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Agosto sul Dru, storie di cattivo tempo

Gary Hemming nel 1966 ha 32 anni, la criniera bionda ed una faccia che assomiglia a quella dei giovani connazionali che negli Stati Uniti iniziano a comprendere l’orrore della guerra del Vietnam ed un fisico atletico che impiega in formidabili arrampicate sul granito dei satelliti del Monte Bianco: le Grandes Jourasses, il Dru, il Fou, ma anche con le giovani turiste che frequentano Chamonix.

“La Scuola Militare d’Alta Montagna ha iniziato ieri sera un’operazione di soccorso che si annuncia come la più difficile e la più pericolosa di tutte quelle mai intraprese”.

E’ il 17 agosto ed il meteo continua ad essere brutto, un’estate pessima quella di quell’anno, con poche ore di schiarite tra un temporale e l’altro. Due tedeschi avevano sfidato le previsioni ed il buon senso e l’11 agosto erano partiti per salire la via aperta nel ’62 proprio da Hemming e Robbins sulla parete Ovest del Dru. Forse la più difficle via del massiccio.

Il 13 agosto uno “stratempo” investe violentemente il Monte Bianco, la temperatura precipita, ci sono vittime in Savoia ed Valle d’Aosta, ma i due tedeschi sperano ancora e proseguono nella salita. Sono sopra il diedro di 90 metri.

Il mattino successivo, su segnalazione degli amici rimasti in valle, la Gendarmeria fa alzare in volo un elicottero che si destreggia nella nuvolaglia fino a raggiungere la parte alta del Dru, dove individua uno dei due alpinisti: è sulla piccola cengia che si raggiunge dopo il passaggio “senza ritorno” del pendolo. Sono a tre quarti della salita e non fanno gesti, non chiedono aiuto.

A Montanvers, all’arrivo del trenino che parte da Chamonix, proprio di fronte al Dru, incominciano ad accalcarsi i curiosi e gli amici con i binocoli.

I due sono ancora lì, si intravedono tra il correre di una nuvola e l’altra, hanno sopra la testa ancora qualche seria difficoltà, ma indietro sarebbe veramente difficile tornare.

Passa un giorno e i due rimangono nella stessa posizione. La preoccupazione aumenta, forse uno dei due è ferito. La Gendarmeria si allerta e scatta l’allarme generale, nel senso che nella valle si diffonde un senso di solidale interventismo pubblico e privato.

Partono tre tedeschi per il rifugio Charpoua, sul versante sud del Dru, con l’intenzione di raggiungere la vetta per la via normale e di calarsi fino ai due. Anche i responsabili dell’ENSA pensano di andare in vetta e tentare un recupero dall’alto. Un gruppo nutrito di militari sale e s’installa al Charpoua per un intervento d’appoggio. A chi non è chiarissimo.

Ma il meteo s’accanisce al brutto.

E’ il 17 agosto, sono sette giorni che i due tedesci sono in parete, avevano viveri per tre giorni. Tutti ormai pensano al peggio, ma la macchina è in moto e tutto va tentato. Un elicottero buca le nebbie e li individua. Si muovono, sono vivi.

Sono più di una trentina le persone impegnate sui vari fronti della montagna nel tentativo di raggiungerre la cengia al di là del pendolo. Ogni gruppo con la sua idea sul modo di farcela.

La guida Méhot, con tre colleghi, è quello che si avvicina di più : è sulla via normale del Dru, arriva fino alla “Cengia di Quarzo”, ma ricomincia a nevicare e nonostante abbia sperato di farcela a raggiungere i due, entro sera deve rinunciare.

A quel punto tutti si concentrano sull’arrivare in cima per poi da lì calarsi fino ai ragazzi tedeschi. Più facile a dirsi che a farsi in quelle condizioni meteo.

E qui inizia un’altra storia, che sarà risolutiva rispetto a questa fin’ora raccontata.

Il 18 agosto Gary Hemming spende i pochi soldi che ha per passere il Tunnel ed andare a Courmayeur, da quella parte del Bianco il tempo sembra essere migliore. E’ con Lothar Mauch e vogliono fare delle salite. In un bar legge il Dauphine Libéré acquistato prima di partire ed apprende la cronaca dei soccorsi al Dru e gli scatta il richiamo ancestrale: bisogna andare. I due sono in pericolo sulla sua via e lui ha la soluzione per salvarli.

