Alta quota

In bici e a piedi, dall’oceano all’Ojos del Salado

Tre amici in bicicletta per 350 chilometri fino a raggiungere le pendici dell’Ojos del Salado, il più alto vulcano al mondo per quindi proseguire a piedi fino in vetta.

Un viaggio in totale autonomia, portando tutto il necessario sui pedali e sullo zaino, che si è concluso ai 6.893 metri della cima del vulcano. A raccontarci di questa avventura è il nostro Mirco Robaldo, che già l’anno scorso ha trascorso il periodo natalizio in Sud America pedalando in solitaria lungo la Carretera Austral.

Ciao Mirco, per il secondo anno di fila sei tornato in Sud America e, come l’anno scorso, in Cile. Cosa ti appassiona di questa terra?

“Per un ligure come me una terra stretta e lunga come il Cile, divisa tra mare e montagna, ha un fascino particolare. È un po’ come ritrovare qualcosa di familiare.”

Quest’anno hai deciso di affiancare alla lunga pedalata anche una salita in alta quota, il tutto in autonomia. Come mai?

“Quattro anni fa ho subito un infortunio al ginocchio con conseguente operazione ai menischi che aveva diagnosticato anche una brutta lesione alla cartilagine. Ho quindi dovuto evitare di caricare eccessivamente l’articolazione scegliendo di tralasciare la montagna per dedicarmi alla bici e iniziando a praticare viaggi da cicloturista. Pedalando la situazione è migliorata e sono così potuto tornare a praticare la montagna e l’alta quota.

Quando ho immaginato la salita all’Ojos del Salado mi è subito venuto in mente di coniugare le due passioni: montagna più bici.”

Bici, montagna e questa volta anche due compagni di viaggio…

“Si con me c’erano Marco Berta e Grazia Franzoni che sono stati i miei ‘tutor’ durante i corsi CAI, quando ho iniziato a frequentare la montagna. Con il tempo siamo diventati grandi amici arrivando a progettare, immaginare e pianificare tanti viaggi e spedizioni che poi, per un motivo o per l’altro, non siamo mai riusciti a fare.

Per loro questa non si tratta della prima esperienza di questo tipo. Quindici anni fa, per il loro viaggio di nozze, sono partiti dall’oceano in bici fino a raggiungere i piedi dell’Aconcagua, la cima più alta del continente americano, e da lì fino in vetta”.

Ci racconti qualche dettaglio? Da dove siete partiti?

“Siamo partiti da Caldera, in riva all’oceano Pacifico, e pedalando per 5 giorni abbiamo coperto i 360 chilometri e 5.600 metri di dislivello che ci separavano da Laguna Verde (4.350 m), nel cuore del deserto di Atacama. È stata un’esperienza molto particolare, non ero mai stato prima in un posto così inospitale da un punto di vista ambientale. Un luogo veramente desolato ma affascinante e meraviglioso. Il giorno di Natale, in 98 chilometri di percorso, abbiamo incontrato meno di dieci veicoli in totale. 

Il caldo torrido e secco ci ha accompagnati ogni giorno, anche a 4.000 metri. Una condizione che ci ha impegnati oltre quello che ci aspettavamo. A cavallo tra Natale e Capodanno tutto il Cile è stato colpito da un caldo anomalo. Il sole era molto intenso e come in ogni deserto che si rispetti trovare l’ombra è stato come cercare l’oro. Pedalando ci siamo ustionati braccia e gambe”.

Come avete fatto con l’acqua?

“Abbiamo scelto di intraprendere il viaggio in autonomia ma siamo riusciti ad accordarci con un’agenzia locale per un paio di depositi di acqua e cibo a Laguna Verde (4.300 m) e ad Atacama (5.250 m) i campi base dove abbiamo sostato per più giorni. 

A causa del caldo eccessivo, che personalmente mi ha portato a bere più di 6 litri di acqua al giorno, abbiamo dovuto chiedere altra acqua alle auto e ai camion incontrati sul percorso. Sono stati tutti molto disponibili”.

Dopo l’arrivo a Laguna Verde come avete proseguito la spedizione?

