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Il Nepal fa paura, si teme una nuova India

I casi di contagio in Nepal sono in aumento esponenziale. Un mese fa i positivi erano 298, ieri 8.970 (circa 20 mila i tamponi fatti). Gli abitanti sono 31 milioni. Lo scorso weekend la percentuale di positività sui tamponi effettuati era del 44%. Anche il numero dei decessi è in crescita (attorno ai 50 al giorno, il doppio rispetto alla scorsa settimana), ma rimangono comunque bassi grazie anche a una popolazione abbastanza giovane.

Quello che sta accadendo in India in questo momento è un’orribile anteprima del futuro del Nepal se non riusciamo a contenere l’ondata di Covid, che sta reclamando vite minuto in minuto“, è la dichiarazione alla CNN della presidente della Croce Rossa nepalese, la dott.ssa Netra Prasad Timsina. E i grafici non smentiscono queste parole. Gli ospedali del Paese stanno andando in affanno, i dispositivi medici scarseggiano, come anche l’ossigeno. Il tutto in un sistema sanitario più fragile di quello indiano, basti pensare che il numero di medici pro capite è inferiore, come anche la percentuale di popolazione vaccinata.

Kathmandu è in lockdown e al momento è stata ripristinata la quarantena di 10 giorni per chi entra dall’estero. Sono stati bloccati tutti i voli interni, inclusi quelli tra la capitale e Lukla, creando alcuni problemi agli alpinisti e trekker in giro per le montagne nepalesi e intenzionati a rientrare, anche se pochi aerei sono mantenuti a tale scopo. Anche alcuni voli internazionali in uscita sono stati cancellati e la frequenza aumenta di giorno in giorno.

Misure di contenimento che, secondo i medici nepalesi, sono però state tardive rispetto alle avvisaglie che arrivavano dall’India, con la quale vige la libera circolazione, che ha favorito l’importazione di contagi. A fare il resto feste, matrimoni, celebrazioni religiose che hanno assembrato centinaia di persone, se non migliaia. La reazione lenta e di attesa del Governo nepalese, che ha tergiversato fino all’ultimo nell’imporre divieti e chiusure per paura dei danni economici, ha accelerato il contagio.

Oggi però il Governo sembra più reattivo e nei giorni scorsi è andato a cercare all’estero 20.000 bombole d’ossigeno per i propri ospedali. Presidi sanitari sono stati finalmente posizionati dall’esercito al confine con l’India allo scopo di testare chi entra nel Paese.

La stagione alpinistica

A preoccupare non è solo la situazione a Kahtmandu o al confine indiano, ma anche quella nel Khumbu, dove sono stati segnalati casi di infezione tra stranieri rientrati dai trekking.

Gli stranieri dovrebbero essere stati testati due volte (alla partenza dal proprio Paese entro 48 ore dall’arrivo) e una volta atterrati a Kathmandu. Anche se questo duplice passaggio è stato fatto a modo e il soggetto non stava incubando il virus (positivizzandosi quindi dopo il secondo tampone), il rischio di ammalarsi una volta in Nepal e di diffondere il Covid non è zero. Gli alpinisti e trekker solitamente permangono almeno un paio di giorni nella capitale prima di imbarcarsi sui voli per Lukla. Il timore è che possano contagiarsi proprio in città (lì i tassi sono tra i più alti) portando il virus nell’interno del Paese, dove i presidi sanitari sono maggiormente inadeguati e si hanno meno mezzi per affrontare la pandemia. Oltretutto, in molti segnalano che non tutti stanno adottando le misure adeguate di prevenzione, comprensibile dato che respirare con la mascherina in quota è faticoso, ma comunque irresponsabile perché si mettono in pericolo gli abitanti dei villaggi. Villaggi frequentati e abitati dai portatori che fanno avanti e indietro dai campi base. Personale nepalese che non ha l’obbligo di essere testato con tampone.

Una bomba a orologeria innescata. La speranza è che non scoppi, per gli alpinisti stranieri, ma soprattutto per gli abitanti delle valli, i quali non se la cavano con un’evacuazione in elicottero pagata dall’assicurazione, cure rapide private in ospedale e un rimpatrio in un Paese con un sistema sanitario di alto livello.

Una situazione sempre più difficile e che, come riporta il portale ExlorerWeb, sta iniziando a fare arrabbiare l’opinione pubblica nepalese: la richiesta è di interrompere le spedizioni e di dare agli ospedali le tante bombole destinate agli alpinisti. La sete del prezioso gas oggi non è più solo a 8000m. 

Situazione ai CB

All’Everest i casi accertati sarebbero almeno 17 secondo fonti straniere, non c’è ancora una conferma da parte del governo nepalese che persiste nel tacere e negare la situazione. Qualche giorno fa l’equipe medica di EverestER, associazione presente al CB per dare la prima assistenza sanitaria, ha radunato tutti i capospedizione per parlare della questione Covid. L’invito è stato di mantenere i vari team in una bolla evitando contatti tra persone di squadre diverse, di usare le mascherine al CB anche all’interno dei propri campi e di far visitare da un medico chiunque mostri sintomi respiratori per valutare se si tratti del virus o di problemi legati alla quota. Nel frattempo, le rotazioni continuano e oggi il team di sherpa che stanno fissando le corde è arrivato in vetta.

I contagi non sono però solo al CB dell’Everest, come abbiamo avuto modo di raccontarvi ieri riportando del focolaio al Dhaulagiri che ha coinvolto 14 alpinisti tra clienti e sherpa.

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Un commento

  1. Leggevo che al CB dell’Everest ci sono 2000 persone delle quali 400 alpinisti clienti paganti.
    Un paesotto densamente popolato.
    Non immaginavo queste cifre.
    I malati, stando alle percentuali di contagiati mondiali, dovrebbero essere 40, rispetto a quelle indiane 30 e a quelle nepalesi 25….. sono 17 quindi direi ottima situazione 🙂

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