Dolomiti: tris di invernali per i Catores
BOLZANO — E’ l’invernale sulla via “L Cator”, difficoltà VIII+ e A2, l’ultimo gioiello dei maglioni grigi della Val Gardena. A compiere la salita, i due Catores Hubert Moroder e Adam Holzknecht, che con quest’impresa completano il tris di invernali sulla Parete Rossa di Brogles, nel Gruppo delle Odle. “Tutte e tre salite ci hanno riservato delle sorprese” racconta Holznecht l’indomani della salita più difficile.
Quasi un anno dopo i due Catores hanno ripetuto l’impresa sulla via accanto, la “Rudi Runggaldier”: una via interamente di arrampicata artificiale aperta da Simon Demetz e Simon Holzknecht nel 1985, con difficoltà VI e A2.
“Questa via ci ha sorpreso con un bel tiro di 10 metri su ghiaccio – racconta Holznecht – che abbiamo dovuto affrontare senza ramponi, piccozza o martello e nemmeno una vite da ghiaccio. È stato il tiro piú difficile delle tre salite: i chiodi piantati nella fessura si vedevano sotto il ghiaccio limpido, a venti centimetri dal naso, ma erano impossibili ad agganciare. Indescrivibile. Con un martello sarebbe stato tutto molto piú facile, ma… chi non ha testa deve avere morale”. I due alpinisti sono riusciti a passare a mani nude e con le scarpette, tenendosi alle stalattiti di ghiaccio dove cercavano di incastrare anche i piedi.
Quest’anno, dopo tre anni di attesa, i due sono riusciti a salire l’ultima e la piú difficile del loro progetto, “L Cator”, aperta dai fratelli Karl e Benno Vinatzer ed Adam Holzknecht nell’agosto 1989 e classificata di VIII+ e A2, con l’VIII grado obbligatorio.
“E’ la via piú dura di tutta la parete – spiega Holzknecht -. Se si sale in libera, arriva al IX grado superiore. Noi l’abbiamo salita con temperatura di circa 7 gradi sottozero, quindi naturalmente niente “Rotpunkt”. Ma già riuscire a fare il passaggio chiave al primo tentativo é stato un colpo di fortuna. Ricordo che durante la prima ed unica ripetizione, una decina d’anni fa, dovetti provarlo parecchie volte, cadendo sempre in corda su chiodatura tradizionale. Alla fine pensavo quasi di dover chiamare il soccorso alpino, ma allora era un po’ difficile, senza telefonino e soprattutto visto che tanto il soccorso eravamo noi!!”
“La sorpresa piú bella è però arrivata alla fine – continua Holzknecht -. Due metri prima di uscire dalla parete, ci siamo trovati davanti ad una cornice di neve alta due metri che percorreva tutta la cresta terminale. Per fortuna, proprio nel diedro d’uscita, c’era una fessura dove passava la luce e siamo riusciti a scavare col martello un tunnel per passare. Durante lo scavo, però, una bella parte della cornice si è staccata, e di colpo siamo passati dal buio del tunnel a cielo aperto”.