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Il Giro d’Italia sui monti del Matese: rocce, boschi e il dinosauro Ciro

Domani la Corsa rosa arriverà a Bocca della Selva inoltrandosi in una Campania poco nota, ricca di villaggi da scoprire e sentieri spettacolari. Belle escursioni partono appena dopo la linea del traguardo.

Il Giro arriva sulle montagne di Ciro. Martedì 14 maggio, salendo verso i boschi e le vette del Matese, la corsa rosa toccherà Pietraroia e i suoi lastroni calcarei dai quali, una trentina di anni fa, è emerso il più sorprendente dinosauro mai ritrovato in Italia. Dal Settecento la zona è nota per i suoi pesci fossili, e il primo collezionista a vederlo, un veronese, a causa delle dimensioni (poche decine di centimetri di lunghezza) e dei denti lo aveva soprannominato “el cagnèto”. 

I primi paleontologi che se lo sono trovato davanti, Giorgio Teruzzi e Cristiano Dal Sasso, hanno invece capito subito che si trattava di una scoperta eccezionale perché il fossile, oltre alle ossa, comprendeva organi interni come il fegato, il colon e l’intestino. Era il primo ritrovamento del genere al mondo, e il fossile di Pietraroia è sbarcato sulla prima pagina del “New York Times”. Anche oggi denti e artigli fanno capire che si tratta un predatore, le dimensioni che l’animale era un cucciolo. Dal Sasso ha battezzato la specie “Scipionyx samniticus” ma i suoi colleghi, da nordici in trasferta in Campania, hanno preferito chiamarlo “Ciro”. Oggi il fossile è esposto nel Paleolab di Pietraroia, mentre una copia può essere ammirata nel Museo di Storia Naturale di Milano.     

Foreste e canyon del Sannio e del Matese

Non c’è solo Ciro, nella tappa del Giro d’Italia che sale in direzione del Matese. Dopo la partenza da Pompei, all’ombra del Vesuvio, il percorso della tappa raggiunge le alture del Sannio. Si costeggia il massiccio del Taburno, 1394 metri, che il politico ed escursionista Giustino Fortunato, nel 1877, ha descritto come “un picco solitario e maestoso, che s’inabissa sui campi sottostanti, tutto ammantato di superba vegetazione”. 

Ai suoi piedi sono le Forche Caudine, teatro della battaglia tra Sanniti e Romani combattuta nel 321 avanti Cristo. Verso nord è una foresta di cerro, castagno e faggio, tutelata prima dal Demanio borbonico e poi da quello dello Stato italiano, perché la sorgente del Fizzo, ai piedi del massiccio, alimenta i giochi d’acqua della Reggia di Caserta. 

Il percorso della tappa costeggia anche il Camposauro, scende verso Solopaca e Telese, poi inizia a salire verso il Matese. Il tragitto pedemontano termina a Cerreto Sannita, ricostruita con chiese barocche e strade rettilinee dopo il terremoto del 1688, e che ospita un bel museo dedicato alla ceramica locale. 

Poi il paesaggio diventa più severo, e la strada s’inoltra nella stretta valle del fiume Titerno, dove l’acqua ha scavato delle forre calcaree ben note ai viaggiatori del passato. Il canyon di Lavelle, ai piedi delle pareti del Monte Cigno, è sfiorato dalla strada e percorso da un facile sentiero segnato. 

Poco più in basso, scavalca il Titerno un ponte medievale che la tradizione considera legato ad Annibale. La forra di Caccaviola, più selvaggia, può essere scoperta grazie ai facili sentieri per la Grotta dei Briganti e il Salto dell’Orso, una cascata alta una ventina di metri. 

La traversata integrale della forra è possibile solo seguendo un “percorso avventura” attrezzato con cavi metallici, che alterna tratti di sentiero, passaggi da via ferrata e traversate aeree da una parte all’altra della forra. Le guide speleologiche locali organizzano delle escursioni guidate. 

Fitti boschi fanno da sfondo anche al borgo di Cusano Mutri, 475 metri di quota, che doveva la sua fama in Campania alle sue cave di bianca pietra calcarea. Lo storico Palazzo baronale ospita il Municipio e le raccolte del Museo del Territorio, pochi resti testimoniano della presenza del Castello, distrutta nel 1780 da una rivolta contadini. Nella parte alta del paese è l’imponente chiesa dei Santi Pietro e Paolo. I menù dei ristoranti, e una sagra famosa, ricordano che la grande attrattiva della zona sono i funghi. 

Da Cusano, i corridori del Giro (e i sempre più numerosi cicloturisti) iniziano a salire decisamente di quota. Delle svolte portano a Pietraroia e al suo spettacolare Paleolab, allestito dal fisico Paco Lanciano, a lungo collaboratore di Piero Angela. Poi la strada lascia a destra i tracciati per Morcone e Sepino, e sale a Bocca della Selva, il valico a 1394 metri di quota dove la tappa del Giro d’Italia si conclude. 

I sentieri da Bocca della Selva

Per chi vuole scoprire il massiccio dove s’incontrano la Campania e il Molise, però, Bocca della Selva è un punto di partenza. Qui si entra nel Parco Regionale (ma candidato a diventare Nazionale) del Matese. Dal valico una stradina e poi un sentiero segnato che risale un’ampia groppa erbosa portano al Monte Mutria, 1823 metri, la più orientale delle grandi cime del Matese. 

Una breve strada asfaltata tra i faggi porta alla Sella del Perrone, fondamentale crocevia del massiccio. Verso destra, una discesa tra speroni calcarei e fitti boschi di faggio conduce verso la forra del Quirino e Guardiaregia. A sinistra una strada che scende dolcemente porta verso il Lago del Matese, noto per il suo panorama e la sua avifauna. 

Un altro percorso, a tratti dissestato, sale accanto al crinale del Matese, entra in territorio molisano, e scende verso la stazione sciistica di Campitello Matese, con la sua edilizia tutt’altro che inserita nell’ambiente. Da qui, dei sentieri solo in parte segnati salgono verso la Gallinola e il Miletto, rispettivamente 1923 e 2050 metri, le cime più alte del massiccio. Nelle giornate serene, da qui, lo sguardo raggiunge la Maiella e il Vesuvio.       

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