Gente di montagna

Doug Scott: un Guru umano, troppo umano

Un alpinista straordinario, dal grande cuore ma dal carattere spesso spigoloso. Il ricordo di un’amicizia nata e coltivata tra dispetti e minacce. Ma solidissima.

E’ in uscita per i tipi di Solferino, a firma di Catherine Moorehead, la biografia di Doug Scott dal titolo esplicativo di Mountain Guru – La vita di Doug Scott. La scrittrice scozzese è riuscita nel titanico intento di riuscire a presentare in modo esaustivo le tre fasi di vita di Scott calibrando una precisa ricostruzione filologica della vita dell’alpinista britannico e il piacere di ricordare e/o sottolineare i momenti salienti visti da chi – la Moorehead, appunto – con Scott ha lavorato gomito a gomito per parecchio tempo.

L’immagine che ne esce rende assolutamente giustizia alla complessità umana di un uomo non privo di pecche ed eccentricità, grandissimo alpinista dai principi saldissimi per alcuni aspetti e invece accomodante da altri, certamente uno dei più grandi alpinisti del XX secolo (se non il più grande assieme a Messner), grande filantropo e studioso delle filosofie orientali eppure vero dandy britannico con comportamenti spesso degni della peggior tradizione imperialista nei confronti di chi si trovava di fronte.

Un libro, dunque, da consigliare a chiunque voglia leggere contemporaneamente uno spaccato di storia dell’alpinismo mondiale e la biografia di una persona che, come tutti i grandi, ha saputo essere sé stesso, sanguigno, altruista ed egoista, contraddittorio eppure fermo sulle proprie convinzioni.

Anno 2010: un primo incontro a tinte forti

La lettura e la traduzione del libro per Solferino mi ha riportato – con piacere, va detto – al mio incontro con Doug Scott, risalente al 2010, a Sirtori, in occasione di una serata presso Sport Specialist.

Gli organizzatori, in particolare Fabio Palma, mi avevano avvisato che ci sarebbe stato “da tribolare”, in quanto Scott parlava solo il “suo” inglese, con un accento di davvero difficile interpretazione. Non li avevo presi troppo sul serio…

Solo in seguito, parlando poi con l’amico Mick Fowler di quanto accaduto, mi ero sentito dire la seguente frase, ribadita poi anche da Simon Yates: “Doug Scott è uno che racconta cose interessantissime… Se solo lo si riuscisse a capire quando parla”. A detta della Moorehead, poi, i problemi erano anche peggiori (forse) quando scriveva, ma tutto ciò l’ho saputo ora traducendo la sua biografia. 

Per la serata da Sport Specialist l’asso britannico si presenta nel modo più fastidioso possibile, salutando appena i collaboratori e iniziando a dare ordini come probabilmente avveniva nell’India dell’800 da parte dei Sahib di Sua Maestà. Eravamo però in Brianza e per ottenere la sua attenzione mi trovo costretto a dargli una prima prova della mia conoscenza di alcune forme gergali britanniche, che per decenza non posso tradurre.

Iniziano così i primi scambi di battute… In effetti, il suo, più che un accento, ricorda un insieme di suoni gutturali, qualcosa di simile ad un borborigmo emesso da qualcuno colpito da raffreddore che stia schiarendosi la voce. Lo invito calorosamente a parlare in modo chiaro per farsi tradurre e, visto che ci sono, gli spiego che se in una precedente serata in Valtellina aveva fatto scendere piangendo dal palco una mia collega, a Sirtori aveva trovato il suo karma.

No, va bene, d’accordo…Ma almeno sai di cosa parleremo? Sai cosa sono i ramponi?

Lo guardo negli occhi (quindi io guardando verso l’alto e lui verso il basso data la nostra differenza in altezza) e gli spiego che non solo so cosa siano quegli oggetti, ma anche che se non la pianta i sopracitati ramponi, in versione a 14 punte, gli saranno stampati con una calcio degno di Beckham là dove la schiena muta denominazione. Alla fine condisco il tutto con il più scozzese degli epiteti, ovvero “you bampot” (equivalente di mona per i veneti, pirla per i lombardi e piciu per i piemontesi). 

A quel punto il mito Doug si rivela in tutta la sua grandezza. Non solo si felicita per la “prova d’esame brillantemente sostenuta”, ma inizia anche a raccontarmi di cosa vorrebbe parlare. Si dimostra felice di poter parlare certamente dell’Ogre, ma soprattutto della sua passione per l’esplorazione e le attività di beneficenza, soprattutto per le popolazioni del Nepal. Mostra poi un interesse spiccato per le “piccole nazioni senza uno Stato”, le piccole realtà linguistiche locali… In breve troviamo una lingua comune nella quale parliamo di tutt’altre cose per un po’ di tempo.

