Ambiente

Entro il 2060 l’80% dei nostri ghiacciai potrebbe scomparire

L’allarme è stato lanciato da Greenpeace e Legambiente che stanno conducendo campagne di sensibilizzazione sugli effetti del cambiamento climatico in alta quota

Se il 2022 è stato definito dagli esperti come l’annus horribilis per i ghiacciai alpini, la stagione 2023 non sembra essere migliore; è quanto emerso dalle campagne glaciologiche di monitoraggio condotte sui principali apparati glaciali italiani. I nostri giganti bianchi appaiono sempre più scuri, fragili e instabili.
Le recenti spedizioni di Greenpeace e la Carovana dei Ghiacciai di Legambiente, quest’ultima ancora in corso, con la partnership scientifica del Comitato Glaciologico Italiano (CGI), sono solo alcune delle tante attività ambientaliste promosse con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica e i “non addetti ai lavori” sugli effetti del cambiamento climatico in alta quota e in particolare sui giganti bianchi delle Alpi, i ghiacciai, incentivando comportamenti sostenibili e responsabili.

Oltre a raccogliere e diffondere dati sullo stato di salute dei ghiacciai, queste iniziative hanno anche lo scopo, forse ancora più importante, di stringere nuove alleanze con i diversi attori territoriali, i famosi stakeholder: amministrazioni locali, mondo della ricerca o semplicemente con coloro abitano il territorio oggetto di studio. Relazioni che sono alla base di possibili interventi volti a contrastare in modo efficace gli effetti, sempre più evidenti e nefasti, del cambiamento climatico nelle aree alpine. Vanda Bonardo, responsabile di Legambiente Alpi e presidente di Cipra Italia, sottolinea che “siamo giunti alla quarta edizione della Carovana dei Ghiacciai e vogliamo continuare a raccontare la crisi climatica attraverso i ghiacciai, perfetti termometri e testimoni dell’evoluzione climatica in atto. Un ritiro tanto repentino testimonia la forte impronta antropica, capace di sovvertire i normali cicli naturali”.

“I responsabili della situazione siamo noi. Quindi tocca a noi intervenire”

Dello stesso parere è Guglielmina Diolaiuti, glaciologa e professoressa all’Università degli Studi di Milano, che afferma: “le proiezioni basate sugli scenari climatici evolutivi a disposizione ci dicono chiaramente che entro il 2060 l’80 circa dei ghiacciai alpini italiani sarà scomparso”. A tali proiezioni fanno eco le parole del professor Claudio Smiraglia, secondo il quale “tale evoluzione nefasta provocherà ingenti danni in termini di approvvigionamento idrico con periodi siccitosi sempre più intensi e conseguenze sui sistemi ambientale, sociale ed economico”. Lo stesso Claudio Smiraglia aggiunge: “i responsabili di tale situazione siamo noi e come tali abbiamo l’obbligo di intervenire”.

Intervenire oggi, con soluzioni mirate, in grado di rispondere in maniera efficace alle problematiche che la sfida del cambiamento climatico ci sta mettendo davanti. Per farlo è necessario avere una maggior consapevolezza e conoscenza sia di ciò che stiamo vivendo sia delle condizioni alle quali andremo incontro in un futuro prossimo, anche in termini di fruizione delle aree alpine.

La fruizione turistica sostenibile, un tema in primo piano

In questo senso si inserisce perfettamente la terza tappa della Carovana dei Ghiacciai, con protagonista il Ghiacciaio di Dosdè Est in Alta Valtellina, che ha avuto come argomento principale il rapporto uomo- natura e in particolare il tema della fruizione turistica sostenibile. “Ghiacciai e turismo,  è stato questo il tema della tappa lombarda della Carovana”, spiega Marco Giardino, vice presidente del GCI e professore di Geografia Fisica all’Università degli Studi di Torino, che aggiunge: “percorrendo il sentiero che abbiamo definito della consapevolezza ci siamo resi conto dei cambiamenti legati al ritiro glaciale”.
Mutamenti che il Servizio Glaciologico Lombardo (SGL) ha voluto testimoniare e valorizzare attraverso la creazione del Sentiero Glaciologico Nangeroni-Bellotti, che conduce alla fronte del ghiacciaio di Dosdè Est: “lungo il percorso si possono osservare le tracce lasciate dal ghiacciaio durante le fasi di avanzata e regresso frontale, con morene, rocce montonate e massi erratici facilmente riconoscibili”, spiega Andrea Toffalletti, membro del SGL, che poi aggiunge: “mentre si percorre il sentiero si attraversano varie zone occupate dal ghiacciaio nel corso del millenni, è come ricostruire la sua storia”. Il Servizio Glaciologico Lombardo da anni monitora lo stato di salute dei principali ghiacciai regionali e anche in questo caso i dati sulla fusione glaciale registrate nelle recenti campagne glaciologiche sono tutt’altro che confortanti: il ghiacciaio di Dosdè Est dal 1932 si è ritirato di oltre 1 chilometro, di cui 650 metri circa a partire dagli anni ’80 del secolo scorso.  A tale regresso frontale è seguita un’altrettanta ingente riduzione areale pari a 47%, che ha visto passare il ghiacciaio dai 112 ettari del 1991 agli attuali 60 con una perdita media annua di 1,6 ettari, l’equivalente di 2,5 campi da calcio.

Una situazione in linea con la tendenza negativa registrata per la quasi totalità dei ghiacciai italiani. In particolare è interessante sottolineare come in Lombardia ad oggi siano riconosciuti 203 apparati glaciali ma come 124 siano stati dichiarati estinti negli ultimi 30 anni.  Un numero ancora elevato vero, ma con “la maggior parte degli stessi definiti come malati terminali e in totale disequilibrio con le attuali condizioni climatiche”, sottolinea Claudio Smiraglia. “ La quasi totalità è destinata a scomparire entro fine secolo se non saremo in grado di invertire la rotta”.

Come detto, queste iniziative hanno l’obiettivo di stimolare riflessioni e proporre idee concrete. In questo senso: “dobbiamo trovare soluzioni energetiche realmente sostenibili, capaci di influire positivamente sui comportamenti della natura”, ha affermato Marco Giardino in conclusione del suo intervento. Della stessa opinione Vanda Bonardo secondo la quale: “occorre lavorare in modo sinergico e mirato sugli effetti ma anche sulle cause che hanno portato a questa situazione, rispettivamente con azioni di adattamento e mitigazione”, sottolineando poi come “in montagna le estremizzazioni del cambiamento climatico sono ancora più evidenti, da qui la necessità di acquisire una nuova consapevolezza”.

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