Storia dell'alpinismo

Trittico del Frêney, i 15 giorni sul Monte Bianco di Casarotto

Era il primo febbraio 1982 quando Renato Casarotto partiva solitario per un viaggio verticale che oggi appartiene alla storia dell’alpinismo e dell’esplorazione. Nessuna esperienza extraeuropea, solo un pesantissimo zaino (40 chili pesati sulla stadera, ci ricorda Roberto Mantovani) e nessun collegamento con il resto del mondo. L’obiettivo? Oggi lo chiamiamo Trittico del Frêney, ma al tempo non voleva dire assolutamente nulla. Se l’è inventato Casarotto, dal nulla, in un periodo dove si prediligevano salite in velocità. Flash dal sapore sportivo che poco avevano a che fare con lo stile dell’alpinista vicentino allora poco più che trentenne. “Un exploit assolutamente fuori moda, grandioso” spiega Mantovani, che con Casarotto ha avuto il piacere e l’onore di condividere una bella amicizia. “Al tempo si puntava molto sulle salite brevi e veloci, lui parte con questo zaino enorme. È stato difficile comprendere nell’immediato la dimensione della realizzazione.

Partito nel cuore dell’inverno, in solitaria, Renato Casarotto puntava a salire senza soluzione di continuità la via Ratti-Vitali sulla ovest dell’Aiguille Noire de Peutèrey, la via Gervasutti-Boccalatte al Picco Gugliermina e la Bonington al Pilone Centrale del Frêney per poi concludere questo concatenamento sulla cima del Monte Bianco e spingersi in una diretta discesa verso Chamonix. “Un rientro rocambolesco. Tira giù una riga dritta, affrontando tratti con la neve al petto” continua Mantovani. “Una volta arrivato in paese si reca all’ufficio turistico, spiega di arrivare dal Bianco e fa il nome di Renzino Cosson. Conoscendolo i francesi decidono di chiamarlo. Appena ricevuta la telefonata è saltato in macchina per andarrlo a prendere”.

Facciamo qualche passo indietro. L’idea di affrontare in pieno inverno e in solitaria le difficili vie che abbiamo nominato non nasce all’improvviso. Casarotto coltivava l’intenzione già da alcuni anni e il progetto lo “aveva impegnato in più tentativi, che per vari motivi si erano risolti con un nulla di fatto” ricorda lo scalatore su uno storico numero della compianta Rivista della Montagna (n. 51, luglio-agosto 1982). “Questi tentativi però mi avevano permesso di valutare meglio il mio impegno e di poter capire pienamente il tipo di sforzo che la mente doveva richiedere al fisico”. Già nell’inverno del 1980 si era cimentato sulla sud delle Noire, l’anno successivo l’avrebbe visto provare altre tre volte. Sarebbe poi riuscito a vincere la cresta sud, sempre nel 1981, ma in estate e nel tempo record di 2 ore e 40 minuti.

“Un’impresa che sconcerta” scriveva la giovane penna di Mantovani. “Siamo in presenza di una concezione nuova, che in qualche modo sembra finalmente ricollegare l’alpinismo alla storia, annullando la frattura di significato venutasi da tempo a creare tra le prime salite e il fenomeno delle ripetizioni in serie di grandi vie. Un exploit mai più ripetuto da nessuno, se non in estate come fatto dalla cordata Cazzanelli-Ratti nel corso dell’estate 2020.

15 giorni sul Monte Bianco

È partito di lunedì Renato Casarotto con il suo pesante carico. Ha marciato per sei ore fino a raggiungere la base della ovest dell’Aiguille Noire, dove poi ha bivaccato. Per lui era la prima esperienza su quelle vie, non le conosceva nemmeno nella loro versione estiva. La sud, su cui già era salito, ora non rientrava più tra i suoi obiettivi. “Quest’anno ho eliminato dal mio percorso la cresta sud perché volevo rimanere fedele a una precisa scelta, quella di non ripetere mai d’inverno una via già percorsa in precedenza in altre stagioni.

All’alba del 2 febbraio il vicentino inizia a muovere i suoi primi passi sulla Ratti-Vitali. Sale in autosicura e impiega tre giorni per vincere le difficoltà della via e del momento. L’inverno è duro, i passaggi più facili divengono difficili a causa di neve e ghiaccio, lo zaino pesa come un macigno e il cielo promette tempesta, e così avviene. Nella bufera Renato si muove lento fino a sbucare sulla cima dove monta la sua tendina e si sistema per la notte. Il 5 scende con le doppie per il versante nord, quindi si prepara a risalire il ghiacciaio del Frêney, dove l’insidia è dietro l’angolo e il rischio di finire in un crepaccio per nulla scontato. Per sondare il terreno impiega dei bastoncini lunghi, da sci di fondo, che gli permettono di andare più profondità nella neve.

Il 7 attacca la Gervasutti-Boccalatte al Pic Gugliermina. In giornata riesce a superare i primi 700 metri di via, gli ultimi 400 gli richiedono altre due giornate di difficile arrampicata esposta e verticale. Anche qui, dopo una partenza tranquilla, si trova ad affrontare venti di bufera e fitte nevicate. Il 9 eccolo poi sbucare oltre. “Dalla sommità dell’Aiguille Blanche mi sono calato con tre doppie sul Col Peuterey” dove poi ha scavato una truna in cui bivaccare.

