Gente di montagna

Daniele Nardi

Il grande alpinista laziale caduto sul Nanga Parbat. Il ricordo di un uomo fuori dagli schemi tradito dall’amore infinito per la “via più diretta”

Quando prendi una corda e la unisci con il tuo compagno di cordata quel nodo è veramente stretto e rappresenta un’amicizia e una condivisione di valori. Daniele Nardi

Il primo alpinista al di sotto del Po a raggiungere la vetta di Everest e K2. Dal carattere esuberante e dal sorriso stampato in volto Daniele Nardi era un alpinista laziale che, dopo aver raggiunto la cima di cinque Ottomila, si è dedicato con ostinazione all’ambiziosa prima salita invernale del Nanga Parbat. È perito, insieme all’inglese Tom Ballard, nel tentativo di raggiungerne la vetta passando per quello che rimane l’inviolato Sperone Mummery. La prima via dell’Himalaya e anche “la più diretta” alla cima della montagna, come Nardi ha sottolineato più volte nel corso degli anni.

Daniele Nardi
Daniele Nardi

La vita privata

Nato a Sezze (Latina), il 24 giugno 1976 Daniele Nardi non nasce in una famiglia di scalatori. Nella sua famiglia è il primo ad appassionarsi al mondo verticale. I suoi primi approcci a questo universo saranno le estati trascorse in famiglia sulle Dolomiti, poi verrà l’amore per la sua montagna, quella un po’ tozza che sovrasta Sezze: il Monte Semprevisa. Appena 1536 metri, il punto più alto dei Lepini, su cui lo scalatore laziale si allena e si prepara per sfide più grandi come le scalate himalayane.

Il 10 luglio 2016, con una cerimonia celebrata sul Semprevisa, Daniele Nardi sposa Daniela Morazzano, da cui il 17 settembre 2018 nasce il figlio Mattia.

L’esordio sulle Alpi

La vera passione arriva con l’adolescenza, quando a 13 anni ascolta le parole di Achille Compagnoni e Lino Lacedelli che raccontano della loro ascesa al K2. La seconda montagna della Terra diventa il sogno del ragazzo di pianura che così inizia a salire verso l’alto. Le prime scalate arrivano intorno ai 16 anni, sui monti Lepini, con uno spezzone di corda da imbarcazione e nessuna competenza. “Per assicurarmi avvolgevo sette-otto volte la corda attorno all’anello dell’imbrago e speravo che tenesse”. Poco tempo dopo il corso di arrampicata al CAI, uno dei primi organizzati dal Club Alpino di Latina, e infine la montagna vera. A 18 anni prende il treno verso il nord, punta dritto al Monte Bianco. Vuole testarsi e mettere in pratica quanto imparato fino a quel momento. Il suo obiettivo sono le Grandes Jorasses, su cui si muove in solitaria. Torna più volte sulle Alpi dove si cimenta sulle grandi classiche, fin quando inizia ad ambire a qualcosa in più. “Il mio desiderio di vetta, la mia voglia di arrivare in cima era grande però a 4810 metri le Alpi si fermano”. Cerca qualcosa in più e lo trova in Himalaya.

La carriera alpinistica

Nel 2001 parte alla volta del Pakistan per tentare il Gasherbrum II, l’anno successivo va al Cho Oyu dove però deve arrestarsi a una quota di 8100 metri a causa di un principio di congelamento alle dita dei piedi. Nel 2004 finalmente raggiunge la cima del suo primo Ottomila, l’Everest. Nel 2005 è invece sulla cima centrale dello Shisha Pangma (8027 m). Nel 2006 in Sud America sale l’Aconcagua, quindi tenta il Makalu e riesce nel concatenamento di Nanga Parbat e Broad Peak in 30 giorni. Salite che realizza senza ossigeno supplementare.

