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A tu per tu con Gennadii Kopeika, leggenda dell’alpinismo ucraino

Grandi salite in Himalaya, le spedizioni nell’era sovietica. E, soprattutto, cosa fanno oggi gli alpinisti dell’Ucraina in guerra

Primo ucraino a scalare il K2, ha partecipato alla mitica spedizione del ‘90 sulla Sud del Lhotse, scalato Everest, Manaslu e tanto altro. Gennadii Kopeika è uno dei grandi alpinisti dell’ex Unione Sovietica, oggi attivo nella Federazione Ucraina di alpinismo e arrampicata. Tante le domande da porgli sulla sua carriera alpinistica, sull’organizzazione delle spedizioni sovietiche e, soprattutto, sul momento che sta attraversando la sua Ucraina anche dal punto di vista alpinistico.

Cominciamo dalla Sud del Lhotse?
La nostra spedizione sul Lhotse fu la terza e ultima spedizione himalayana dell’URSS. L’Unione Sovietica, infatti, era uno stato con le frontiere chiuse. Era molto difficile per gli alpinisti viaggiare all’estero e l’Himalaya non era accessibile per noi. Il risultato è che in 74 anni di URSS ci furono solo tre spedizioni sovietiche in Himalaya. E tutte e tre furono delle salite notevoli! Nel 1982 salirono una via ancora irripetuta sulla parete sud-ovest dell’Everest. Nel ’89, i nostri alpinisti hanno fatto la prima traversata delle quattro cime del Kanchenjunga. E poi nel 90 è toccato a noi. Ci presentammo in sessanta alle selezioni per la spedizione, fummo scelti in diciassette.
Affrontavamo la montagna con l’idea che bisognasse raggiungere l’obiettivo ad ogni costo.

Prima di noi, molti avevano fallito su quella parete mitica. Fallirono i giapponesi nel 73, gli italiani nel 75 guidati da Riccardo Cassin. Non ebbero buon esito neppure i tentativi del grande Reinhold Messner. Un anno prima della nostra spedizione, la Sud si portò via Jerzy Kukuczka. Il mio compagno Mikhail Turkevich ed io siamo stati gli unici testimoni del luogo in cui Kukuczka ha perso la vita. Mentre cercavamo un modo per aggirare un gendarme a 8200 m di quota, abbiamo visto dei chiodi. Da essi pendevano i lembi di una corda sottile. A Jerzy mancavano solo 30 metri per raggiungere la cengia rocciosa.

Cosa ricordi di quella ascensione incredibile?
Usammo il vecchio stile delle scalate himalayane, ora diventato impopolare: la tattica d’assedio. Abbiamo installato 4000 metri di corde fisse sulla parete rocciosa. Abbiamo passato 40 giorni in parete, un lavoro enorme! Inoltre, a me furono anche assegnate le funzioni di operatore d’alta quota, dato che ero un videografo professionista. Fu una vera e propria “lotta eroica”. Ricordo la notte passata a 8300 m senza tenda. Abbiamo scavato una truna nel ghiaccio e abbiamo dormito seduti uno accanto all’altro, a meno 40 gradi. Per tutta la notte ho sognato di essere alla fermata dell’autobus e un amico mi gridava “Dai, sali sull’autobus, andiamo a casa!”. Se lo avessi ascoltato e mi fossi alzato, sarei precipitato nell’abisso.

Nel dicembre 91 l’Unione Sovietica cessò di esistere. Noi siamo stati insigniti delle ultime onorificenze sovietiche dal Presidente Gorbaciov. Vladimir Karateav, che sul Lhotse ha lasciato tutte le dita di mani e piedi ricevette il più alto riconoscimento: l’Ordine di Lenin. Io, invece, l’Ordine della Bandiera Rossa del Lavoro.

Come si è evoluto l’alpinismo ucraino dagli anni 90 ad oggi?
Dopo il crollo dell’URSS, l’atteggiamento nei confronti dell’alpinismo nei paesi post-sovietici è cambiato radicalmente. Non c’erano più finanziamenti governativi o grandi spedizioni. Gli alpinisti ucraini iniziarono ad andare in Himalaya più spesso, ma solo su vie classiche. Oppure con spedizioni internazionali. Ad esempio, sul K2 io sono andato con gli americani Ed Viesturs e Scott Fisher. Negli anni successivi abbiamo puntato tanto sull’alpinismo tecnico. Ogni anno organizzavamo in Crimea delle gare internazionali di alpinismo, a cui partecipavano diversi paesi. Fino al 2014, quando la Russia occupò la Crimea e iniziò una guerra a lungo termine.

Non ci siamo persi d’animo e abbiamo iniziato a organizzare i campionati sulle montagne italiane, slovacche, romene e bulgare. In Ucraina, purtroppo, non c’è molto da scalare. Così abbiamo iniziato a costruire pareti artificiali per allenarci. Solo a Charkiv ce n’erano 10, ora distrutte dai proiettili russi.

