Film

“Sfida per la vetta”: Ueli Steck e Dani Arnold protagonisti su Netflix

Le imprese, la rivalità e il rispetto reciproco dei due campioni svizzeri in uno spettacolare docufilm

Chi pensa che gli svizzeri non sappiano essere spiritosi si sbaglia. Una dozzina di anni fa, quando Ueli Steck entra negli studi della rete di lingua tedesca, il presentatore chiede “signor Steck, ma lei è matto?”. Per rispondere l’alpinista della Emmental, detentore di incredibili record di velocità sulle Nord dell’Eiger, delle Grandes Jorasses e del Cervino, si mette un dito sulle labbra e risponde: “Shhhhhh!” Ma ha gli occhi che brillano, e si vede.

Sulla scena nello studio televisivo svizzero corrono i titoli di testa di “Sfida per la vetta”, “Duell am Abgrund” in tedesco e “Race to The Summit” in inglese. È un docufilm di 90 minuti, regia di Nicholas de Taranto e Götz Werner, prodotto da Pitch Productions, che è possibile vedere da qualche giorno su Netflix.

Dopo Nirmal Purja e le sue “14 Vette”, dedicato alla collezione degli “ottomila” realizzata nel 2019 dall’ex-Gurkha, il film su Ueli Steck e il suo amico e rivale Dani Arnold è uno dei primi tentativi del colosso della televisione in streaming di entrare nel mondo dell’alpinismo. La notizia è certamente positiva, e “Sfida per la vetta” merita di essere visto da tutti gli appassionati di montagna e di sport.


Nel docufilm, che mette insieme immagini girate in epoche e in contesti diversi, chi ama l’alpinismo-spettacolo e le immagini al cardiopalma resta a bocca aperta di fronte alle arrampicate solitarie e senza corda dei due protagonisti sulle pareti calcaree della Svizzera, sulle tre celeberrime pareti Nord delle Alpi, e sulla gigantesca parete Sud dell’Annapurna, dove Steck ha tracciato nel 2013 una via nuova da solo, salendo e scendendo in 28 ore.

La corda compare solo su El Capitan, nella Yosemite Valley, dove Ueli arrampica a tempo di record in cordata con il campione locale Alex Honnold. I due si alternano in testa, come sempre sui “Big Wall” californiani il secondo sale sulla corda fissa con le jumar. Gli alpinisti che vengono via via superati da Alex e Ueli si appiattiscono sulla roccia per lasciar passare i due eroi.

L’immagine più bella di tutte, girata da un elicottero d’inverno, ci mostra l’alpinista elvetico risalire a tempo di record, silhouettato contro uno sfondo bianchissimo, il ripido scivolo finale di neve della parete Nord dell’Eiger, “l’Orco”, che per Steck era la montagna di casa. Nella seconda parte del docufilm, scene altrettanto impressionanti mostrano la progressione ultraveloce di Arnold.

Seguire la progressione dei record sulle tre Nord, con Arnold che batte i tempi di Steck ma viene controsuperato sull’Eiger, fa girare un po’ la testa allo spettatore. Oltre a offrire momenti di grande spettacolo, però “Sfida per la vetta” permette di riflettere sul senso dell’alpinismo ultraveloce praticato dai due campioni svizzeri.

Aiutano a farlo le scene di corse su cenge strette e franose a centinaia di metri di dislivello dalla base, l’allenamento sistematico e brutale di Steck, gli interventi di compagni di avventura e critici. Tra questi la guida Simon Anthamatten, che nel 2009 ha condiviso con Steck un Piolet d’Or per la nuova via sul Tengkangpoche, in Nepal, e la scrittrice Karin Steinbach che ha dedicato alla “Swiss Machine” un libro.


“È impossibile spiegare l’alpinismo a chi non lo pratica, ma tutti capiscono il cronometro” spiega il fotografo e alpinista Röbi Bosch. “Ueli Steck ha inventato lo stile moderno nell’alpinismo” taglia corto Alex Honnold, star dell’arrampicata in Patagonia e in California. Dani Arnold, che ha otto anni meno di Steck, racconta di quando ha assistito a una delle serate del rivale, e si è detto “lo voglio fare anch’io”.

Il film dà spazio anche all’accusa più grave, formulata dal giornalista francese Rodolphe Popier, ex-giurato dei Piolets d’Or, che giudica sospetta la mancanza di immagini (foto e video) in numerose imprese di Ueli Steck, e arriva a mettere in dubbio che siano state compiute davvero. A difenderlo con passione, oltre all’amico americano Alex Honnold, è la giornalista zurighese Mona Vetsch.

La notizia della caduta mortale di Ueli Steck sul Nuptse, nella primavera del 2017, stende un velo di dolore sul film. Verso la fine, la scena in cui Dani Arnold siede a tavola con la moglie, e dà da mangiare alla figlia piccolissima, sembra suggerire una scelta di vita più tranquilla. Prima dei titoli di coda, però, attraversa lo schermo la notizia dell’ascensione, da parte di Dani, della Nord della Cima Grande di Lavaredo in 46 minuti. Una “Swiss machine” ha preso il posto dell’altra, l’alpinismo di velocità non si ferma.

Come abbiamo già detto all’inizio, “Sfida per la vetta” è un prodotto di alta professionalità, costruito e montato con sapienza. Per questo, nell’edizione italiana trasmessa da Netflix, dà fastidio una quantità impressionante di svarioni. Dimenticare che gli alpinisti dicono “arrampicare” e non “arrampicarsi” è un errore lieve, tradurre “free climbing” con “senza tirarsi su con dei ganci” merita la matita rossa ed è un insulto alla lingua italiana. Lo speaker, dall’inizio alla fine, storpia i nomi dei due alpinisti in “Deni” e “Stick”, sì, come quello che si usa per i videogiochi. Sarebbe bastato far rivedere (e riascoltare) il tutto da un esperto. Che peccato.

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