Il 2007 per Daniele è l’anno della svolta: finalmente di fronte al K2. Per la prima volta Daniele è il capospedizione, con lui si trovano gli alpinisti Mario Vielmo, Stefano Zavka, Michele Fait e Pietro Desanctis. Ci sono anche il giornalista Marco Mazzocchi e una troupe della Rai ingaggiata per realizzare un documentario che poi andrà in onda su Rai 2. La spedizione ha successo e Nardi raggiunge la cima, ma gli esiti sono tragici. Durante la discesa Daniele incrocia Vielmo e Zavka ancora in salita, nonostante sia ormai molto tardi. Il meteo va cambiando e Nardi arriva in tenda intorno alle 20, Vielmo arriva durante la notte mentre di Zavka si perdono le tracce per sempre, inghiottito dalla bufera e dalla montagna. Un evento che può accadere in montagna, un tragico epilogo che Daniele si è portato addosso fino al suo ultimo giorno.

Dopo il K2 Daniele si dedica a un tipo di alpinismo più tecnico. Nel 2009 cerca di aprire una nuova via sulla parete nord dell’Ama Dablam dovendosi però arrestare a circa 200 metri dalla cima. Quindi, con Lorenzo Angelozzi, apre Telegraph Road sul Farol West (6370 m) in Pakistan e, sempre con Angelozzi, porta a termine la salita di un picco inviolato (alto 6334 m) chiamandolo “Peak of freedom”.

Nel 2010 ritorna sulle Alpi dove, con Giovanni Pagnoncelli e Ferdinando Rollando, apre una direttissima alla parete nord-est dello Jägerhorn (Monte Rosa). L’anno successivo torna invece sull’Everest insieme ad Agostino Da Polenza e al comitato EvK2CNR. Lo scopo di questa spedizione non è raggiungere la vetta della montagna ma installare una stazione meteorologica, collegata al Laboratorio-Osservatorio Internazionale Piramide, al colle sud dell’Everest (circa 8000m). Sempre nel 2011, con Roberto Delle Monache, apre tra Bhagirathi III e Bhagirathi IV una nuova via che gli vale il premio Paolo Consiglio. Dopo quest’ultima importante realizzazione l’attività di Nardi si concentra sull’obiettivo di scalare in Nanga Parbat in inverno lungo lo sperone Mummery. Solo dopo che il 26 febbraio 2016 Simone Moro, Alex Txikon e Ali Sadpara raggiungono la vetta della montagna decide di dedicarsi ad altre attività, senza però mai dimenticare il suo sogno himalayano. Nel 2017, con Cristiano Iurisci e Luca Mussapi, apre due vie sulle montagne appenniniche. Gran Diedro sulla parete nord-ovest della Cima delle Murelle (Majella); quindi sul Monte Camicia scalano lo sperone Pisciarellone. Nell’estate parte invece in spedizione insieme a Marcello Sanguineti, Gianluca Cavalli, Michele Focchi e Tom Ballard per tentare l’apertura di una via sulla parete ovest del Link Sar (7041 m), le pessime condizioni della montagna impediscono però la progressione in parete. Infine, nel febbraio 2018, con Luca Gasparini e Luca Mussapi apre una difficile via allo Scoglio della Sassetelli sul Terminillo.

