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Vette tra simboli e polemiche. Un nuovo libro.

Riflessioni e pensieri spettinati in merito a SACRE VETTE, I simboli sulle Cime, con le croci sui Tremila delle Dolomiti, a cura di Ines Millesimi e Mauro Varotto

 

Iniziamo questa riflessione con una piccola dichiarazione a puro scopo di allontanare dalla discussione qualsiasi vis polemica atta a creare una discussione del tutto priva di ragion d’essere facendo ricorso a citazioni inesistenti e frasi mai pronunciate.

L’autore di queste riflessioni ha sempre visto e vede le croci di vetta come simbolo di avvenuto raggiungimento della sommità di una montagna o di una qualche struttura della stessa e, soprattutto, come manufatto spesso con grande valore artistico ed etnografico, opera di chi abita ai piedi di una data montagna o di chi nella stessa vede valori “superiori”, aggiunti, non sondabili, rientranti in un campo differente da quello scientifico (cioè di quanto l’intelletto umano sia in grado di comprendere e spiegare).

Circa un anno fa la pubblicazione di un primo volume dedicato alle croci di vetta, a firma della studiosa di storia dell’arte e nota appassionata di alpinismo e cultura di montagna Ines Millesimi ha visto pressoché dimenticato il valore della pubblicazione (che raccoglieva e commentava le croci di vetta presenti nell’Appennino) in favore di una diatriba (più una gazzarra a bassi fini politici) che ha fatto seguito ad un incontro presso l’Università Cattolica di Milano. Il solo fatto di aver voluto parlare delle croci di vetta (alla presenza di illustri ricercatori e studiosi di vario segno ideologico) ha visto pressoché immediatamente la levata di scudi di un ben noto politico che, per potersi garantire un minimo di luce come difensore dei sacri valori della confessione di maggioranza della Penisola, ha provveduto immediatamente ad accusare alcuni dei partecipanti di voler sradicare le croci dalle vette (ipotesi perorata da nessuno, nemmeno da parte di chi assolutamente non vede nelle stesse altro che un tentativo di imposizione di un simbolo religioso altrui).

La breve ma potente tempesta mediatica che investito la rete e i media ha visto attaccare Marco Albino Ferrari e soprattutto Pietro Lacasella, con ulteriori strascichi all’interno della struttura del Club Alpino Italiano e con un attrito ancora non definitivamente sanato con il Presidente Generale Antonio Montani trovatosi costretto a rispondere al Ministro del Turismo dell’attuale Governo salvo poi sentirsi accusare di non aver difeso a sufficienza i propri collaboratori di allora (i succitati Ferrari e Lacasella). 

Di per sé il tutto potrebbe essere risolto facendo ricorso ad un famoso libello, Sotto la Notizia Niente, di Claudio Fracassi, in cui viene spiegata la differenza tra fatto e fattoide. Nella fattispecie, quanto usato nelle accuse era un fattoide (ovvero un non-fatto che a furia di essere ripetuto viene assunto come dato di fatto), ma è bastato a creare una notevole querelle.

Per quanto sopra, oltre che per l’indubbio valore in termini di ricerca etnografica, antropologica e di storia dell’arte, non possiamo far altro che dare il benvenuto a SACRE VETTE, I simboli sulle Cime, con le croci sui Tremila delle Dolomiti, (ed. CIERRE) curato dalla già citata Ines Millesimi assieme al Prof. Mauro Varotto dell’Università di Padova ed al cui interno troviamo una serie di riflessioni sulla questione (nei suoi termini scientifici e non di basso sfruttamento mediatico a fini di altrettanto bassa politica) a firma di studiosi della materia da ogni angolazione possibile.

L’elenco corredato di apparato iconografico riguarda le vette dolomitiche al di sopra dei tremila metri (già di per sé ciò ha un notevole valore da un punto di vista etnografico e soprattutto per la storia dell’arte) e vede come viatico introduttivo una serie di riflessioni, ciascuna dichiaratamente scevra da ipocrite forme rimandanti alla political correctness in favore, invece, di singole trattazioni volte non alla demonizzazione o all’attacco delle posizioni contrarie, ma alla ricerca del dialogo e, soprattutto, della conoscenza.

