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L’Italia della politica è piatta? Nella campagna elettorale la montagna non c’è

Nell’estate che si sta concludendo, i media italiani (giornali, radio, televisioni, siti di informazioni) hanno dedicato uno spazio mai visto prima alla montagna.

Già a giugno, il caldo anomalo ha provocato l’aumento di articoli e servizi turistici, dedicati a come cercare il fresco tra boschi e valli. Poi, il 3 luglio, la tragedia della Marmolada ha cambiato le cose. La valanga di ghiaccio che ha travolto una fila di alpinisti (il bilancio definitivo è di 11 vittime) ha provocato un’ondata di curiosità e commozione. Gli inviati dei tg nazionali hanno parlato da Canazei o dalla diga del Fedaia, i sopravvissuti sono stati intervistati più volte. Una parte dell’informazione, giustamente, ha approfondito la questione dei ghiacciai, e quindi del riscaldamento globale. Accanto alla sofferenza di Maurizio Fugatti e Luca Zaia, presidenti della Provincia Autonoma di Trento e della Regione Veneto, si è visto un addolorato Mario Draghi, che non era ancora stato sfiduciato dal Parlamento. Rispetto al solito, va detto, c’è stata una sorprendente proprietà di linguaggio, macchiata da qualche confusione tra crepacci e seracchi, o tra escursionisti e alpinisti. 

C’è stata attenzione alla geografia, quando il Comune di Rocca Pietore ha provato a ricordare che il versante veneto del massiccio non era interessato da divieti. Poi, per più di un mese, la montagna è stata in prima pagina sempre, anche su testate che si stampano lontano dalle Alpi. Hanno avuto spazio a livello nazionale notizie che in altri momenti sarebbero rimaste locali, come la chiusura del rifugio Gonella per l’esaurimento dell’acqua, o la chiusura (temporanea, ma questo lo hanno scritto in pochi) delle normali del Monte Bianco e del Cervino. E’ stata trattata come folklore o poco più la sparata di Jean-Marc Peillex, sindaco di St.-Gervais, contro i “pazzi” e i suicidi” che puntavano comunque alla cima. Ha fatto presa su caporedattori e direttori la morte dello sci estivo, un’attività meno arcana dell’alpinismo, e che molti italiani oltre i cinquant’anni hanno praticato. L’ultima fiammata d’interesse ha riguardato la gita alla Capanna Margherita, 4552 metri, dell’alpinista nepalese Nirmal Purja, protagonista di grandi exploit sugli “ottomila”. Le scarpe da trekking, la mancanza di ramponi, piccozza, imbragatura e corda sono state bersagliate sui social. Le critiche si sono sopite quando i leoni da tastiera hanno capito chi avevano di fronte. Nessuno ha fatto al bravissimo Nimsdai una domanda legittima, e cioè se non fosse meglio evitare di dare il cattivo esempio in un campo (come si deve andare sui ghiacciai) che per chi vive in Asia è remoto, ma che nel cuore turistico dell’Europa è reale. 

Il confine tra l’iperpresenza della montagna sui media e la campagna elettorale è stato varcato il 17 agosto, quando Matteo Salvini, leader della Lega Nord, si è fatto fotografare a Punta Helbronner con la giacca delle guide di Courmayeur. La risposta del presidente Alex Campedelli è stata “era senza, l’ho prestata a lui come l’avrei data a chiunque”. Forse, dopo averlo vestito, avrebbe potuto chiedergli di non farsi fotografare. Ma mettersi tra Salvini e una foto è come piantarsi davanti a un TIR in corsa.

Da allora, sulla montagna italiana è tornato il silenzio. Il freddo e le nevicate di fine agosto hanno permesso di riaprire qualche itinerario d’alta quota, ma questo è stato ignorato dai media. Poi radio, televisioni, siti e giornali si sono concentrate sulla campagna elettorale. E qui, diciamolo senza peli sulla lingua, la montagna non è mai stata citata, nemmeno in collegi (la Valle d’Aosta, L’Aquila, il Trentino…) dove dovrebbe avere un peso. 

