Cronaca

Con Bernasconi se n’è andato il buono per eccellenza

“Berna è sempre lui: il compagno affidabile che, anche se quando lavora non risponde mai, in spedizione è una certezza. Insieme è nata l’idea della nuova via sul Cerro Torre e anche se un infortunio gli ha impedito di provarci la prima volta, mi piacerebbe che venisse anche lui, con me e Matteo Pasquetto, su quella via” (da La via meno battuta di Matteo Della Bordella). Ci è riuscito Matteo Bernasconi, il Berna come lo chiamano i suoi compagni nei Ragni, a vedere la est del Cerro Torre con i suoi occhi. L’ha fatto pochi mesi prima di morire travolto da una valanga sul Pizzo del Diavolo, nel canale della Malgina (Valtellina). Lascia la compagna e la figlia di due anni.

Dopo due mesi di stop forzato aveva voglia di ricominciare, di ripartire dalla sua passione per la montagna. Lo aveva anche annunciato, nel suo stile ironico e senza mai prendersi troppo sul serio, attraverso i canali social. In questa primavera si era dato allo sci, quella su cui si trovava quando se n’è andato è una classica per le pelli.

Classe 1982 entra a far parte dei Ragni della Grignetta nel 2003 segnando un periodo di svolta per il gruppo. In quegli anni indossano il maglione rosso, oltre a lui, anche Fabio Palma e Matteo Della Bordella. Da tempo non c’era più attività tra i Ragni, e il gruppo andava perdendo la sua importanza elitaria. Matteo al tempo non era famoso e non aveva lunghe liste di prime ascensioni da presentare. Era un ragazzo voglioso di mettersi alla prova in ciò che più amava, un giovane promettente. “Un entusiasta, un trascinatore” ricorda Fabio Palma. Lui e Matteo Della Bordella sono stati i fautori della rinascita gruppo, senza di loro i Ragni non sarebbero tornati a essere quello che erano”. Se i Ragni hanno potuto vivere questo nuovo periodo di grande alpinismo è stato grazie alla loro decisione di tentare la ovest della Torre Egger (il cui film è disponibile online), uno degli ultimi grandi problemi alpinistici della Patagonia (portato a compimento grazie anche al giovane Luca Schiera). Una storia durata tre anni che li ha trasportati tra i migliori scalatori contemporanei. Adesso il Berna non c’è più e come sempre la notizia, appresa nelle prime ore del giorno, lascia sgomenti. È un dolore inatteso e improvviso, quasi incomprensibile.

Matteo era quello delle sigarette in parete, anche se negli ultimi tempi aveva smesso di fumare, era il buono per eccellenza. Impossibile intervistarlo, ma appassionato narratore in falesia o davanti a una birra. Sul palco era silenzio totale, non era e non voleva essere un protagonista. Lo erano invece le sua scalate come la nuova via aperta sull’inviolata nord del monte San Lorenzo insieme a Hervé Barmasse, Lorenzo Lanfranchi e Giovanni Ongaro; o quella sulla est del Cerro Murallón tracciata nel 2017 insieme agli amici Matteo Della Bordella e David Bacci; e ancora qualche mese fa quando sull’Aguja Standhardt ha aperto insieme agli altri due Mattei, Pasquetto e Della Bordella, un nuovo itinerario chiamato Il dado è tratto per poi effettuare la prima ripetizione della via aperta in occasione dei 40 anni del gruppo Ragni della Grignetta sulla nord dell’Aguja Poincenot.

Guida alpina dal 2011 Bernasconi non ha mai tralasciato la sicurezza. Era il più prudente tra i suoi compagni di scalata, quello meno avvezzo alla ricerca dell’estremo. Oggi il suo sogno alpinistico era il diedro degli inglesi sulla est del Cerro Torre. Un’idea nata con Matteo Della Bordella, il suo fratello minore. Quest’anno era anche riuscito a partire, ma la via non si è voluta concedere: le condizioni erano troppo pericolose per poter provare la salita. L’hanno allora osservata da lontano i tre Matteo. Gli alti due, Pasquetto e Della Bordella, ci torneranno per certo. Scaleranno ancora insieme, tutti e tre, perché una buona cordata non si scioglie mai.

