AlpinismoAlta quota

La vetta dell’Everest? “Un’emozione immensa”. Intervista ad Andrea Lanfri

Oggi al campo-base dell’Everest il tempo è brutto, gli elicotteri non possono volare, per il rientro a Kathmandu bisogna attendere ancora. Ma Andrea Lanfri è felice lo stesso. Venerdì scorso alle 5.40 ora del Nepal, quando era notte fonda in Italia, l’alpinista e atleta paralimpico di Lucca ha raggiunto gli 8848 metri della cima dell’Everest, il sogno di ogni alpinista. Insieme a lui c’era la guida alpina trentina Luca Montanari.

L’Everest di Andrea è stato speciale. Nel 2015 il ragazzo di Lucca, che oggi ha 36 anni, è stato colpito da una meningite da meningococco C, che gli ha causato la necrosi dei tessuti, e l’amputazione delle gambe poco sotto al ginocchio, e di sette dita delle mani. Una menomazione analoga a quella della campionessa di scherma Bebe Vio. Ma Andrea, come Bebe, non si è arreso. Dopo qualche mese di stop ha ripreso a camminare, a pedalare e a correre, stabilendo vari record italiani e vincendo una medaglia d’argento ai Mondiali paralimpici di atletica del 2017 a Londra. Poi è tornato all’arrampicata e all’alta montagna, dal Monte Rosa all’Himalaya. Ecco le sue prime impressioni, raccontate dai 5300 metri del campo-base. 

Quando hai capito che ce l’avevi fatta? E che emozioni hai provato?

Ho capito di avercela fatta sull’Hillary Step, che è davvero un passaggio delicato. E’ stata un’emozione grande! Ho accelerato ma ancora non ci credevo, nell’ultimo tratto che è facile, quasi pianeggiante, volevo correre verso la vetta. Invece il fiatone mi ha fatto fare due pause, con le bandierine di vetta davanti a me! 

E poi sei arrivato in vetta

Sì, alle 5.40 del Nepal. Un’emozione immensa, un’immagine dentro di me che sognavo da anni e finalmente ero lì. Mai nella mia vita avrei detto di godere di così tanta bellezza e felicità. Ma dove cavolo sono? Guarda dove sono arrivato! Intorno c’era un panorama pazzesco. La sera al campo 2  Luca continuava a ripetermi dove eravamo stati. Ma io no, non ci credo ancora.

Per te è stata più dura che per altri. Molto più dura…

È proprio vero, se non mi fossi rialzato ad ogni caduta mi sarei perso molte cose. All’inizio tentavo di fare con le protesi un breve sentiero sopra casa. Ho fallito per decine di volte, sono caduto, ma ogni volta mi sono rialzato. Tutte le fatiche, tutti gli allenamenti, le persone che ho conosciuto lungo questo cammino, mi hanno portato a vivere questa gioia. Grazie è una sensazione bellissima!

Che impressione ti ha fatto la via di salita? Dimmi della seraccata, l’Icefall. Che effetto fa passare su quelle scalette e sotto a quei seracchi?

Un luogo tanto affascinante quanto pericoloso. Se la fai una volta sola può essere ganza e divertente. Noi invece ci siamo passati per sei volte.

E l’ultima parte? La salita dal Colle Sud alla cima?

La salita, tutta in notturna è iniziata con un canale, per poi proseguire in cresta e per finire con lo Hillary Step. In salita tutto benone, ma mi hanno fatto impressione i cadaveri, vestiti come se stessero continuando la salita. 

E i vivi? C’era molta gente sul tuo Everest? 

No. Io e Luca eravamo in testa al gruppo, siamo stati i terzi ad arrivare in vetta, non c’era affollamento, abbiamo fatto tutto veramente con calma solo il forte vento ci ha dato fastidio. In discesa, passato lo Hillary Step, abbiamo incrociato un po’ di gente che stava salendo. Siamo stati fortunati!

Dimmi di te. Hai usato protesi nuove o già “collaudate”? Il freddo e la quota ti hanno creato problemi particolari?

Le protesi erano già state provate nelle mie salite di questi ultimi anni. Ne ho un paio che ho utilizzato per tutta la parte trekking, e un altro paio per la parte alpinistica, dal campo base in poi.

Nessun problema meccanico? 

In discesa, all’improvviso ho sentito un fastidio nel camminare sul piede destro, mi sono fermato e ho cercato di capire. Ho concluso che si era rotto il piede, ne avevo uno di scorta, ho deciso di proseguire se si fosse rotto definitivamente l’avrei cambiato. Arrivato nella tenda del campo 4 ho tolto le scarpe e ho controllato. Della neve ghiacciata tra le lame di carbonio impediva il movimento del piede, non era rotto. Pian piano l’ho ripulito, l’indomani sono ripartito. 

Che impressione hai avuto degli Sherpa?

Non è la prima volta che vengo a contatto con gli sherpa già nel 2019 quando ho salito lo Hiunchuli avevo con me uno sherpa. Sono gentili e disponibili! 

Hai incontrato Kami Rita, che quest’anno è arrivato in cima per la ventiseiesima volta?

Sì, l’ho incontrato due volte, una al campo-base e una al campo 2. Ho stretto la mano a lui, a Mingma David, e Nirmal Purja. Sapevano tutti di me, e questo mi ha dato molta carica!

Che avventure hai in programma per l’estate? Ovviamente dopo un meritato riposo

Continua il progetto delle Seven Summits. In programma ci sono già il Kilimanjaro a fine agosto e l’Aconcagua all’inizio dell’anno. Poi, sempre nel 2023, toccherà al Vinson e al Denali.

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Un commento

  1. Grande successo e grande determinazione, complimenti ad Andrea!! E il valore di questa salita sarebbe rimasto intatto anche laddove i quotidiani nazionali (o gli sponsor?) avessero fatto a meno di enfatizzare l’impresa come la prima assoluta all’everest di un paratleta senza uso di ossigeno, che invece mi pare sia stato utilizzato,

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