Storia dell'alpinismo

39 anni fa sull’Everest da solo. Reinhold Messner e la sua cavalcata solitaria

39 anni fa, il 20 agosto 1980, in piena stagione monsonica, Reinhold Messner raggiunse in solitaria la vetta dell’Everest. Passato per il versante nord, su cui aprì una variante alla via normale, lo scalatore sudtirolese impiegò quattro giorni per scalare la montagna facendo affidamento unicamente sulle proprie forze.

Ad attenderlo in quota nessun campo preallestito, solo l’incognita delle difficoltà tra cui quelle dei crepacci. Finirà dentro a uno dei tanti disseminati lungo la via, ma riuscirà comunque a portare a termine l’impresa. “Una continua agonia”, si legge nel racconto di Reinhold, a cui si è sottoposto per mettere definitivamente a tacere le polemiche riguardo la salita di due anni prima. Quella realizzata l’8 maggio 1978 insieme a Peter Habeler senza l’utilizzo di ossigeno supplementare, una realizzazione unica, una scalata ritenuta impossibile fino a quel momento. Tanto difficile credere che i due potessero aver raggiunto gli 8848 metri dell’Everest contando solo su quel che il loro corpo aveva da dare che molti hanno iniziato a insinuare il dubbio: di certo, da qualche parte, devono aver nascosto delle mini bombole di ossigeno, usate sopra quota 8000.

La storia dell’alpinismo darà ragione a Messner tramutando quell’impresa in qualcosa che non lo è più. Salire un Ottomila senza bombole oggi è, semplicemente, fare alpinismo.

Il primo Ottomila salito in solitaria

Non è stato l’Everest il primo colosso himalayano affrontato da un uomo in solitaria. Due anni prima (e due mesi dopo aver realizzato la salita dell’Everest senza ossigeno) nel 1978, è sempre Reinhold Messner a immaginarsi la scalata di un Ottomila da solo. Lo farà sulla nona montagna del pianeta, sul Nanga Parbat, dove ha perso suo fratello nel 1970. Sarà un’impresa eccezionale, purtroppo oscurata a livello mediatico dall’Everest senza ossigeno. Per gli alpinisti del periodo pensare di salire una montagna di ottomila metri in solitaria è qualcosa di estremamente pericoloso, molto più che tentare di farlo senza bombole. Solo una persona ci aveva provato prima di Reinhold: Maurice Wilson, pilota e alpinista britannico, che nel 1934 si è cimentato sull’Everest lasciandoci la vita. Il suo corpo venne ritrovato due anni dopo a una quota di circa 6900 metri.

“Se in dieci giorni, massimo dodici, non sono tornato indietro, potete andare a casa” le parole con cui l’alpinista saluta i suoi compagni prima di incamminarsi verso la parete Diamir, consapevole di quel che potrebbe accadergli e che nessuno potrebbe andare a recuperarlo. In tre giorni raggiungerà la vetta del Nanga Parbat, quella stessa cima su cui era stato per la prima volta otto anni prima insieme a suo fratello ma, questa volta, sarà solo.

“Non volevo far nascere nessuna autocommiserazione e contavo il tempo a ritroso. Fino alla morte di Günther. Con cui tutto finiva e tutto iniziava”.

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