Che ne è stato degli alpinisti ucraini dopo lo scoppio della guerra?
In Ucraina gli alpinisti sono persone socialmente attive. Molti di loro sono andati a combattere arruolandosi spontaneamente. Naturalmente non tutti sono al fronte. Molti alpinisti sono impegnati nel ripristino di edifici distrutti, nella riparazione dei tetti e in altri lavori in fune. L’inverno è rigido in Ucraina e il rifacimento delle case colpite è fondamentale per dare riparo a tanti civili.
Altri sono entrati nei numerosi gruppi di volontari che aiutano a evacuare la popolazione civile, trasportare gli aiuti umanitari, fornire cibo e vestiti. Tra le forze speciali che hanno liberato la regione di Charkiv dall’invasione, c’era anche il mio grande amico nonché eccezionale alpinista Alexander Zakolodny. È morto a gennaio, insieme al suo socio di scalate Grigory Grigoriev, in una battaglia a Bakhmut. Come lui, tanti altri. Sto compilando un registro degli alpinisti ucraini deceduti in guerra. Sono già tanti gli amici e i conoscenti caduti. Fa terribilmente male!

Cosa ti è successo dall’inizio della guerra?
Già qualche mese prima dello scoppio della guerra mia moglie Svitlana aveva preparato una “valigia di emergenza” con documenti e oggetti essenziali. Ci aspettavamo un attacco.
Il 24 febbraio 2022 è arrivato. Ci siamo svegliati alle 5.30 al suono delle esplosioni. Non volevo aprire gli occhi. Non era panico, solo non volevo svegliarmi in un’altra dimensione fatta di incertezza e paura… In effetti, è stato spaventoso anche per me, anche se nell’alpinismo mi sono trovato faccia a faccia con la morte più di una volta! Questa volta era peggio, avevo paura non per me, ma per la mia famiglia. Dalla finestra si vedevano lampi e fuochi. Per le strade passavano colonne di carri armati e altri mezzi militari. C’erano già truppe russe alla periferia della città.

Una persona si abitua a tutto. Gli allarmi antiaerei suonavano costantemente, le notti erano sempre insonni e l’ansia costante. Siamo riusciti ad andarcene grazie all’aiuto di Edward Morgan. Ci siamo conosciuti nel 2016 poiché lui stava scrivendo un libro sulla parete Sud del Lhotse. Voleva saperne di più sulla nostra spedizione e iniziammo una lunga corrispondenza. Sei anni dopo, Edward e la sua famiglia hanno aperto la porta di casa loro, in Svizzera, e ci hanno accolti con affetto. Ora stiamo pensando di scrivere insieme un libro sui particolari allenamenti degli alpinisti sovietici.

Sei riuscito a recuperare i tanti video e foto delle tue spedizioni o la guerra ti ha portato via tutto?
È tutto al sicuro dentro degli hard disk. Mia moglie li aveva messi nella “valigia di emergenza” prima dell’inizio della guerra.

Cosa fa in questo momento la Federazione Ucraina di alpinismo e arrampicata?
La Federazione non si ferma! L’alpinismo nella sua forma classica è ora impossibile poiché gli ucraini in età militare non possono viaggiare all’estero. Tuttavia, organizziamo delle gare su pareti artificiali o in falesia. Quest’anno abbiamo organizzato gare di arrampicata, tecnica alpinistica, drytooling, scialpinismo e trail running nei Carpazi. Hanno partecipato tanti atleti, soprattutto da Kiev.

Intanto in Russia imperversa una propaganda anti-ucraina. La maggior parte degli alpinisti russi (una volta nostri amici) ha paura a comunicare con noi. Altri, invece, vanno in guerra per soldi.

Che cosa rappresenta l’alpinismo per gli ucraini adesso?
Sebbene in Ucraina non ci siano grandi montagne, gli ucraini hanno sempre amato l’alpinismo e rispettato gli scalatori. È come volare nello spazio: qualcosa di irraggiungibile e incomprensibile, ma attraente. Speriamo tutti in una rapida fine della guerra per portare a una vita normale e a salire sulle montagne. In futuro mi piacerebbe organizzare delle competizioni internazionali di alpinismo con tutti i paesi europei.

L’alpinismo è un punto di incontro?
Certo, l’alpinismo e la montagna uniscono le persone! Non importa chi sei per professione, posizione o situazione economica, in montagna siamo tutti uguali. Affidare al tuo partner la tua vita è la più alta manifestazione di amicizia. La stessa cosa accade in guerra. Alexander Zakolodny è morto in battaglia perché si è precipitato a salvare il suo amico alpinista, che è stato ferito a morte. Ora sono sepolti fianco a fianco e le loro lapidi sono collegate da una corda da arrampicata.
Le montagne purificano le persone. Non c’è posto per la menzogna e l’inganno, lassù l’amicizia viene messa alla prova e rafforzata.

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