Storia dell'alpinismo

Petit Dru, 30 giugno 1982. Christophe Profit cambia la storia dell’alpinismo

Parete ovest del Dru, 30 giugno 1982. Le placche e le fessure che hanno visto le battaglie di Lucien Bérardini e Walter Bonatti, di Royal Robbins e René Desmaison sono testimoni di un’avventura diversa. Se confrontata con i bivacchi, l’artificiale, le bufere e le cadute di sassi del passato, l’arrampicata solitaria di Christophe Profit sembra un battito d’ali, un fruscio di scarpette sul granito.

Partito da Chamonix in elicottero, il ventiquattrenne alpinista di Rouen, nella piatta Normandia, attacca all’una del pomeriggio, quando il sole raggiunge la parete. Indossa pantaloni leggeri e maglietta, non ha zaino né corda, né un cordino e un moschettone per autoassicurarsi in caso di malore, o di peggioramento del tempo. Christophe Profit ha già percorso per tre volte la Diretta Americana in cordata, ma una solitaria integrale è diversa. All’inizio è nervoso, poi il suo allenamento e la sua classe prendono il sopravvento, e l’alpinista supera, in velocità e in bello stile, i passaggi più difficili della via. Il diedro di 45 metri, lo strapiombo del Bloc coincé, il diedro di 90 metri sono in quegli anni tra i passaggi più difficili delle Alpi, e in libera hanno passi di settimo grado. Ma Christophe ha le ali ai piedi, ed esce dalla Ovest dopo 3 ore e 10 minuti. Un exploit incredibile, se si pensa che la parete è alta 900 metri, e che trecento metri di dislivello all’ora sono il ritmo di un escursionista tranquillo su un sentiero. Un gruppo di amici attende l’alpinista dove la via passa dalla parete Ovest alla Nord. Gli passa gli scarponi, la piccozza e i ramponi senza i quali è impossibile salire l’ultima parte, su misto. Seguono la vetta, una discesa senza storia, il ritorno a Chamonix. 

Non volevo stabilire un record, non ho fatto questa salita per la stampa, l’ho fatta per me stesso e basta” mi racconterà Christophe Profit più tardi. Le polemiche da parte dei puristi non mancano. Sulla stampa, specializzata e non, vengono criticati l’uso dell’elicottero, gli amici che aspettano con piccozza e ramponi, la mancanza di attrezzatura. Ma il ragazzo di Rouen risponde. Chi mi accusa di barare non ha capito nulla. Io sono stato leale, sono stato capace di salire in solitaria quella via perché conoscevo i passaggi, non avevo lo zaino, non ho sprecato energie nell’avvicinamento. Se avessi avuto un cedimento, se avessi avuto paura, non mi sarei potuto autoassicurare per attendere i soccorsi. Se qualcuno ripeterà la salita senza conoscerla, arrivando a piedi all’attacco e portando in parete gli scarponi e la ferraglia sarò il primo ad applaudire”.

La logica di Christophe è a prova di bomba, e il moralismo dei soloni dell’Alpe si è già fatto sentire molte volte. Stavolta, però, chi storce il naso può essere almeno compreso. Mai, nella storia dell’alpinismo, una generazione ha stracciato in questo modo gli exploit di chi è venuto prima di lei. Quando Christophe Profit compie la sua galoppata sul Dru, l’alpinismo ha già iniziato a cambiare. Sull’esempio di Reinhold Messner, di Claudio Barbier e di Enzo Cozzolino, i record del passato vengono polverizzati. Sulle Dolomiti sono gli anni di Manolo, Heinz Mariacher, Lorenzo Massarotto, Maurizio Giordani e Pierluigi Bini. Il torinese Marco Bernardi, nel 1980, compie la prima solitaria della gigantesca parete Est delle Grandes Jorasses. 

La maggioranza dei nuovi campioni vive in Francia, e gravita su Chamonix. Christophe Profit, quando compie la sua galoppata sul Dru, ha già alle spalle varie vie in tempi da record, spesso insieme a Jean-Marc Boivin, che si è trasferito sulle Alpi da Digione. Poi arrivano Éric Escoffier, Patrick Bérhault, Dominique Radigue, Alain Ghersen e Thierry Renault che merita il soprannome di Turbo. Nel 1981 Bérhault e Boivin salgono in giornata la Sud dell’Aiguille du Fou e la Diretta Americana del Dru, e per spostarsi dalla prima vetta alla base della seconda parete usano un deltaplano biposto. I giornali e la televisione vanno a nozze. 

