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Un 6000 per Nardi e Angelozzi nella valle dell'Hushe

Charakusa Valley
Charakusa Valley (Photo Alpinist.com)

ISLAMABAD, Pakistan -Niente Hassin Peak e K7 per Daniele Nardi e Lorenzo Angelozzi. I due alpinisti italiani arrivati nella Charakusa Valley a fine luglio, si sono dovuti arrendere dinanzi a piogge torrenziali e continue frane che hanno reso loro impossibile realizzare i due obiettivi che si erano preposti. In extremis però, negli ultimi giorni di spedizione, hanno scalato una montagna di oltre 6300 metri, una cima che sembra ancora inviolata e a cui i due devono ancora dare un nome.

“L’Hassin Peak è veramente in condizioni pietose al momento e non ci passa neanche per la testa di andarci a buttare in colatoi pieni di sassi cadenti”. Queste le parole di Nardi scritte sul sito della spedizione il 18 agosto scorso. Una resa incondizionata di fronte a una montagna che, a suo dire, non presenta quest’anno le condizioni minime di sicurezza per affrontare la salita.

“Dal campo base continuamente si sentono valanghe – continua l’alpinista -, frane, seracchi che vengono giù. Questo probabilmente perché fino a 6000 metri ha piovuto e non nevicato e non solo, anche perché le temperature sono alte. Nei pendii e canali, compreso quello di House all’Aaji Brakk, ci sono linee marroni e nere di sassi e terra che sono venuti giù dopo le abbondanti piogge. Insomma per certi versi sembra di essere all’inferno non in montagna”.

L’Hassin Peak, situato in Karakorum tra il K7 ed il K6, era il primo dei due obiettivi della spedizione. Nardi e Angelozzi infatti, volevano salire in stile alpino la difficile parete ovest del K7, ma anche qui le condizioni meteorologiche non li hanno aiutati. Una scarica di sassi ha colpito inoltre la loro tenda, rompendo uno dei pali del portaledge.

Dal campo base del K7 però hanno avvistato un’altra montagna, sopra il campo base, forse ancora inviolata. Così i due alpinisti hanno deciso di cambiare obiettivo, sperando che la posizione un po’ più nascosta della cima implicasse condizioni di salita migliori.

Sono partiti dal base, posto a quota 4250 metri, il 18 agosto, hanno bivaccato per 5 ore in sosta e sono infine arrivati in vetta, alta circa 6.350 metri nella sua cima principale, alle 5 del mattino del giorno dopo ora pakistana. La salita, ma soprattutto la discesa è stata complicata dalle alte temperature, dalla neve molto soffice e dalla pioggia.

“Alle 19,00 esatte arriviamo al campo base – racconta Nardi sul sito della spedizione – con grande stupore sia degli Americani che dei cuochi ma non di Alì che ho conosciuto al Nanga Parbat ed ora è la nostra guida dell’agenzia. Si congratulano e ci chiedono un nome per la montagna. Sono passate solo 32 ore. Lo Stile Alpino che meraviglia, siamo distrutti ma non abbiamo voglia di sentire la stanchezza. I globuli rossi si sono abituati a respirare i 6000 metri e ci sembra di avere ancora energia da vendere qui a 4000 metri”.

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