Film

La prima neve: commovente storia di integrazione ambientata in Trentino

Girato nella Valle dei Mòcheni, il film presentato alla 70ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, racconta il legame tra un profugo arrivato in Italia su un barcone e un bambino del luogo

Dani è scappato dalla guerra in Togo su un affollato barcone salpato dalla Libia. Il suo viaggio, assieme alla moglie incinta Layla, è stato tragico. Lo troviamo, avvolto dal silenzio e da uno sguardo cupo, cercare di sopravvivere al dolore in un piccolo paese del Trentino, dove aiuta l’anziano Piero e prendersi cura delle sue arnie. Il dolore di una perdita, che rivede negli occhi della figlia neonata, lo accumuna però al piccolo Michele, nipote di Piero: un ragazzino di 11 anni che cerca di riempire anch’egli un vuoto. Quella della perdita del padre.

Presentato alla 70ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, La prima neve (2013) di Andrea Segre è, dopo Io sono Li (2011), un’altra storia di immigrazione, di solitudini, di province dimenticate.

Quello di Andrea Segre è un umanesimo dal respiro universale, e La prima neve lo racconta scegliendo di raccontare l’emarginazione sociale e quella geografica. Quella di un immigrato e quella di una provincia che si sente messa ai margini. Nel paesino di Palù del Fersina (Pergine Valsugana), infatti, gli abitanti sentono la distanza in ogni dove: nell’assenza del turismo, delle infrastrutture, dalla vita “moderna” dove le cose accadono. Lo esplicita bene il personaggio di Giuseppe Battiston, che interpreta lo zio di Michele, che sogna il Madagascar ma è rassegnato ai limiti del suo luogo di nascita.

Il Togo e la Valle dei Mòcheni non potrebbero essere luoghi più diversi tra loro. Eppure, come ci raccontano gli sceneggiatori Andrea Segre e Marco Pettenello, sono incredibilmente vicini. Lo sono perché entrambi sono casa e condanna per qualcuno, parte fondamentale di un’identità personale (per Dani e per Michele) che, caratterizzata dal dolore, cerca di accettare il passato per riuscire a costruire qualcosa di nuovo. Nuove relazioni, nuove consapevolezze. Sono queste che salvano Dani e Michele, che semplicemente condividendo lunghe passeggiate nel bosco per raccogliere la legna e qualche gioco inventato, riescono a specchiarsi l’uno nell’altro a prescindere da ogni differenza esteriore.

“La luce entra nel bosco insieme alle ombre. Si alternano, si incrociano, giocano come vuoti e pieni, come spazi di vita tra silenzio e rumore. Gli alberi sembrano voler scappare dal bosco. Ma non possono. Crescono a cercare la luce, si allungano per superare gli altri, ma rimangono tutti ancorati lì, uno affianco all’altro, in file regolari che segnano le prospettive. È il bosco il luogo centrale dell’incontro tra Dani e Michele; è in quello spazio che i due si seguono, si cercano, si  respingono. si conoscono. È uno spazio in cui la natura diventa teatro. Dove la realtà diventa luogo dell’anima e ospita significati e metafore che la trascendono. Pronta a diventare sogno” (Andrea Segre).

La Valle dei Mòcheni

Situata in Trentino e percorsa dal fiume Fersina fino a Pergine Valsugana, la Valle dei Mòcheni, o Valle del Fèrsina (in mòcheno Bersntol, in tedesco Fersental), è la valle protagonista di La prima neve (2013). In questa “isola linguistica”, come dice il cartello iniziale del film, si parlano ancora due dialetti: quello italiano e quello tedesco di origine bavarese.

Palù del Fersina (TN), comune di soli 173 abitanti, è il luogo dove abita Michele con la madre Elisa (Anita Caprioli) e dove Dani trova rifugio e accoglienza in attesa di ricevere il permesso di soggiorno.

Di Palù vediamo, nel film, un’antica chiesa del 15esimo secolo, ma il film si svolge soprattutto nei grandi esterni naturalistici della zona.

Ne sono un esempio il rifugio di pietra dove Michele e i suoi amici si ritrovano in mezzo al bosco, in località Stelder; il bosco Pichi, (a 1700 metri), una rara foresta di larice dove i ragazzini giocano, in bilico tra l’età dell’innocenza e quella della consapevolezza; il “faggio del mas dei boci”, a SantOrsola, un albero alto trenta metri e vecchio duecento anni su cui Michele si arrampica per sfuggire ai pensieri; il lago di Restel, uno specchio azzurro nel verde di Pergine, nella frazione Serso. La commovente scena finale è girata sulla maestosa Cima di Sopra Cunella, 2.037 metri di altezza, che offre il panorama sulla Val dei Mocheni e sull’Alta Valsugana.

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