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La canzone della terra di Margareth Olin: alla ricerca delle proprie radici

Candidato agli Oscar nel 2023, il film della regista scandinava è girato in luoghi di grande, e sconosciuta, bellezza della Norvegia. Ma a ridosso di un (altro) ghiacciaio che sta scomparendo

«Mio padre è un sognatore. Nella sua valle, possiamo osservare quanto il cambiamento climatico stia intaccando la natura. In 25 anni, gli estremi del ghiacciaio si sono ritirati di circa 800 metri. Mio padre ci porta in montagna, sul ghiacciaio, nella foresta, a stretto contatto con la fauna che abita questi spazi incontaminati.

La natura prende il sopravvento, e riusciamo davvero a comprendere cosa ha provato lui per anni durante le innumerevoli escursioni in montagna. Seguiamo la valle di Oldedalen per oltre un anno. La primavera mite simboleggia l’infanzia di mio padre, la dolcezza dell’estate invece, la sua giovinezza, le tempeste dell’autunno la sua vita adulta e la quiete dell’inverno la sua vecchiaia. Il ciclo inizia e finisce in primavera».

Margareth Olin, regista di La Canzone della Terra

Candidato della Norvegia per il miglior film internazionale agli Oscar 2023, La Canzone della Terra della regista norvegese Margreth Olin (classe 1970) è una maestosa sinfonia per il grande schermo. Prodotto da Wim Wenders, con cui Olin aveva già collaborato per la serie Cattedrali della cultura (2014), La Canzone della Terra è un documentario insieme personale e universale, un racconto suggestivo per immagini della sua famiglia e della sua terra natìa, la valle di Oldedalen (Norvegia).

Quella di Olin è una ricerca libera e poetica sulla storia della sua genealogia familiare, raccontata attraverso quella che potremmo definire un’eredità naturale. Il simbolo ultimo di tutto il documentario è, infatti, un grande abete rosso – piantato dal bisnonno – che sorveglia la valle e che Olin osserva come se fosse il “narratore silente” della vita della sua famiglia.

La trama di La Canzone della Terra è davvero semplice: Olin ritorna nella valle di Oldedalen nella parte occidentale Norvegia per trascorrere un po’ di tempo con suo padre (84 anni), mentre la figura della madre rimane più sullo sfondo. Seguendo le orme dei genitori e la loro storia d’amore e di vita la regista spende ad Oldedalen un anno intero, trovando nella scansione stagionale la struttura per il suo documentario. Il padre della regista diventa la nostra guida attraverso le più suggestive vallate norvegesi, portandoci con sé in cammini con viste indimenticabili. Il padre racconta così, mentre passeggia o prende un caffé sotto un abete, la storia delle generazioni che si sono susseguite, vivendo a stretto contatto con la natura per sopravvivere. Un viaggio sensoriale nel paesaggio naturale e nella memoria.

C’è però anche il lato tragico: i metri di ghiacciaio che si ritirano anno dopo anno, e che ci danno la misura dell’inesorabile scorrere del tempo, oltre che dell’agonia del paesaggio naturale soffocato dalla presenza umana; o ancora la storia di chi, nel passato, è morto sotto la forza inesorabile delle frane.

Visivamente ipnotico, lo sguardo di Olin ci porta a osservare e ad ascoltare la melodia della terra, una canzone in cui la bellezza della musica si sposa a parole di dolore e denuncia. Una meditazione sul rapporto dell’uomo con la natura e sul legame genitori-figli. Tramite la fotografia (Lars Erlend Tubaas Øymo, coadiuvato da numerosi fotografi naturalisti accreditati e droni), la colonna sonora e il sound design, La Canzone della Terra ci coinvolge e trascina in un altrove spazio-temporale.

«Concludiamo il film con un appello di speranza: il momento in cui mio padre pianta un nuovo seme accanto all’albero che suo nonno depose 130 anni prima. Le storie di mio padre stringono e ripristinano il legame forte con la natura. […] Sotto questo scenario così potente è però in corso un cambiamento, un conflitto: meno uccelli e insetti, incendi boschivi, inondazioni, il ghiacciaio che crolla e si ritira. Il corpo e la mente di mio padre cambiano, questo potrebbe essere l’ultimo anno in cui potrà condividere con noi la sua supplica.

All’improvviso tutto sembra urgente. La sua generazione è davvero l’ultima ad avere la consapevolezza di come ci stiamo prendendo cura della natura? La soluzione potrebbe essere semplicemente ripristinare la connessione con noi stessi? Se vogliamo che la nostra specie sopravviva, dobbiamo restare in ascolto del canto della terra. La canzone della terra ti porta all’aria aperta. La parola “ecologia” deriva dalla parola “oikos”, che significa “casa”. La natura è per davvero casa nostra.» (Margareth Olin)

La canzone della terra sarà al cinema il 15, 16, 17 e 22 aprile, in collaborazione con Earth Day Italia e con il patrocinio del CAI.

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