L’11 febbraio tocca all’ultima salita, quella della via Bonington al Pilone Centrale del Frêney. Siamo ormai alla fine delle fatiche, ma prima di cantar vittoria il vicentino deve affrontare 600 metri di granito, i più difficili dell’intero percorso. Casarotto è stanco e provato dagli ormai undici giorni di continua montagna. Solo, messo in difficoltà dalle condizioni, destinato a dover fare affidamento esclusivamente sulle sue forze e sulle sue abilità, inizia la salita. In due giorni raggiunge la base della Chandelle. Il 13 febbraio inizia a muoversi su questa complicata parte del tracciato, la più tecnica. Mentre scala ecco tornare il maltempo. Come se la tempesta fosse lì a osservarlo nella sua progressione l’ultimo giorno su ogni via è caratterizzato dall’imperversare della bufera. Non si può fermare, può solo tirare avanti e uscire dal tratto verticale per poi andare alla ricerca di un punto riparato dove potersi fermare a riposare in attesa che il cielo plachi la sua furia. Per Casarotto questo punto è la cresta del Brouillard. “La sommità del Bianco l’ho raggiunta il giorno dopo, quasi senza rendermene conto, nella nebbia fittissima”. È il giorno di San Valentino e per Renato si prospetta ancora una dura notte sulla montagna, nel suo punto più alto. “Da ovest stava arrivando il finimondo” così, senza pensarci, decide di scavare una buca e attendere. “È stata una delle notti più dure di tutta la mia carriera alpinistica”. Alle prime luci del 15 febbraio si rimette in marcia, in qualche modo ora deve scendere verso valle. La nebbia è fitta e lui non conosce il versante francese del Monte Bianco, è la prima volta. A istinto raggiunge la capanna Vallot, che tante volte ha offerto riparo agli alpinisti nei momenti più disperati, ma è inutilizzabile. Tra neve instabile e fidandosi unicamente dei propri sensi riesce a raggiungere prima il rifugio Gouter e poi Chamonix.

È finita, può rilassarsi lui e anche i suoi amici e la sua famiglia. In quei quindici giorni in cui Renato ha vissuto la più intima delle esperienze che le Alpi concedono il mondo dell’alpinismo si è agitato, lo si è dato per morto. Si è anche alzato in volo un elicottero per cercarlo mentre lui era lì, a lottare contro gli elementi, fino a riuscire in qualcosa che in pochi erano pronti a capire veramente. “Portare a termine questa impresa, che mi ha richiesto un impegno incessante per quindici giorni consecutivi, con l’avversità del tempo che ha aumentato le difficoltà della montagna, è stata una cosa grande. L’impegno psicologico e fisico, l’isolamento in un ambiente ostile e grandioso ad un tempo hanno focalizzato in me nuove ed insospettate forze che mi hanno permesso di superare le difficoltà incontrate”.

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6 Commenti

  1. Tutte le mattine nel preparare l’impresa passava davanti a casa mia di corsa ,Villa di Serio Ponte Nossa andata e ritorno. Con il suo immancabile cappellino rosso. Io ero in strada per andare a scuola e ad ogni passaggio un cenno di saluto. Mi commuovo ancora oggi al pensiero. Non sapevo chi fosse ,mio padre disse solo così ” È il più forte e bravo alpinista che c’è”. Conservo le sue scarpette da arrampicata come una reliquia. Grazie Renato.

  2. … “avevo con me una mezza forma di grana, il sacco per colpa sua pesava tanto, ma mangiavo bene e buono” …

    Ogni tanto ci raccontava le sue storie.

    Che alpinismo !!!

  3. Nel 2001 circa,non ricordo bene l’anno,Bonatti tenne una delle sue rare conferenze a Chiavari su invito del caro amico, appassionato di montagna Graziano Zolezzi.
    Durante il pomeriggio, in una libreria, oltre ad un paio di suoi libri gli porsi per una firma ” Oltre i venti del nord” di R.Casarotto, sfoglio il libro lesse brevemente la sua prefazione e la controfirmo visibilmente comosso.

  4. Comunque adesso il trittico viene fatto d’estate ed è stato “messo in sicurezza” da guide con segnaletica e con soste e/o calate a fix…. ora si fanno i record di velocità col materiale portato anche da amici in elicottero.

    Le tre vie sono state aperte e per tanti anni ripetute senza fix, da molta più gente di adesso.

    Roba che non rifarò più, quindi non saprò mai come, dove e quanto sia stato fatto.
    La nuova cultura dell’alpinismo italiano!

  5. Indimenticabile anche quando allenava noi giovani nella palestra di viana di nembro assieme ad un altro grande, Sandro Fassa morto nel 1984 sulla sentinella rossa versante brenna del monte bianco. Ad onor del vero fu proprio Sandro a portargli delle provviste al Colle Peuterey.

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