“In questa laguna salatissima, un posto fantastico, ci siamo fermati tre giorni per fare acclimatamento con qualche puntatina ai 5.900 metri delle cime lì intorno. Poi abbiamo proseguito in bici fino al vicino rifugio Murray (4.550 m), una costruzione incustodita abbastanza fatiscente, dove ci siamo resi conto che la strada per il rifugio Atacama (in realtà un container posto a 5.200 m, ancora più fatiscente del primo) era impraticabile con le bici perché troppo sabbiosa a causa della stagione di quest’anno che è stata particolarmente secca.”

Avete proseguito a piedi?

“Si, ci siamo caricati tutto il necessario per la salita sullo zaino e abbiamo iniziato questo lungo percorso sabbioso di 21 chilometri per 700 metri di dislivello. È stato eterno, credo sia stata la giornata più lunga di tutte”.

Finalmente sotto al vulcano…

“Si, raggiunto il campo di Atacama abbiamo ancora fatto una salita al bivacco Tejos (5.830 m) per migliorare il nostro acclimatamento, quindi ci siamo riposato un paio di giorni.

Il due gennaio siamo partiti da Atacama per la vetta. Abbiamo scelto di non dormire al Tejos perché per nostra esperienza preferiamo dormire meglio più in basso affrontando poi un maggior dislivello in un’unica soluzione. Marco e Grazia sono partiti durante la notte con l’intenzione di fare una sosta al Tejos. Quando li ho raggiunti, un paio di ore dopo, Marco non stava bene. Siamo ripartiti insieme ma piano piano hanno perso terreno, comunicandomi poi, tramite il Garmin InReach che usavamo per tenerci informati delle reciproche condizioni, la loro decisione di rinunciare alla vetta fermandosi a una quota di 6.500 metri. Mi è dispiaciuto veramente molto, condividere la cima insieme era il sogno di tutti e tre.”

Quanto è soddisfacente portare a termine un progetto come questo in autonomia?

“Molto, anche se tutto risulta più impegnativo, soprattutto mentalmente. 

Ogni giorno si smonta e rimonta la tenda, si carica la bici o lo zaino, si prepara da mangiare, spesso chiusi nella tenda perché da mezzogiorno alla sera soffia un vento teso che comporta tanta polvere. Poca acqua, niente doccia. Oltre a questo poi la quotidiana fatica sui pedali, a piedi, il caldo, la polvere del deserto, l’alta quota. Dopo dieci giorni inizi a non poterne più e inizi a sognare una doccia, un letto, un pasto normale. Inizi a chiederti chi te l’abbia fatto fare.” (ride) 

Avete incontrato altre spedizioni sull’Ojos del Salado?

“Pochi gruppi tutti supportati da agenzie, niente a che vedere con un campo base organizzato come quello avevo trovato all’Aconcagua dove puoi trovare veramente molte comodità. Siamo però rimasti un po’ delusi dalle condizioni pietose in cui abbiamo trovato i bivacchi della zona; basterebbe dedicargli un po’ di cura in più e mantenerli puliti, ma la cosa sembra non interessare nessuno. Le spedizioni commerciali arrivano, montano grandi tende mensa e si fanno gli affari propri; inoltre utilizzano i fuoristrada 4×4 per portare gli alpinisti su e giù dalla montagna, spesso salendo fino a 5800 metri. Una volta, durante una salita di acclimatamento ho incontrato un pickup salito a oltre 5900 metri per recuperare alcuni alpinisti in discesa dalla cima. 

Non vorremmo sembrare troppo dei puristi, ma a tutti e tre è sembrato eccessivo ed esagerato. Cosa c’è di bello nel salire una montagna in questo modo?”. 

Anche il rientro l’avete fatto sulle due ruote?

“No, nemmeno a pensarci. (ride). Gli ultimi giorni prima della vetta eravamo talmente snervati che davamo più importanza al modo per rientrare velocemente verso l’oceano che alla salita in cima. Alla fine siamo stati fortunati perché durante la salita in vetta abbiamo incontrato due alpinisti cileni che la sera tardi ci hanno caricati sul loro pickup e portati al rifugio Murray. La mattina successiva dopo aver recuperato bici e materiali e averli caricati sullo stesso mezzo siamo rientrati a Copiacò. Dopo 14 giorni ci siamo goduti una meritata doccia!”

Una logistica abbastanza complicata, quali materiali avete utilizzato?

Si i materiali sono stati fondamentali per la riuscita del viaggio ed è stato un’ ottima occasione per testarli. Le recensioni saranno pubblicate presto nella nuova rubrica prodotti di Montagna.tv

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