Nanga Parbat

Daniele Nardi si avvicina al Nanga Parbat invernale per la prima volta nel corso della stagione 2012/2013. Tenta, insieme alla francese Elisabeth Revol, la salita dell’inviolato sperone Mummery. Un costone roccioso ben evidente, al centro della parete Diamir, sovrastato da due enormi seracchi. Via suicida per alcuni, ma Daniele sa bene come muoversi, ha calcolato tutto, anche i rischi possibili, e sa che in inverno questi sono minimi. Da questo la scelta dalla stagione più fredda. Con Elisabeth raggiunge i 6450 metri, prima di dover chiudere la spedizione a causa di un principio di congelamento. Ci riprova in solitaria nel corso dell’inverno 2013/2014 senza però avere occasione di cimentarsi realmente con la montagna a causa delle persistenti pessime condizioni meteo. Nel 2014/2015 vi ritorna per la terza volta, insieme a Roberto Delle Monache e al videomaker Federico Santini che si occupa di girare scene per quello che sarà il documentario sul sogno di Daniele. Con Delle Monache tenta un primo approccio sul Mummery, ma non va a buon fine. Rientrato al campo base incontra Alex Txikon e Ali Sadpara, intenzionati a salire sul Nanga Parbat seguendo la via Kinshofer (che Nardi ha salito nell’estate 2009). I tre decidono di unire le forze e raggiungono i 7800 metri di quota dove, un errore nell’individuazione dell’ultima parte di via sulla piramide sommitale porta al fallimento del tentativo. Il gruppo ci riprova l’inverno successivo, ma questa volta le cose si complicano. Capito che il Nanga Parbat è accessibile, quell’anno sono molti gli alpinisti a concentrarsi ai piedi della montagna con l’ambizione di essere i primi a scalarla in invernale. Con il passare del tempo le spedizioni rinunciano per un motivo o per l’altro e così, nei primi giorni di febbraio, a rimanere sono solamente due squadre: quella composta da Daniele, Alex e Ali e quella formata da Tamara Lunger e Simone Moro (che inizialmente avevano provato a salire lungo la via Messner-Eisendle). Le due decidono di unirsi generando una serie di polemiche e contrasti che portano Nardi a distaccarsi dal gruppo e a lasciare il campo base dopo aver collaborato alla preparazione della via fino a campo 3.

Daniele torna al Nanga Parbat per l’ultima volta nell’inverno 2018/2019 insieme all’inglese Tom Ballard. L’obiettivo è nuovamente l’inviolato sperone Mummery su cui i due si danno da fare per tutto il mese di gennaio, nonostante il persistere del maltempo. Dopo una prolungata perturbazione che blocca le operazioni per settimane i due ricominciano i lavori sulla montagna il 22 febbraio sfruttando una debole schiarita. Salgono rapidi raggiungendo campo 4 in due giorni, quindi non si hanno più loro notizie. Dal 25 febbraio si perde ogni contatto con Daniele e Tom così, il 26 febbraio, viene messa in moto la macchina dei soccorsi. Il maltempo, unito alle tensioni politiche tra Pakistan e India rallentano le operazioni. Il primo sorvolo alla ricerca di una loro traccia viene realizzato solo il 28 febbraio. Nel frattempo, Alex Txikon, che si trova al K2, si offre volontario per aiutare nelle ricerche grazie ai suoi droni strutturati per poter volare in altissima quota. Il 4 marzo riesce finalmente a raggiungere il campo base, si prova a far volare i droni ma gli esiti sono negativi. Il 6 marzo, grazie a un potente teleobiettivo, Txikon individua i corpi senza vita di Daniele e Tom nella parte rocciosa dello sperone. Le foto vengono inviate alle famiglie, all’ambasciatore italiano in Pakistan e ad Agostino Da Polenza convenendo che quelli individuati dal basco sono i corpi di Daniele Nardi e Tom Ballard. Reputato troppo pericoloso il recupero dei corpi in quel punto della montagna la missione di ricerca e stata conclusa il 9 marzo. Daniele e Tom riposeranno per sempre sull’ancora inviolato sperone Mummery.

Curiosità

Grande appassionato di fotografia, specialmente in altissima quota, nel 2014 Daniele Nardi è tornato al K2 come membro della spedizione capitanata da Agostino Da Polenza per i 60 anni dalla prima salita. In questa occasione si è occupato di filmare e fotografare la squadra di alpinisti fino alla spalla della montagna (circa 7900 m).

Onorificenze

  • 2012 – Premio Paolo Consiglio per la via aperta nel settembre 2011 tra il Bhagirathi III ed il Bhagirathi IV.
  • 2013 – Premio CONI Lazio.