Riflessioni d’autore

Tra gli interventi, dunque, troviamo la seguente serie di riflessioni, alcune generaliste, altre invece dedicate a precisi case studies, come da assodata prassi accademica: Marco Albino Ferrari ci parla di Un segno per esistere e delle croci come marker, mentre Marco Cuaz analizza Croci, bandiere e altri segni di vetta. Jon Mathieuci offre un ragionamento di particolare interesse, proprio perché meno citato o preso in considerazione, sulle Croci di vetta nelle aree alpine protestanti, mentre Fabienne Jouty, torna ad un’analisi più concettuale con il suo Quando il sacro investe le vette. Breve storia delle croci di vetta nelle Alpi in Francia (1850-2020). Fulvio “Marko” Mosetti analizza i Simboli di vetta sulle montagne slovene: croci di vetta, stolp e timbri (di particolare interesse un tale case study per un’area che vede nel cattolicesimo e nella montagna due dei suoi tratti identitari principali ed a carattere transfrontaliero), mentre Claudia Paganini analizza la questione a cavallo del confine italo-austriaco con Tradizione o scandalo? L’emozionale storia delle croci di vetta tra Italia e Austria. Ai monti della Spagna dedica la propria riflessione Oscar Gaspari (Croci e monumenti nei monti della Spagna) mentre Don Paolo Papone analizza la situazione valdostana (Croci e statue di vetta in Valle d’Aosta). Pietro Giglio sceglie di analizzare come case study una singola montagna, nel suo la Dent d’Hérens, Montagna appartata ma contesa per il simbolo in vetta ed altrettanto fanno Pietro Lacasella, pietra dello scandalo precedente, con Il caso di Cima XII nelle Prealpi venete e Antonio “Toni” Farina con il suo studio su Monveso di Forzo. Una montagna sacra per la natura nel Gran Paradiso. 

Dai simboli sacri al concetto di montagna sacra è l’ambito di riflessione di Antonio Mingozzi, Riflessioni per una montagna sacra nel Parco Nazionale Gran Paradiso, mentre un taglio sociologico della questione viene presentato da Giovanna Rech, Croci, libertà religiosa e simboli sulle vette. Una riflessione sociologica. Sulla stessa scia si inseriscono, quasi senza soluzione di continuità, le riflessioni di Luigi Casanova, Strutture sulle montagne e ricerca di sobrietà e di Marco Valentini, Croci di vetta e simboli negli spazi pubblici, mentre solo apparentemente “di parte” – anche se di segno decisamente opposto – sono le riflessioni di Mons. Melchor Sánchez de Toca, Il significato del Cristo Crocifisso sui monti. Possibili interpretazioni e il potentissimo j’accuse di Fausto De Stefani, Perché la croce?, in cui viene sottolineata l’imposizione di un simbolo non sempre condiviso e che potrebbe rischiare di diventare divisivo. Alla ricerca di un dialogo, seppur partendo da basi filosofiche è poi il contributo di Ciro De Florio, Di croci e di vette. Una specie di dialogo filosofico. 

Piacevolissima la riflessione conclusiva di Mauro Varotto, che da buon docente differenzia chi guarda la luna e chi invece si sofferma ad osservare il dito che tale luna indica, “cappello” assolutamente in tema con la polemica assurda che ha fatto eco al primo volume curato dalla Millesimi.

Da segnalare per completezza, oltre all’apparato iconografico sulle croci di vetta, due sezioni dedicate alla Cartografia dei segni di vetta nelle Dolomiti oltre i 3000 metri di quota e ad una Tabella con i segni di vetta presenti sui Tremila delle Dolomiti.

In buona sostanza un volume di alto valore accademico con un’ampia messe di materiali studiati e presentati come da manuale e che raccolgono in un unico tomo una serie di manufatti che spesso presentano un alto interesse dal punto di vista etnografico, di sovente anche artistico e, last but not least, sono dotati di un valore aggiunto non computabile e quantificabile in quanto portatori di valore dato dal credo dei singoli e delle comunità. La lettura delle singole riflessioni permetterà a tutti, dall’accademico più smaliziato al semplice appassionato di analizzare la questione, gustarsi gli aspetti etnografici, artistici e di fede, e soprattutto di evitare il ripetersi di situazioni in cui opere di alto valore intellettuale e sociale vengono utilizzate sine grano salis da politici alla ricerca di occasioni per uscire con querelle che nulla hanno a che vedere con quanto proposto, per tacere dei cosiddetti leoni da tastiera che non hanno trovato di meglio che accusare seri intellettuali e studiosi di atteggiamenti ed ideologie mai espressi o perorati creando una shitstorm immeritata e illogica che ora, però, con questa nuova pubblicazione, cambierà rotta per rivolgersi contro i succitati “leoni” nella speranza che, dopo essersi detersi dalla pioggia di cui sopra, vadano a leggere quanto offerto dalla studiosa laziale e dal docente universitario patavino ringraziandoli per esaustività e precisione.

Del resto l’arte della ricerca non sta nel fornire risposte preconfezionate, ma nel mettere a disposizione materiale per ulteriori riflessioni che facciano scoccare la tanto bramata fiammella della curiosità in chi legge per capire quanto scritto (e non quanto si vorrebbe leggere).

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