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Jesus Trail, splendido trekking in Israele che vogliamo ripercorrere presto

Il ricordo di 70 chilometri a piedi nei luoghi di Gesù, da Nazareth al Cafarnao. Un trek, laboratorio di pace, nato nel segno della tolleranza tra i popoli, a cui pensiamo con nostalgia. E non senza speranza

Una decina di anni fa ho camminato in Israele. Più volte. Ho percorso gli assolati sentieri della riserva naturale di Ein Gedi, affacciata sul Mar Morto e popolata da stambecchi, e quelli della fortezza di Masada, luogo tragico della storia del popolo ebraico. A Gerusalemme ho incontrato gli ideatori dell’Israel Trail, Shvil Israel in ebraico, il sentiero che attraversa da sud a nord il Paese.

Da Tel Aviv, il mio amico Yaacov Shkolnik mi ha portato a camminare nel canyon di Nahal Sorek, tra le alture rocciose della Giudea, dove nella fitta vegetazione compaiono i resti di uno dei circa 400 villaggi arabi evacuati a forza durante la guerra del 1948. Lo stesso Yaacov, qualche anno prima, aveva ideato il Golan Trail, un trek di una settimana attraverso le alture che segnano il confine con la Siria.

Ma a emozionarmi, e a insegnarmi molte cose su Israele, è stato il Jesus Trail. Un cammino di settanta chilometri, che si percorre comodamente in quattro giorni, che inizia da Nazareth, la città natale di Gesù, che oggi è una delle più grandi città arabe di Israele. E si conclude a Cafarnao, Kfar Nahum in ebraico, il paese di San Pietro, affacciato sul Lago di Tiberiade. Sul percorso sono molti luoghi ricchi di suggestione e di storia.

La prima sera si dorme a Cana, città di arabi cristiani, dove una grande basilica ricorda il miracolo reso celebre dai Vangeli. L’indomani si passa da Zippori, la Sepphoris degli storici ebrei, dove San Giuseppe ha probabilmente lavorato come carpentiere. L’ultimo giorno si traversa il villaggio di Migdal, la Magdala del Vangelo, patria di Maria Maddalena, e si tocca la basilica della Moltiplicazione dei Pani e dei Pesci di Tabgha, sulle rive del Lago di Tiberiade.

Racconta una storia diversa l’altopiano sorvegliato dai Corni di Hattin, dov’è stata combattuta nel 1187 la battaglia nella quale l’esercito islamico di Saladino sconfisse i Crociati prima di riconquistare Gerusalemme. Non lontano, l’imponente complesso sacro di Nebi Shu’eib è il santuario nazionale dei Drusi, un popolo che vive tra Libano, Siria e Israele e che conserva la sua religione nata prima del Mille in Egitto.
Nella discesa tra Nabi Shu’eib e Kfar Zeitim, tra campi e boscaglia, compaiono le rovine di Hittin, un altro villaggio arabo abbandonato a forza nel 1948. Sono state ben restaurate, invece, le rovine dell’antica sinagoga di Arbel, sulla via per l’omonimo Parco nazionale, caratterizzato da imponenti pareti calcaree e da grotte. Secondo lo storico Flavio Giuseppe, che scriveva duemila anni fa, i soldati di re Erode il Grande, per cacciare i briganti dai suoi anfratti, si calarono dall’alto con delle corde.

A rendere affascinante il Sentiero di Gesù è anche la sua storia recente. Il trekking, inaugurato nel 2008, è stato ideato dall’israeliano Maoz Inon e dagli americani David e Anna Landis, con la collaborazione di molti arabi di Nazareth e di Cana. Israele, se si bada ai chilometri quadrati, è un paese piccolo. Il Jesus Trail, che attraversa da ovest a est la Galilea, si sviluppa quindi a poche decine di chilometri dai confini con i Territori Palestinesi, il Libano, la Giordania e la Siria.