Libri

  • In vetta al mondo. Storia del ragazzo di pianura che sfida i ghiacci eterni, Infinito Edizioni, 2013. (con Dario Ricci)
  • La migliore gioventù: vita, trincee e morte degli sportivi italiani nella grande guerra, Infinito Edizioni, 2015. (con Dario Ricci)
  • La via perfetta. Nanga Parbat: sperone Mummery, Giulio Einaudi editore, 2019. (con Alessandra Carati)

Filmografia

  • K2: Il sogno, l’incubo, di Marco Mazzocchi, 2007.
  • Nanga Parbat – La montagna nuda, di Renato Chiocca, 2008.
  • Da Zero a Ottomila – La montagna di Daniele Nardi, di Stefano Ardito, 2011.
  • Verso l’ignoto – La scalata del Nanga Parbat, di Federico Santini, 2015.

Scusaci Daniele per non averti capito fino in fondo, per non aver abbastanza difeso la tua libertà e la nostra. Agostino Da Polenza

Articolo scritto originariamente da Gian Luca Gasca e pubblicato nel febbraio 2020; aggiornato dalla redazione di montagna.tv il 23 febbraio 2024.

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8 Commenti

  1. Scusate,ma avete interessi personali dietro la mitizzazione senza scrupoli di un buon alpinista e nulla più come Daniele Nardi?
    Non vi si può più leggere..arrivederci..

    1. Ha ragione, ma vede penso che la gente ha sempre bisogno di un eroe, vedasi il caso di Kobe Bryant che é gia stato definito il primo eroe dei tempi moderni (?) anche se, (con tutto il rispetto umano per come sono purtroppo finite le cose) non so cosa abbia fatto per essere considerato un eroe, ecco mi sfuggono i parametri che questa società usa, spesso a sproposito, per celebrare dei mortali e sopratutto, ecco a mio parere la questione, per auto celebrarsi. E purtroppo anche nel caso di Daniele Nardi si procede nella stessa maniera.
      Cordialmente

  2. Daniele ha raggiunto tutto quello che voleva….successo, notorietà, fama, purtroppo il destino ha voluto che lui non lo sapesse ,e stato un grande.

    1. Scusa Cettina,ma se per avere successo,notorietà e fama bisogna passare al altro mondo,meglio restare anonimi ma vivi e vicini ai propri cari..Messner,Bonatti e Maestri non hanno insegnato nulla..

      1. Magari bisognerebbe anche chiedersi un’altra cosa, caro Paolo, come perché tante persone che hanno apprezzato l’alpinismo di Daniele, o anche solo i valori che trasmetteva e in cui credeva senza necessariamente essere appassionati di montagna, per avvicinarsi alla sua figura hanno dovuto sapere che Daniele esisteva solo a seguito della sua drammatica vicenda di un anno fa. Chiedersi perché in Italia persone come Daniele per avere la giusta eco devono per forza passare per drammi se non addirittura per la morte. Personalmente ho cercato di conoscere il più possibile della figura di Daniele, per cercare di farmi la mia idea dell’uomo e dell’atleta, ho visto praticamente tutti i video che parlavano di lui (suoi e non), ho letto articoli e pareri su di lui (anche contrastanti), ho letto il suo ultimo libro (a proposito, complimenti ad Alessandra Carati che è riuscita a portare a termine un compito sicuramente non semplice ma comunque a farlo nel migliore dei modi, restituendoci una biografia piacevolissima e facile da leggere ma al tempo stesso molto densa di spunti e di emozioni). L’idea che posso dire di essermi fatto alla fine è la medesima che avevo all’inizio: Daniele ha fatto così tanto breccia nel cuore di molti, perché era esattamente la persona che traspariva dai suoi video, con il suo carattere certo non addomesticabile, ma comunque nobile di animo e sincero nei sentimenti. Ma soprattutto perché è stato uno dei pochi del mestiere, ad abbracciare un ideale valido per tutti, non necessariamente solo per chi pratica alpinismo: individua il tuo sogno e dai tutto te stesso per raggiungerlo. E per le persone è stato naturale battezzare la sua picca, perché la sua non era retorica fine a sé stessa, ma un vivere concreto tale ideale: ha scelto il Nanga Parbat, la Killer Mountain, ha sposato il Mummery, la via rifiutata da tutti e che nessuno voleva, la più dura di una delle montagne più dure della terra, e lo ha fatto con un approccio leale, tanto nei confronti della montagna quanto nei confronti dei compagni di cordata. Poi alcuni sono stati altrettanto trasparenti con lui, altri invece hanno giocato oltremodo in maniera più che sporca oserei dire infame (e a tal proposito ascoltate pure tutte le campane, ma io faccio fatica a credere che ciò che è riportato nel libro scritto a quattro mani da Daniele ed Alessandra, si discosti poi molto dalla realtà..). Ma di nuovo, chi vuole cercare di capire a fondo, senz’altro capirà.