Chiedere in questi giorni a Giorgia Meloni, a Enrico Letta, ad Antonio Tajani, a Giuseppe Conte, a Carlo Calenda, al già citato Matteo Salvini e ai loro molti comprimari cosa propongono per la montagna italiana avrebbe evidentemente poco senso. Fa piacere leggere in un comunicato-stampa, che mi arriva mentre scrivo queste righe, che il Ministro del Turismo Massimo Garavaglia ha partecipato l’11 settembre al convegno “A ruota libera”, dedicato dal CAI agli escursionisti con mobilità ridotta. Fa bene, ma è una goccia nel mare. Proviamo, allora, a buttare giù un piccolo promemoria per il prossimo Parlamento e il Governo che arriverà. Qualcosa certamente manca, ma può essere aggiunto più tardi. 

La prima questione da affrontare è lo scontro, aperto da anni, tra guide alpine e guide ambientali a proposito dell’accompagnamento professionale sui sentieri. Esistono Regioni dove lavorano solo gli accompagnatori di media montagna (che a volte hanno un titolo diverso), altre dove esistono solo i GAE. Da qualche anno, grazie a Dario Franceschini e al Ministero della Cultura, sono stanziati fondi importanti per i “cammini” italiani. Di fronte a questo però, centinaia di professionisti dell’accompagnamento vivono in una situazione di incertezza. Per il Parlamento e il Governo, accorpare le due figure con tutti i necessari contrappesi sarebbe più facile che trattare sul prezzo del gas con la Russia. Perché non lo ha fatto nessuno? Perché non si fa?           

La seconda questione, che con la prima neve e le prime valanghe tornerà d’attualità, è quella dell’obbligo di avere con sé ARTVA, pala e sonda in tutte le uscite su terreno innevato. La legge entrata in vigore il 1° gennaio 2022, come abbiamo scritto più volte, è stata scritta malissimo, con termini diversi da quelli utilizzati dal Meteomont (un servizio dello Stato, gestito da Carabinieri Forestali e Truppe Alpine) e da tutte le leggi regionali e provinciali in vigore. Dieci mesi fa Vincenzo Torti, all’epoca Presidente nazionale del CAI, ha chiesto ufficialmente a Valentina Vezzali, ex-campionessa di scherma e Sottosegretario allo Sport, dei chiarimenti sulla legge, per sapere dove l’obbligo è effettivamente in vigore. La risposta non è mai arrivata. Mi sembra un inaccettabile schiaffo a una benemerita associazione con oltre 300.000 soci, e soprattutto di una manifestazione di disinteresse per la sicurezza di molte migliaia di italiani che praticano la montagna d’inverno.

La terza questione, più complessa, riguarda la tutela dell’ambiente. Negli scorsi anni e mesi, nonostante la carenza di neve, sono stati presentati o rilanciati, sulle Alpi e sull’Appennino, decine di progetti per nuovi impianti di risalita. Per alcuni, sono stati chiesti anche fondi europei del PNRR. L’elenco potrebbe essere lungo, ma è sufficiente citare i casi del Vallone delle Cime Bianche in Valle d’Aosta, e del Corno alle Scale e del TSM 2 (il “nuovo Terminillo” sull’Appennino. Il caso dell’impatto ambientale degli interventi per le Olimpiadi di Milano-Cortina del 2026 è aperto da tempo, ma nessuno ha provato ad affrontarlo. 

Nello stesso periodo Roberto Cingolani, grande esperto di innovazione e Ministro della Transizione Ecologica, si è occupato quasi solo di quel che il nome del dicastero suggerisce, lasciando in secondo piano i “vecchi” temi delle aree protette e della tutela della fauna e della flora. Tra poco il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, festeggerà il secolo di vita, seguito a ruota dal Gran Paradiso. Le celebrazioni sono iniziate ad aprile. Paradossalmente, però, i festeggiamenti arrivano in un periodo di gravi incertezze per i Parchi, con numerosi presidenti e direttori che sono lì come “facenti funzioni”.  Sul tema fondamentale della libertà, e dei limiti all’accesso, ognuno va avanti per conto proprio, senza che il Ministro e il Governo provino a indicare una linea. Non è giusto. L’Italia, dentro e fuori dai Parchi, non è piatta. Sarebbe bene se la politica iniziasse a capirlo.  

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