Dalla vita e dalla predicazione di Gesù sono passati duemila anni, non sappiamo esattamente dove si siano svolti molti episodi raccontati dai Vangeli. A volte cattolici e ortodossi indicano come sede di un miracolo o di un altro evento due luoghi diversi” mi ha raccontato John Landis, che ha esplorato la zona con la moglie Anna. “L’accuratezza storica è importante, ma è più importante poter camminare nello spirito di Gesù che seguire esattamente i suoi passi”.

La difficile storia della Galilea si scopre fin dall’inizio del Jesus Trail. Prima della partenza, i partecipanti si incontrano nella Fauzi Azar Inn, una struttura ricettiva realizzata in un palazzo ottocentesco di Nazareth. Suraida Shofar Nasser, l’attuale proprietaria, mi ha raccontato con il sorriso sulle labbra la storia dell’occupazione nel 1948, quando gran parte degli arabi di Nazareth se n’è andata, ma suo nonno Fauzi Azar si è rifiutato di partire, e il palazzo di famiglia è stato abbandonato. La trasformazione in albergo e in ostello è recente.
A Cana, cittadina di arabi cristiani, Su’ad e Sami Bellan, marito e moglie, hanno spiegato a me e agli altri camminatori come avevano trasformato la loro casa in un ostello, proprio di fronte alla Basilica del Miracolo. A Ilanya, un moshav (villaggio agricolo) ebraico dove si fa tappa ventiquattr’ore dopo, Shahar Barkai, ex-istruttore dell’esercito israeliano, ha ospitato me e gli altri trekker nella sua fattoria biologica, affiancata da grandi e confortevoli tende.

Tra Migdal e il Lago di Tiberiade si cammina a lungo accanto a vaste piantagioni di banane di proprietà di ebrei ortodossi, che guardano passare i camminatori senza un cenno di saluto. Alla fine, tra Tabgha e Cafarnao, si rientra nel mondo del turismo e dei pellegrinaggi di massa, così invadente a Gerusalemme, a Betlemme e a Nazareth. Prima di ripartire c’è il tempo per uno sguardo alle alture della sponda orientale del Lago, dove corre il confine con la Giordania e la Siria.

Undici anni e mezzo fa, nella piovosa primavera del 2012, i quattro giorni in cammino sul Jesus Trail, creato da arabi, americani ed ebrei, mi sono sembrati una semplice avventura nel segno della tolleranza e della pace. Da un mese Israele è di nuovo in guerra, l’orribile attacco di Hamas il 7 ottobre ha riacceso negli ebrei di tutto il mondo il ricordo dell’Olocausto. Mentre scrivo gli ostaggi israeliani sono ancora prigionieri, i palestinesi di Gaza tentano di sopravvivere in un campo di battaglia, e quelli della Cisgiordania non se la passano molto meglio.

Negli anni ho percorso decine di sentieri che traversavano zone di guerra, e contenevano una speranza di pace. In Georgia, nel Caucaso, ho camminato sul confine con la Cecenia. In Karakorum, salendo verso la base del K2, mi sono lasciato sulla destra il Passo Siachen, dove gli eserciti del Pakistan e dell’India si fronteggiano da molti anni in armi a 6000 metri di quota. Sono dei pellegrinaggi anche le camminate sui sentieri della Grande Guerra sulle Alpi, oggi al confine tra Italia, Austria e Slovenia. Vale lo stesso per l’Appennino, dove si cammina nei luoghi della Linea Gustav, della Gotica, delle stragi naziste e della Resistenza.

Come altri milioni (miliardi!) di esseri umani, non posso far nulla per far tornare la pace in Israele e nei Territori Palestinesi, ma prego da laico perché ciò accada al più presto. Quando ridiventerà possibile, vorrei tornare a camminare sul Jesus Trail. E vorrei accettare l’invito del mio amico Yaacov, ed esplorare le fioriture e i paesaggi primaverili del Golan.

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