Alpinismo

Niente Piolet d’Or per chi usa l’elicottero? Matteo Della Bordella è d’accordo

Un anno fa, dopo la fine del monsone 2021, nell’Himalaya nepalese è stata compiuta un’ascensione straordinaria. Tre alpinisti arrivati dall’Ucraina, Nikita Balabanov, Mikhail Fomin e Viacheslav Polezhaiko, hanno effettuato la prima salita della cresta Sud-est dell’Annapurna III, una vetta di 7555 metri che si alza a est del primo “ottomila” salito dall’uomo.

La ripida cresta dell’Annapurna III

La prima salita dell’Annapurna III è stata compiuta nel 1961, da parte di un team militare indiano diretto da Mohan Singh Kohli, che quattro anni dopo, avrebbe portato ben 17 alpinisti sull’Everest. La cresta dell’Annapurna III, ripidissima e affilata, offre un problema ben più difficile, e si alza per 2300 metri di dislivello. A tentarla per la prima volta, nel 1981, è stato un piccolo team britannico. Nella primavera hanno fallito i tirolesi David Lama, Hansjörg Auer e Alex Blümel. I primi due, tre anni dopo, sarebbero stati uccisi da una valanga sull’Howse Peak, nelle Rockies canadesi. Gli ucraini Balabanov, Fomin e Polezhaiko hanno già tentato la cresta nel 2019, e hanno dovuto rinunciare a circa 6300 metri. L’ascensione vittoriosa ha richiesto sedici giorni, dal 22 ottobre al 6 novembre, più altri tre per la discesa sul ripido e pericoloso versante Sud-ovest.

La salita dei tre alpinisti ucraini

La nuova via di salita, che gli alpinisti hanno battezzato Patience (Pazienza), ha uno sviluppo di quasi tre chilometri, con difficoltà di 6A e A3 su roccia e M6 su ghiaccio e misto, con pendenze fino a 90°. L’impressionante racconto di Mikhail “Misha” Fomin può essere letto (in inglese anche online) sull’edizione 2022 dell’American Alpine Journal. Per acclimatarsi, i tre salgono in stile alpino ai 7525 metri dell’Annapurna IV. La salita verso la cima più alta inizia la sera del 22 ottobre. Nella prima parte, per trovare buone condizioni di neve, i tre arrampicano di notte e riposano di giorno. Il passaggio più difficile, un’affilatissima cresta di neve instabile, viene superato da “Slava” Polezhaiko il 27 ottobre, a cavalcioni e poi usando una pala per scavare dei gradini. Nella parte finale, i tre devono affrontare muri verticali e strapiombi di ghiaccio e scaglie rocciose instabili. Un camino di ghiaccio salito in opposizione li porta ai 7100 metri della cresta sommitale. Quando arrivano in cima, alle 11 del 6 novembre, il vento soffia a 70 chilometri all’ora e la temperatura è oltre i 30 gradi sottozero. Un clima che fa abbandonare l’idea di scendere verso Manang, e fa scegliere agli ucraini il ripido versante Sud-ovest. Dall’alto sembra una via non troppo difficile, una volta raggiunta la base Fomyn scrive di “un’esperienza che nessuno di noi vorrebbe ripetere”.

La contestazione sull’uso dell’elicottero

Qualche mese più tardi, la giuria dei Piolets d’Or, gli “Oscar dell’alpinismo” che vengono assegnati in Francia, riconosce il valore dell’ascensione dei tre ucraini. Insieme a Conrad Anker, Genki Narumi, Paul Ramsden, Patrick Wagnon e Mikel Zabalza, ne fa parte Alex Blümel, che ha tentato la cresta con David Lama e Hansjörg Auer. “Il percorso è complicato dal punto di vista tecnico, estremamente impegnativo e può essere realizzato solo se la squadra ha eccellenti capacità, e alti livelli di resistenza e di giudizio. Inoltre, si trova in un settore del Nepal con condizioni meteorologiche peggiori rispetto alla maggior parte dell’Himalaya” recita la motivazione. Eppure, i tre ucraini non ricevono un Piolet d’Or, ma solo una Menzione speciale della giuria. Il motivo è l’uso dell’elicottero per raggiungere il campo-base, e per tornare a Pokhara.