A rendere gli alpinisti francesi delle star sono il valore dei loro exploit, e la loro capacità di promuoverli grazie a sponsor e media, che però utilizzano due pesi e due misure. Solo pochi, in quegli anni, si accorgono delle straordinarie ascensioni di alpinisti dell’Europa orientale come lo sloveno Franček Knez, che mentre Profit è impegnato nella solitaria sul Dru divora la parete Nord dell’Eiger in 6 ore. Viene trascurato anche il suo connazionale Tomo Česen, che nel 1986, un anno prima del più celebre enchaînement di Profit, concatena d’inverno e da solo le Nord dell’Eiger, delle Grandes Jorasses e del Cervino. I suoi tempi non si distaccano molto da quelli che farà registrare il francese. Tomo però, per spostarsi da una parete all’altra, non usa l’elicottero ma una Zastava 128, l’equivalente jugoslavo di una FIAT.  

Dopo la corsa sul Dru, per Christophe e i suoi emuli, non basta percorrere una sola grande via con un tempo da record. Le ascensioni devono essere due, tre o di più. Per descriverle si diffonde il termine enchaînement, concatenamento. Nel 1985, in una lunga giornata di luglio, Profit sale in 24 ore le tre pareti Nord del Cervino, dell’Eiger e delle Jorasses, dove invece dello Sperone Walker sceglie il pendio di ghiaccio del Linceul. Per passare da una parete all’altra ricorre all’elicottero. Nel 1987 supera le tre pareti d’inverno, in meno di 41 ore complessive. Stavolta, dalla vetta delle Jorasses, scende a Courmayeur con un parapendio. Un’auto lo riporta a Chamonix, da cui decolla in elicottero verso le imprese successive. 

Nell’elenco delle salite da record di Profit spiccano le prime solitarie invernali della cresta integrale di Peutérey e dell’Hypercouloir del Brouillard, nel 1984. Un anno dopo, con Dominique Radigue, Christophe concatena in giornata i quattro Piloni del Frêney. Sul Pilone Nord, il Pilone Nascosto e il Pilone Sud i due amici percorrono gli itinerari classici. Sul Centrale, per evitare l’artificiale della via del 1961, scelgono la via Jöri Bardill, un capolavoro di Michel Piola e compagni. Nel 1985, con Thierry Renault, Christophe combina il Pilone Centrale, il Grand Pilier d’Angle e la Cresta dell’Innominata. A celebrare questi exploit, insieme alle foto del settimanale Paris Match, sono il film Christophe di Nicolas Philibert e l’omonimo libro scritto dall’alpinista di Rouen.   

Negli anni che seguono, sull’esempio di Gaston Rébuffat, di Walter Bonatti e di tanti altri che si sono stabiliti a Courmayeur o a Chamonix prima di lui, Christophe Profit si dedica al mestiere di guida. Più volte accompagna i suoi clienti sulle Nord delle Jorasses e dell’Eiger. Il suo volto e le sue parole continuano ad apparire sui media. 

Nel 2021, nella prefazione a Le roman des guides, il libro che Gilles Chappaz dedica ai 200 anni della Compagnie des Guides di Chamonix, Christophe riflette sul fascino del massiccio, e su come sia corretto affrontarlo. Confessa di aver utilizzato per centinaia di volte la funivia dell’Aiguille du Midi per avvicinarsi alla magia dell’alta quota, ma fa anche una riflessione diversa. Sarebbe possibile fare le nostre salite partendo a piedi da Chamonix?” chiede a sé stesso e ai lettori. “Non sarebbe meraviglioso salire lo Sperone Frendo e trovarsi su una vetta incontaminata?” “Una salita del Monte Bianco dal Goûter incrociando meno cordate sarebbe un momento più forte nella vita di ognuno”. 

Profit conosce l’importanza degli impianti per il lavoro delle guide, ma ha il coraggio di pensare all’utopia. “La Compagnie des Guides non dovrebbe, coraggiosamente, andare controcorrente rispetto al mondo?” Rispondere con un sì o con un no è impossibile. Ma il fascino del Monte Bianco e del mestiere di guida, per il re degli enchaînement, sta nell’engagement, nella necessità di impegnarsi. 

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Un commento

  1. E’ poco ascoltato.
    L’alpinismo per affermarsi nelle masse è andato da altre parti, molto modeste.
    Però ora tutti sono visti come dei “grandi”.

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