Investe l’altra metà del suo (dell’amico in verità) capitale per rientrare a Chamonix.
Non la prendono per niente bene a Chamonix quando, nella sede delle Guide prima e poi della Gendarmeria, Gary dice che vuole salire, subito, per raggiungere i tedeschi per la sua via, quella che loro stavano tentando. Alla fine, forse per toglierselo dai piedi, gli danno una radio per mantenere i collegamenti.
Messi insieme altri quttro forti amici, oltre a Lothar, il 19 mattina in 6 sono sul Dru, ma sono costretti a bivaccare fin dalle prime ore del pomeriggio.

Il mattino dopo, presto, sentono delle voci appena sotto di loro. Sono René Desmaison con Vincent Mercié. René è uno dei più profondi conoscitori del Bianco, ha un’esperienza eccezionale su queste pareti, d’estate e d’inverno, conosce il Dru come le sue tasche. E’ incazzato nero con l’Ensa, con le Guide di Chamonix, che non prendono decisioni risolutive, e con i militari. Lui ha deciso per sè. Sono ora in otto sulla via diretta degli americani sulla ovest del Dru e si dividono in due gruppi: il primo va avanti di corsa, i secondi tirano su viveri e materiali.

Il Dru è assediato. Ci sono gli alpinisti dell’ENSA, le Guide di Chamonix, la Scuola Nazionale di Alpinismo e cordate della Federation Francaise de la Montagne. Tutti vogliono salire in vetta e poi scendere. Alcuni sono già in alto.

Ma Desmaisone e Hemming sono ormai vicini ai due tedeschi: “Blocca, blocca!” Grida Renè mentre vola a causa di un cuneo che non lo regge. La fortuna interviene. “Sono salvi!” Gracchiano nella radio Renè e Gary.

Dopo sette bivacchi, la domenica mattina i due naufraghi sono raggiunti, sono vivi e in condizioni che consentono loro di muoversi.
Non dopo alcune divergenze con la centrale del soccorso collocata a valle, inizia per soccorritori e per Heinz e Hermann, questi i loro nomi, la lunga ma sicura serie di calate in corda. La sera bivaccano ancora sulla cengia prima della base, sono sotto un furioso temporale carico di fulmini. Il tempo con l’approssimarsi del nuovo giorno sembra placarsi e con pazienza scendono, a sera finalmente tutti si riparano sotto le tende che nel frattempo erano state montate alla base della parete.

Desmaison pagherà la sua insubordinazione alle autorità alpinistiche costituite con l’espulsione dalla Compagnia delle Guide, il vero eroe di quell’operazione al Dru, anche perchè si prestava ad esserlo, divenne Gary Hemming.

Paris Match gli fa scrivere un lungo articolo per raccontare quell’evento drammatico ed eroico che aveva fatto trattenere il fiato ai francesi – e non solo – per giorni. Gary lo scrive con uno stile poco alpinistico, trascurando i dettagli tecnici, ma con ricchezza di elementi umani e di riferimenti al mondo alle prese con problemi formidabili come la guerra in Vietnam ed il terremoto in Turchia.

Un americano eroe in Francia. Solo a Bonatti nel ’61 erano toccate le glorie francesi dopo l’immensa tragedia estiva del Pilone Centrale. Ma così andarono le cose.

Nel 1969, tre anni dopo i giorni impetuosi del Dru, Gary Hemming muore sulle Montagne Rocciose per un colpo della pistola che si portava sempre nello zaino. Nessuno sa realmente il perché.
Quella sera vicino al lago Jenny c’era da mangiare e c’erano vino e birra. Ci furono discussioni e alcune violente contrapposizioni tra “amici”, poi un colpo di pistola echeggiò sulle calme acque del lago.

La vita e la storia di Gary Hamming è raccontata mirabilmente da Mirella Tenderini in “Gary Hemming, il ribelle delle cime”, edito da Alpine Studio. 

Nel 1973, non avevo ancora 18 anni, con Franco Nembrini ebbi la fortuna salire la diretta degli americani, la via di Hemming e Robbins al Dru. Una linea bellissima e un’esperienza che incise nel mio modo di pensare e praticare l’arrampicata e l’alpinismo

 

Foto in alto @ Francesca Cortinovis – Archivio Montagna.tv

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