AlpinismoAlta quota

Gli ottomila, l’invernale sul K2 e il Covid. Nirmal Purja si racconta dall’Everest

Sul “Tetto del Mondo” sono i giorni della vetta. Domenica pomeriggio ha concluso la sua fatica a 8848 metri di quota il team dei fixers del versante nepalese, guidato da Kami Rita Sherpa, che ha così salito l’Everest per la venticinquesima volta. Poche ore dopo, seguendo le loro corde fisse, la guida britannica Kenton Cool ha compiuto la sua ascensione numero 15. Fino a ieri, 12 maggio, sono arrivati sull’Everest oltre un centinaio di alpinisti. 

Nei prossimi giorni tenterà di tornare lassù anche l’alpinista più famoso del Nepal. Nirmal Purja, Nimsdai per i social e gli amici, ha lasciato il campo-base per respirare un po’ di ossigeno a Namche Bazaar, duemila metri di quota più in basso. Quando risponde alle mie domande su Skype sembra sereno ed euforico, e mitraglia il suo interlocutore con i suoi “This is great, bro!”. Intorno a lui, però, la situazione è drammatica. Kathmandu è nuovamente in lockdown, i voli da e per il resto del mondo sono bloccati, Namche, priva di trekker, è silenziosa e impoverita. Sull’Everest i casi di Covid-19 ci sono stati, ma sembra che la “bolla” informale che comprende gli sherpa, gli alpinisti e il personale del campo-base abbia sostanzialmente tenuto. Qualche giorno fa il governo cinese ha chiesto di tracciare una linea che divida in due parti la cima, per evitare contatti con eventuali alpinisti infetti arrivati dal versante meridionale. Le autorità di Kathmandu, da parte loro, hanno chiesto agli alpinisti impegnati sull’Everest di cedere le loro bombole di ossigeno agli ospedali nepalesi, che ne hanno drammaticamente bisogno. 

Nirmal Purja ama pensare in positivo, e vuole che i suoi clienti raggiungano gli 8848 metri. Nonostante il momento delicato, ha risposto volentieri alle mie domande sulla situazione di questi giorni sull’Everest, ma anche a quelle sul Project Possible del 2019 (con la salita dei 14 ottomila in sei mesi), sull’invernale al K2 di pochi mesi fa e su Big Mountain Cleanup, la campagna per la pulizia dell’Himalaya che ha lanciato da qualche settimana. Fa piacere ricordare che, da qualche tempo, tra i partner di Nims c’è anche un’azienda italiana come Scarpa.   

Lei è diventato famoso nel 2019, quando ha salito i 14 ottomila in 189 giorni. Quattro mesi fa, con la prima invernale del K2, ha risolto uno degli ultimi problemi dell’alpinismo. Quale delle due imprese è stata più dura? 

“Non si possono fare paragoni, il Project Possible è stato infinitamente più duro. Dopo ogni montagna ce n’era subito un’altra, tutte erano grandi e difficili, sul Kangchenjunga ho dovuto cedere il mio ossigeno per salvare un alpinista nei guai. L’invernale del K2 mi ha impegnato per due giornate. Durissime, infinite, ma solo due”. 

Siete arrivati in cima al K2 in dieci, lei è stato il solo a non usare le bombole, ma ha annunciato questo fondamentale dettaglio solo dopo essere rientrato alla base. Perché lo ha fatto?

“Qualcuno, in particolare Mingma Gelje Sherpa, aveva annunciato di voler tentare senza ossigeno, ma poi ha deciso di usarlo. Non ho voluto forzare nessuno, eravamo tutti poco acclimatati. Però era importante raccontare l’arrivo in vetta come una vittoria di dieci alpinisti nepalesi. Il mio Paese ne aveva bisogno dopo la sofferenza del Covid. E poi quel che conta è la squadra!”

Immagino che questa idea derivi dalla sua esperienza nei Gurkha, e poi nelle forze speciali britanniche…

“Certamente. Siamo saliti come una squadra, quello che conta è la squadra, la vittoria era ed è di tutti”. 