        Io posso solo dire grazie Daniele, per tutto ciò che hai dato all’alpinismo, e soprattutto per il messaggio che hai portato avanti e per il quale non ti sei mai arreso fino alla fine. Sono sicuro che prima o poi qualcuno raccoglierà il tuo sogno e lo porterà a compimento, dimostrando che non si trattava dell’allucinazione di un pazzo, bensì della lungimirante sfida lanciata da un visionario. Riposa in pace, assieme a Tom, sul tuo Mummery.

  3. “Si muove”, “si cimenta”, “Il mio desiderio di vetta, la mia voglia di arrivare in cima era grande però a 4810 metri le Alpi si fermano” … ma un elenco delle cime e relative vie alpine non sono riuscito a trovarlo sul web. Sig. Gasca o TheltN le avete? Nel caso potete condividerle? Sarei curioso di capire se sono cambiati i tempi: negli anni 60-70 prima di andare in Himalaya su vie del genere “dovevi” aver fatto le tre nord: Cervino, Eiger, Grand Jorasses (cosa che peraltro, come invece è noto, il grande Tom Ballard aveva fatto e brillantemente).

  4. Caro theltN,da praticante senza gloria,ma da attento lettore della storia dell alpinismo,mai in nessun altro caso ho percepito una sorta di esaltazione,collettiva come leggo su queste colonne,nei confronti di un alpinista.
    Alpinista si di buon livello,anzi ottimo,nn si fa il K2 senza ossigeno altrimenti,ma con un curriculum come ce ne potrebbero essere almeno 100,000 nel mondo.
    Tutti quelli che scrivete sul povero Daniele sembra che lo conoscevate da una vita..
    Non è che un buon alpinista perché amico,diventi un mito da emulare per le generazioni a venire e che tutti o quasi quelli con i quali ha avuto a che fare fossero degli stronzi.. E meno che mai non credo che possa tramandare chissà quali valori morali ed etici,rispetto ad altri che sono certo meno mediatici di quanto non fosse Nardi.

    1. Caro Paolo, a febbraio scrivevi “Non vi si può più leggere..arrivederci..”, un mese dopo ancora stai qua? Abbiamo capito che Daniele Nardi a tuo giudizio era un modesto alpinista, non c’è bisogno di ribadirlo ogni 3X2.. Ognuno può avere l’opinione che vuole, tu hai quella tua, altri hanno la loro che è differente riguardo Daniele. Di certo perché tu hai la tua personale visione riguardo la sua carriera di alpinista, ciò non sposta di una virgola ciò che penso e continuerò a pensare di lui. Un consiglio però mi sento di dartelo, prova ad andare oltre i numeri, prova a capire ciò che muove una persona a compiere un’impresa come quella tentata da Daniele, e probabilmente capirai meglio chi era e dove andava Daniele Nardi. Saluti.

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