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Un film ripercorre la vita di Toni Gobbi, uomo e alpinista sempre un passo avanti

Intitolata La traccia di Toni, la pellicola è ricca di immagini dell’epoca e interventi di protagonisti del tempo. La storia di un personaggio che ha lasciato il segno

Un padre, un maestro, un uomo di grande forza fisica e mentale, carismatico, “come Toni non ce ne possono essere altri”. Parole nette, scandite con sicurezza da chi lo conobbe e ne conserva il ricordo annidato nel profondo. Ma per molti di noi, gente di montagna del ventunesimo secolo, chi era Toni Gobbi? L’occasione per scoprirlo ce la offre La Traccia di Toni, il lungometraggio firmato dal regista Antonio Bocola. Ben più che il ritratto di una guida alpina o dell’alpinista di vaglia (che pure egli fu), il film è un viaggio spazio-temporale nel mondo dell’immediato dopoguerra, con il successivo boom economico, fino al fatidico marzo 1970, quando accadde l’imperscrutabile: al Sassopiatto, una slavina si portò via il “maestro”, insieme a tre clienti. All’epoca la sua morte suscitò grande emozione e al funerale a Courmayeur accorsero alpinisti da tutta Europa. Eppure la sua memoria nel tempo si è come dissolta, svanita.

Ci voleva un nipote a ridare vita al nonno. «Ero curioso, perché in casa non se ne poteva parlare» racconta Oliviero Gobbi, motore di questa appassionata ricerca che ha portato alla realizzazione del film, di cui è anche autore e produttore. «Nel 2008, alla morte di mia nonna, tutto era rimasto come se lui fosse ancora lì. Così ho iniziato a rimettere ordine, e pian piano ho contattato tutte le persone che l’avevano conosciuto. Mio nonno aveva una fitta rete di collaboratori e amici, e in questo progetto li abbiamo riuniti». Ma parlare con loro non è stato facile. «Per molti si trattava di affrontare un dolore cristallizzato» spiega il regista; «come per Mario Senoner, che era con Gobbi al momento dell’incidente. Io comunque volevo lavorare sulle emozioni e accompagnare la famiglia in questo viaggio, in una vera e propria rielaborazione del lutto».

La ricca documentazione, i tanti filmini super 8, le interviste dell’epoca e quelle realizzate oggi a chi lo conobbe (in particolare le guide di Courmayeur) e a chi inquadra la sua figura nel contesto alpinistico e sciistico del tempo, come Enrico Camanni e Giorgio Daidola, si animano in un montaggio che ci restituisce una figura di prima grandezza, apprezzabile non solo per quel che mise in atto ma per la forza della visione, tanto in anticipo sui tempi.

Gobbi trasformò la professione di Guida alpina

Come si suol dire, è importante quel che si fa, ma soprattutto come lo si fa. E Toni Gobbi incarnò alla perfezione questo modello. Classe 1914, uomo di città con una laurea in giurisprudenza, seppe entrare nel mondo della montagna con garbo e rispetto; divenne Guida alpina, poi istruttore delle guide e maestro di sci; fu tra gli ideatori e fondatori dell’Unione internazionale delle guide alpine, membro del GHM e dell’Alpine Club; realizzò alcune prestigiose ascensioni – per tutte, la via Major alla Brenva e con Walter Bonatti il Grand Pilier d’Angle – e fu vice capospedizione al Gasherbrum IV nel 1958.

Ma dicevamo della visione. Sì, perché Gobbi letteralmente rivoluzionò la figura della Guida alpina, trasformandola da mero accompagnatore sulle vie più note, sempre le stesse, a educatore e formatore di chi gli si affidava. Si fece imprenditore che va alla ricerca del cliente, capace di estendere il lavoro alle quattro stagioni, e trasse lo sci dal cono d’ombra delle discipline alpinistiche tradizionali: le sue “Settimane nazionali sci-alpinistiche d’alta montagna” hanno fatto storia. Tutti ne ricordano la straordinaria organizzazione, fin nei minimi dettagli, anche nell’attrezzatura con il modello Guida, che Gobbi aveva concepito e testato con alcune ditte. Sul terreno, la sua capacità di dialogare e l’autorevolezza si trasformavano tout-court in autorità: persino la prima discesa nella neve, una sola, limpida e precisa, che egli stesso tracciava, doveva essere seguita da tutti lungo la linea e senza sbavature. Il capo indiscusso era lui, che tutto controlla e pare invulnerabile. Ecco perché una morte così improvvisa e inaspettata lasciò il suo mondo attonito, senza parole. E in fondo senza futuro, per lo meno non nel suo nome.

La traccia di Toni viene giustamente a riscattarlo, quasi a restituirgli quella giovinezza di cui egli stesso parlava in relazione all’andare in montagna: «C’è chi ci va per il rischio e per l’impresa, chi per misurarsi con grandi ostacoli, chi per il miraggio di evadere nel silenzio, nella gioia dello sforzo fisico con la sottile droga dell’aria dei 4000. Io ci vado per tutte queste ragioni e per un’altra ancora, perché la montagna mi aiuta a fermare la giovinezza».

Il film al momento non è disponibile su nessuna piattaforma. Chi fosse interessato a organizzare una proiezione può scrivere a: info@grivel.com

 

 

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