Lei mi sta parlando da Namche Bazaar, dove quest’anno non c’è nemmeno un trekker. E’ triste, ed è un danno terribile per la popolazione. Lì i dollari, gli euro, le sterline e gli yen degli stranieri sono la vita. 

“E’ vero, è vero. E’ molto triste fratello. It’s very sad, bro!”

Com’è la situazione sull’Everest rispetto al Covid? Non era possibile vaccinare alpinisti, sherpa e il resto del personale prima dell’inizio delle spedizioni? Le Olimpiadi di Tokyo verranno disputate proprio grazie a un intervento di questo tipo. 

“E’ vero, sarebbe stata un’ottima idea. Ma le spedizioni sono arrivate nel Khumbu alla fine di marzo, quando la situazione non era grave, e sembrava che il Nepal stesse per riaprire anche ai trekker e ai turisti. Poi la situazione in India è andata fuori controllo. E’ successo tutto in fretta!”

Ho letto che la seraccata dell’Everest, l’Icefall, quest’anno è molto pericolosa, e che qualcuno tra gli Sherpa avrebbe preferito rinunciare. 

“Non è vero, ogni tanto sull’Everest girano delle informazioni sbagliate. Quest’anno la via attraverso l’Icefall è facile e sicura, e ha richiesto molte meno scale del solito. Ma fa dei giri lunghissimi, ed è molto faticosa”. 

Lei è già arrivato al Colle Sud quest’anno?

“No, tre giorni fa sono salito al campo III sulla parete del Lhotse, andrò più in alto prima di tentare la cima”. 

Kami Rita Sherpa, che ha guidato il team dei fixers, ha salito l’Everest per 25 volte, ed è diventato un personaggio famoso. Siete in competizione o siete amici? 

“Stimo moltissimo Kami e siamo amici, ottimi amici. E’ un altro fratello, he’s another bro, come i miei nove compagni di avventura sul K2”.  

Qualche settimana fa, dei campi sull’Annapurna, oltre i 7000 metri di quota, sono stati riforniti in elicottero. Certo, più in basso, lungo la via normale, il pericolo di valanghe era forte. Ma ha senso? Se si salta l’Icefall si può dire di aver salito l’Everest?

“Se facessi una cosa del genere mi sembrerebbe di barare, ma in montagna ognuno fa quel che crede. L’importante è essere onesti, e dire la verità al ritorno”. 

Cosa mi dice del suo Big Cleanup Project? Avete già iniziato a rimuovere immondizia dall’Everest?

“Non ancora, recuperare bombole, tende e altro materiale abbandonato sul Colle Sud è complicato, pericoloso e costoso. Intanto cerco di dare l’esempio, non lasciando nulla in alta quota, e invitando i miei clienti a fare lo stesso. Bisogna guidare con l’esempio!”

In meno di due anni, tra la primavera del 2019 e il gennaio del 2021, lei ha compiuto due imprese straordinarie come il Project Possible e l’invernale del K2. E’ riuscito a ideare, per il futuro, dei progetti altrettanto impegnativi, e di altrettanto impatto sul pubblico?

“La montagna aiuta sempre a pensare, e ho un paio di idee interessanti, che potrei tentare tra un paio d’anni. So che lei vorrebbe fare uno scoop, ma non gliele posso raccontare”. 

Lei è stato per molti anni un militare britannico, nelle forze speciali e prima ancora nei Gurkha, i militari nepalesi che hanno combattuto a Gallipoli, sulla Linea Gotica, alle Falkland e in decine di altre guerre. Secondo lei l’esistenza dei Gurkha ha creato un legame tra la Gran Bretagna e il Nepal?

“Certamente sì. E’ un legame molto forte, fatto di comprensione e di amicizia”. 

Lei è cittadino britannico o nepalese? Oppure ha la doppia cittadinanza? 

“Sono grato alla Gran Bretagna, rispetto la regina e la Corona, ma sono semplicemente un cittadino del Nepal. E poi, come tutti gli alpinisti, la mia vera patria è la montagna”. 

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