Alta quota

Sergi Mingote: stop al progetto, ma il sogno continua

L’obiettivo di Sergi Mingote, atleta Millet, era portare a termine la scalata del 14 Ottomila in un tempo massimo di 1000 giorni, ma oggi questa non è più la sua priorità. A dirlo è lui stesso nell’intervista che segue. “Al momento la cosa più importante è che ognuno di noi metta il suo granello di sabbia per fermare questa pandemia” ci racconta. Rientrato frettolosamente in Spagna dopo la decisione del governo nepalese di chiudere le montagne a causa del rischio legato all’epidemia di Coronavirus ne abbiamo approfittato per fargli qualche domanda e conoscere meglio questo alpinista 49enne che, tra le sue tante attività, è anche stato ambasciatore della candidatura olimpica “Pirineus Barcelona 2030”.

Ciao Sergi, partiamo dall’attualità. In questa primavera si sarebbe dovuta svolgere la seconda parte del tuo progetto “14×8000 Catalonia Project”. Tuttavia, con il Coronavirus che sta paralizzando il mondo, come pensi di poterlo gestire?

“In realtà non mi preoccupo per questo. Sono riuscito ad adattare il calendario mio progetto ‘14×8000 Catalonia Project’ in modo da riuscire a battere il record di Kim Chang-ho (7 anni, 10 mesi, 6 giorni). Penso che sia possibile dimezzare il tempo e farlo senza utilizzare bombole di ossigeno la rende una sfida di primordine in cui il corpo raggiunge i limiti delle sue capacità fisiche e mentali.”

Hai in mente una partenza a breve?

“A giugno partirò per il Pakistan per cercare di portare a casa l’ultimo Ottomila ancora da salire in Karakorum, il Gasherbrum I. A settembre invece tenterò Annapurna e Makalu, i due che avrei dovuto salire questa primavera.”

Gli altri?

“Nel 2021, dovrò affrontarne 4 per completare il mio progetto. Sarà un anno intenso, ma ora questi sono solo sogni. Al momento la cosa più importante è che ognuno di noi metta il suo granello di sabbia per fermare questa pandemia. Bisogna stare a casa e non dovrebbe essere un consiglio, ma un obbligo dettato dal buon senso e dalla responsabilità.”

Bravo Sergi. Ci racconti qualcosa su come stai passando queste giornate, su come ti stai mantenendo in forma?

“Divido la settimana in dodici allenamenti: sei dedicati alla forza e sei alla resistenza. Due sessioni giornaliere per sei giorni a settimana. Un totale di circa quindici ore di allenamento a settimana, l’unico modo per mantenere la condizione.”

Parliamo ancora del tuo progetto, come mai hai deciso di inseguire un record?

“Le persone trovano ispirazione nei sogni e sognare per me significa  fare ciò che ancora non è stato fatto. Superare i confini dell’ignoto e, insieme a essi, i nostri limiti e le nostre paure.

Negli anni Settante dissero a Reinhold Messner che non sarebbe stato possibile scalare l’Everest senza bombole d’ossigeno, perfino la comunità scientifica affermò l’impossibilità di questa impresa. Alla fine ci provò, riuscendoci. Un chiaro esempio di come l’essere umano sia in grado di superare se stesso alla ricerca di traguardi che mai e poi mai avrebbe immaginato.”

Quindi non vai alla ricerca di un record fine a se stesso, è più una tua ricerca personale?

“Infrangere un record con quell’unico obiettivo non trovo abbia molto senso. Cercare invece di realizzare i propri sogni andando alla ricerca della vera felicità ti porta oltre i numeri e gli obiettivi sportivi. Questo modo di pensare mi ha probabilmente reso un ‘costante insoddisfatto’, ma sono fatto così.”

Qualche domanda in dettaglio. Sul Lhotse, dopo la morte di Ivan Yuriev Tomov, hai scelto di rinunciare. Quando vale per te la rinuncia?

“È un prezioso insegnamento della montagna. Penso che il fallimento sia parte della strada che conduce al successo. In quel momento, con Ivan morto tra le mie braccia, la decisione migliore è stata il rientro. Me l’hanno chiesto sia il cuore che la testa e io li ho ascoltati. Non esiste montagna che valga la vita.”

A cosa vorresti dedicarti dopo aver concluso  il tuo progetto “14×8000 Catalonia Project”?

“Vorrei continuare a sognare in grande. La vita senza sogni non è vita. Su alcuni taccuini non ho già scritto di nuove sfide, tra cui un grande viaggio. Voglio continuare a motivarmi cercando qualcosa di nuovo.”

Ci racconti qualcosa sugli inizi? Quando ti sei appassionato alla montagna?

“La montagna mi ha appassionato fin da piccolo, poter vivere tra sport e natura mi affascina molto.”

Qual è stata la tua prima spedizione?

“Nel 1997, in Ecuador, quando ho scalato 5 vulcani in 10 giorni. È stato il mio primo incontro con l’alta quota e mi sono conto di come il mio corpo si sia adattato in fretta alla mancanza di ossigeno. Da quel momento non mi sono più fermato arrivando a organizzare oltre quaranta spedizioni negli ultimi venti anni.”

In questi anni cos’hai imparato sugli Ottomila?

“È come se fossero casa mia. Quei luoghi in cui la vita è impossibile, quelle altezze in cui il vento e il freddo diventano insopportabili, sono attimi che mi riempiono di vita e mi permettono di crescere giorno dopo giorno.”

Quale pensi sia il più difficile secondo la tua esperienza?

“Credo il K2. È stata un’esperienza davvero difficile in cui ho vissuto attimi di grande pericolo. Si tratta di una montagna molto impegnativa tecnicamente, fisicamente e mentalmente.”

Il più affascinante?

“Il Dhaulagiri. Una montagna poco gentile, che mostra la sua faccia peggiore, ma con un incredibile fascino. Ho vissuto momenti molto difficili lì, impegnandomi in sedici ore di dura salita. Il premio però ha superato ogni aspettativa.”

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