Cronaca

Sergi Mingote, portato via da un sogno

Tra gli alpinisti chi sa comunicare con un bel sorriso e con allegria spicca sempre, se poi ha talento ancora meglio. Il palmares di Sergi Mingote conta 11 Ottomila, il primo nel 1998. Sale il Cho Oyu, poi tocca allo Shisha Pangma e all’Everest, per ben due volte: dal versante tibetano e da quello nepalese. Nel 2018 concatena K2 e Broad Peak, compiendo entrambe le salite in soli sette giorni. Due ascensioni che segnano l’inizio del suo ambizioso progetto “14×8000 Catalonia Project” con cui ambisce a scalare tutti e 14 gli Ottomila in un tempo massimo di 1000 giorni. Dopo aver raggiunto, nel corso del 2019, la vetta di Manaslu, Lhotse, Nanga Parbat, Gasherbrum II e Dhaulagiri è purtroppo costretto a interrompere la sua corsa a causa della dilagante pandemia da Coronavirus che ferma il mondo. Ma questo non impedisce al catalano di continuare a coltivare il suo sogno, che comunque mirava alla chiusura del progetto in un tempo inferiore a quello impiegato dal sudcoreano Kim Chang-ho. “Penso che sia possibile dimezzare il tempo, e farlo senza utilizzare bombole di ossigeno la rende una sfida di primordine in cui il corpo raggiunge i limiti delle sue capacità fisiche e mentali” ci aveva raccontato Mingote.

Non era solo un alpinista Mingote, come detto all’inizio era un gran comunicatore, un entusiasta della vita sempre pronto a imbarcarsi in nuove sfide, o viaggi. Nel corso dell’ultima estate 2020 sui pedali di una bici gravel si è incamminato in un lungo itinerario di oltre settemila chilometri con l’obiettivo di toccare le 14 vette più iconiche del vecchio continente a sostegno della candidatura olimpica di “Pirineus Barcelona 2030”. Mingote era un sognatore, con un forte senso dell’etica. “Le persone trovano ispirazione nei sogni e sognare per me significa fare ciò che ancora non è stato fatto”, questa la ragione che l’ha portato ai piedi della seconda montagna della Terra in pieno inverno, senza ossigeno. “Questo è il mio stile, il mio modo di intendere la scalata alle più alte montagne della Terra” ci ha risposto quando gli abbiamo chiesto delle bombole e dello stile scelto sul K2. Una vetta verso cui ha sempre portato rispetto e forse anche un po’ di timore, com’è giusto che sia. Quando la vedi per la prima volta ti stupisce e rapisce, ti disorienta e un po’ ti spaventa. “Quando mi si è presentata l’opportunità di portare avanti, con il mio amico Dawa Sherpa, un progetto così emozionante e stimolante come il K2 ho subito sentito un brivido lungo la schiena. Conosco bene il K2, è una montagna incredibile, all’idea di affrontarla in inverno sono emozionato e al contempo rispettoso”. Alla fine il K2 se l’è preso nel giorno della vittoria nepalese.

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