“Misha” Fomin affronta il problema all’inizio dell’articolo sull’American Alpine Journal. “Arrivare a piedi alla base dell’Annapurna III è impossibile. Nel 2003 gli inglesi Nick Bullock e Matt Helliker hanno visto che una frana ha distrutto il sentiero, e che passare da lì sarebbe un rischio mortale per i portatori. Sono tornati a Pokhara, sono saliti in elicottero, e da allora tutti hanno fatto così”. “L’alternativa, partire da Manang e scavalcare un valico a 5500 metri di quota (il campo base è a 4600) avrebbe richiesto altri dieci giorni, su terreno alpinistico, per portare a spalla il materiale. Non avevamo il tempo” conclude Fomin. In discesa, dopo 20 giorni in parete, i tre sono esausti e si fanno recuperare da un elicottero a 4500 metri di quota, senza affrontare la lunghissima discesa a piedi verso Pokhara.

La giuria dei Piolets d’Or, per questo motivo, ha ritenuto di non poter assegnare il riconoscimento più ambito ai tre ucraini, a causa di “alcuni aspetti non conformi alla Carta” della manifestazione. “Lo scopo dei Piolets d’Or non è solo di riconoscere le salite più significative dell’anno, ma anche di utilizzare queste salite per promuovere messaggi etici riguardo la pratica dell’alpinismo, in linea con il suo riconoscimento a patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO” si legge nelle motivazioni. “Montagne e le persone che vi abitano sono sempre più danneggiate dai cambiamenti climatici, spetta a noi alpinisti agire in modo responsabile e limitare il nostro impatto”. L’uso dell’elicottero ha un impatto ambientale elevato. Per questo, “quando un luogo non può essere raggiunto attraverso le vie di trasporto regolari, o con mezzi rispettosi dell’ambiente, dovrebbe essere lasciato alle generazioni future”. Qualche riga prima, nell’assegnare il Piolet d’Or ai georgiani Archil Badriashvili, Baqar Gelashvili e Giorgi Tepnadze per la loro ascensione della vetta Nord-ovest del Saraghrar, nell’Hindu Kush, la giuria ha sottolineato l’importanza di aver usato “un approccio convenzionale e fair means, mezzi rispettosi”.

Una decisione giusta?

In Nepal, com’è noto, l’uso dell’elicottero è diffusissimo. Ai piedi dell’Everest e dell’Annapurna, prima e dopo il monsone, decine di voli ogni giorno portano in quota turisti in cerca di panorami, e riaccompagnano a valle i trekker che non vogliono farlo a piedi. Tra aprile e maggio, quando il campo-base dell’Everest accoglie decine di spedizioni commerciali, l’andirivieni è ancora più intenso. La decisione di negare il Piolet d’Or ai tre ucraini non rischia di essere sproporzionata?

Direi di no, è stata una scelta assolutamente corretta, per la quale mi congratulo con la giuria” commenta Matteo Della Bordella, uno dei migliori alpinisti italiani, autore di importanti salite in Patagonia, in Groenlandia, nell’Himalaya indiano e in Karakorum. “Non ho dubbi, quella di Balabanov, Fomin e Polezhaiko è stata una delle salite più importanti degli ultimi dieci anni” continua l’alpinista lombardo. “La valutazione tecnica, però, non esclude la riflessione sull’etica. L’uso dell’elicottero in montagna è sempre più frequente, ma proprio per questo bisogna trovare un limite. Gli alpinisti di alto livello devono dare l’esempio. La giuria dei Piolets d’Or ha trovato un ottimo compromesso. Io mi congratulo con loro.”   

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3 Commenti

  1. Personalmente non darei il Piolet D’or neanche a chi usa gli spit.
    Dopo anni di lotta contro i chiodi a pressione, ormai si trapana dappertutto senza remore.
    Questo indipendentemente dal poi passare in libera o artificiale.

    1. Assolutamente d’accordo. Sia sul tuo commento che con quello di Della Bordella. Spiace perchè è davvero una gran bella salita, ma l’elicottero porterà all’azzeramento dell’esposizione nell’alpinismo. Soprattutto adesso che l’utilizzo è diffuso sempre a quote più alte come in Himalaya che era l’ultimo posto selvaggio dove praticare un alpinismo senza aiuti psicologici.

  2. Quelli che d’abitudine piantano spit quando scalano, direi anche quelli che li piantano a mano, cioè senza trapano, ma usando i cliff per metterli, secondo me, vedendo il livello di difficoltà superabile raggiunto in questi anni, non dovrebbero esprimere nessun giudizio.
    Parlino solo quelli che se non trovano talvolta “bucano” quando vanno oltre il 7a e non si appendono ai cliff (non azzerano in apertura) !
    Ma non parlano mai 🙂
    Questa decisione di non assegnarlo mi piace parecchio.

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