Il saluto di Matteo Della Bordella

Matteo Della Bordella, presidente del Ragni di Lecco e compagno di cordata di Bernasconi, ha voluto affidare ai social il saluto all’amico.

Chissà quante volte rivedrò la tua faccia disegnata sulle montagne che più amavi, su quelle montagne siamo cresciuti insieme ed i tuoi sogni sono sempre stati anche i miei, amico mio.

Se penso a quante ne abbiamo passate assieme, tutto questo mi sembra ancora più insensato, la rabbia e il vuoto dei ricordi si fanno ancora più grandi. L’amicizia non si può spiegare a parole, si declina in diversi modi, si cementa con il tempo trascorso condividendo parte del nostro percorso di vita.

Penso in realtà tu sia stato in grado di darmi più di quanto pensassi e più di quanto ti abbia mai dato io. Ricordo la prima volta che andammo in Patagonia insieme, la prima volta sotto la Torre Egger me la feci sotto, ero impacciato come un pulcino, persi addirittura una delle tue picozze nella crepaccia terminale e tu non ti arrabbiasti ma cercasti di tranquillizzarmi, eri la mia sicurezza, eri tutto. Eravamo solo io e te e non so nemmeno cosa ti avesse spinto a scegliere me come compagno, ma da lì è nato tutto. La tua determinazione era forte quanto la mia, ma la esprimevi con la maturità dei grandi.

Chissà se in quei terribili istanti di questo 12 maggio, avrai provato le stesse sensazioni di quel giorno sulla Torre Egger quando ti piombai in testa e per un attimo pensai che tutto fosse finito. Quell’esperienza ci aveva segnati entrambi, ci aveva fatto maturare e resi più responsabili, soprattutto tu eri diventato un vero uomo. Dei due eri tu quello con la testa sulle spalle, quello capace di ragionare e mettermi un freno quando le mie idee e le mie ambizioni dilagavano in zone pericolose. Già allora avevi quell’equilibrio nella vita tra passione, lavoro ed affetti che guardavo con grande ammirazione e faticavo a trovare, eri un esempio e continui ad esserlo.

Quando scalammo insieme il Cerro Murallon ero la persona più felice del mondo, grazie anche al fatto che potevo leggere la stessa felicità nei tuoi occhi; l’amicizia è il motore di tante cose, di molte salite, e sicuramente lo è stato di questa, che anche tu ricordavi come una delle tue esperienze più belle. Il fatto che mi avesse permesso di recuperare un rapporto così importante, dopo un periodo in cui ci eravamo allontanati, era una soddisfazione ben più grande della via stessa ed avrei voluto urlare questo al mondo, al posto dell’ennesimo racconto di una salita.

Ricordo quel giorno che arrivasti a casa mia con le birre per comunicarmi che saresti diventato papà, il tuo sorriso era più sincero e largo del solito e la tua gioia era incontenibile, quel giorno ci stavamo preparando ad andare insieme in Perù, quella spedizione non fu un successo, ma quando mi chiedesti di rinunciare per i pericoli legati all’avvicinamento sul ghiacciaio lo capii e mandai giù il boccone amaro senza dire nulla. Probabilmente non avrei reagito allo stesso modo se fosse successo con qualcun altro, ma dato che eri tu a chiedermelo non lo misi in discussione, di te mi fidavo ciecamente.

Siamo partiti pochi mesi fa per quella che è stata la nostra ultima avventura insieme, so che per te non è stata una spedizione facile, ci siamo resi contro entrambi di quante cose fossero cambiate dalla nostra prima volta, 10 anni fa, e di quanta strada avessimo fatto. Averti al mio fianco era per me già una sicurezza, mi bastava e non avrei barattato la nostra cordata per il miglior alpinista al mondo. E dopo 35 giorni di spedizione, questa volta credevo di essere stato io ad averti insegnato qualcosa su queste montagne e su come scalarle e invece, di nuovo, sei stato ancora tu che, come un fratello maggiore, con la tua spontaneità mi hai trasmesso il messaggio più importante in poche parole. Avevo appena risposto a Matteo Pasquetto “quando torno starò un po’ a casa a riposare” e tu mi hai subito corretto “Quando torni starai un po’ a casa a fare il papà”.

Grazie Berna per tutto quello che mi hai dato in questi 10 anni di amicizia vera.

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