo con la prima vera solitaria, ovviamente senza ossigeno, dell’Everest. Da quel momento in poi è un florilegio di “imprese” importanti, come l’invernale di Krzyszof Wielicki e Leszek Cichy o il pilastro sud ovest salito da Jerzy Kukuczka con altri sette polacchi.

All’Everest passano tutti o quasi i grandi alpinisti degli anni Settanta e Ottanta. Alcuni tentano avventure inesplorate e difficilissime, come Joe Tasker e Pete Boardman sulla parete nord- est che non torneranno più a casa, come molti altri nella storia di questa montagna.

Stefano Ardito ci introduce, seppur con minore pathos, anche nella storia moderna e attuale del tetto del Mondo. Dai record di velocità; alle prime spedizioni commerciali a inizio degli anni Novanta; fino alla corsa “ossigenata”, ma mostruosa dal punto di vista organizzativo e atletico, di Nirmal Purja che in 189 giorni sale tutti i 14 “Ottomila”.

Quello delle spedizioni commerciali è un fenomeno che dilaga, anche se incappa in alcune tragedie terribili come quella del 1996 raccontata da Jon Krakauer nel libro “Aria Sottile”. È anche però vero che sviluppa un affinamento tecnico con gradi sempre maggiori di affidabilità e di business. Nasce così, come accadde per le Alpi in tempi lontani, una categoria di guide super specializzate, prima “occidentali”, poi sempre più locali. L’Everest diventa a portata di tutti grazie all’uso dell’ossigeno, di sherpa, radio, previsioni meteo, comfort e assistenza h24. Basta avere soldi (tanti) e tempo a sufficienza per essere quasi certi di arrivare in cima. Ti può fermare solo la montagna schiacciandoti sotto dei seracchi o di questi tempi la pandemia Covid.

“Everest. Una storia lunga 100 anni” di Stefano Ardito è un buon  libro, che vale tutti i 20 euro dell’acquisto, e che si guadagna il suo posto nella libreria degli appassionati di alpinismo himalayano e d’avventura.

Tags

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close