Iniziata la serata, però, davanti al pienone e di fronte alla crème dell’alpinismo lecchese, Fabio Palma presenta l’ospite, presenta il sottoscritto e subito dopo Doug, molto professionalmente, inizia a snocciolare diapositive su diapositive, raccontando della sua vita e del suo amore per le scalate di ogni tipo. Ci tiene a sottolineare l’importanza rivestita dagli scalatori britannici e non manca di ricordare i nomi dei suoi amici e compagni di cordata.

Quello scambio di battute a bassa voce

Purtroppo Doug si ricorda ben presto anche di essere uno che si diverte a “mettere in difficoltà” i traduttori.Ad un certo punto dalla sua nobile e raffinata bocca esce un ulteriore insieme di suoni gutturali di arcana provenienza, tali da far pensare ad esiti di non perfetta digestione. Mi volto ad osservarlo con sguardo interrogativo.

Il resto del dialogo viene pronunciato a voce bassa da ambedue, ma sufficientemente udibile da chi si trova in prima fila. Lo riporto nella sua giusta traduzione, senza alcun editing.

“Prego?
“Ok, se non capisci andiamo avanti.”
“Che cosa hai detto?”
“Lascia stare.”

Doug pensa di aver segnato il punto. Gli arriva invece questo mio dolce invito, ben scandito e soprattutto con quel tipico accento da nobiltà britannica adeguato a cotanto aulico linguaggio: “Ascoltami bene, grandissimo figlio di buona donna. Adesso o parli in maniera comprensibile oppure…”

Mi giro e con gli occhi gli indico il fondo del negozio, dove fanno bella mostra di sé piccozze e ramponi.

Oppure, vedi quelle piccozze lì in fondo? Ecco, te le infilo una dopo l’altra, sai bene dove. E non dalla parte del manico”.

Per un attimo Doug crede di non aver capito bene. Poi vedo che i suoi occhi iniziano a ridere.

Come se ci fossimo messi d’accordo, ambedue guardiamo tra il pubblico, speranzosi che nessuno abbia capito la crudezza della minaccia. Purtroppo, in prima fila c’è Fabio Palma, incredulo e con la classica aria di chi pensa “ma ho davvero capito bene?”. In effetti ha capito bene, anzi benissimo.

Il resto della conferenza è un piccolo gioiello. Doug parla un inglese impeccabile, addirittura usando una received pronunciation da far impallidire i portavoce di Buckingham Palace… 

“Resteremo in contatto”. E così fu, fino alla fine

La serata termina, come d’abitudine, in pizzeria a mangiare, bere e chiacchierare in compagnia di montagne ed esplorazioni. 

Gentilissimo e disponibile, a tavola, risponde a parecchie domande anche di carattere personale. Ci parla così, seppur brevemente di due mogli e cinque figli per poi arrivare alla terza adorata moglie Tricia, da me immediatamente ribattezzata “quella santa donna che ti sopporta” omettendo peraltro di segnalare che questo è ciò che spesso i miei amici dicono della mia. Quando è il momento di accomiatarci, mi abbraccia e mi dice “Io e te resteremo comunque in contatto”.

Grande Doug, ha mantenuto la promessa. Ogni tanto si è fatto sentire e anche quando ormai il linfoma al cervello che lo aveva colpito era entrato nella sua fase terminale ha voluto rispondermi ancora una volta al telefono. In realtà la chiamata mi è partita per errore: stavo digitando un messaggio WhatsApp. Volevo congratularmi per l’Everest Challenge 2020, raccolta fondi per il Nepal. Doug, insieme a Chris Bonington e Paul Braithwaite aveva lanciato ed accolto la sfida, che prevedeva di salire le scale di casa fino a coprire l’altezza equivalente all’Everest. 

Ormai in fase terminale Doug si era vestito per la sfida tra le mura domestiche con la stessa tuta che aveva usato in Himalaya. Per lui, che sull’Ogre era sopravvissuto portandosi in salvo sui gomiti dopo essersi rotto le gambe e gli avambracci, anche quella era solo un’altra delle tante sfide che aveva affrontato e positivamente superato nella sua vita.

Ai miei complimenti per essere riuscito a modo suo in quella sfida, si è limitato a dirmi, con le parole che facevano fatica ad uscirgli dalla bocca: “Ma vai a quel paese tu e le congratulazioni, è stata dura, davvero dura. E non c’è da complimentarsi, io non ho ancora smesso di scalare le montagne!”. 

Per approfondimenti:

  • Luca Calvi, Lost in Translation, Roma, Edizioni del Gran Sasso, 2023
  • Catherine Moorehead, Mountain Guru, La vita di Doug Scott, Milano, Solferino, 2024
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