Autunno sul Monte Semprevisa, in Lazio, la vetta cara a Daniele Nardi
Facile percorso ad anello sui Monti Lepini con partenza da Pian della Faggeta. Sulla vetta si trova il memoriale dedicato all’alpinista caduto sul Nanga Parbat che qui era di casa
“Finalmente la foresta si aprì. Davanti a me, lo spettacolo della costa, il tappeto scintillante delle paludi pontine, le risplendenti isole di Ponza: uno spettacolo tra i più belli d’Italia”. A scrivere queste parole, a metà dell’Ottocento, è stato Ferdinand Gregorovius, studioso tedesco appassionato di Roma e del Lazio, che amava percorrere la catena dei Lepini, che chiamava “Monti dei Volsci”.
Chi sale da Pian della Faggeta al Semprevisa, 1536 metri, che è la vetta più elevata del massiccio, prova la sensazione descritta da Gregorovius dopo un’ora e mezza di salita, quando si raggiunge la cresta e ci si affaccia sulla Pianura Pontina e il Tirreno.
Prima, fin dalla partenza, il percorso si svolge in una fitta faggeta, che in autunno si tinge di rosso e d’oro. A causa della quota modesta, sui Lepini e sul resto del Preappennino laziale (Lucretili, Ausoni, Sabini, Aurunci, Prenestini) lo spettacolo dura anche a novembre.
Negli ultimi anni, la vetta più elevata dei Lepini è stata spesso citata per ricordare Daniele Nardi, un alpinista di Sezze, ai piedi di queste montagne, che ha salito l’Everest, il K2 e il Nanga Parbat, e poi ha tentato più volte quest’ultimo d’inverno.
Nel febbraio del 2019, durante un ennesimo tentativo invernale, Daniele ha perso la vita sullo Sperone Mummery del Nanga insieme all’inglese Tom Ballard, uno degli alpinisti più forti d’Europa. La tragedia ha causato un profondo dolore tra gli escursionisti e gli alpinisti del Lazio e delle regioni vicine.
Amministrazioni e associazioni hanno proposto di ribattezzare il Semprevisa, dedicandolo alla memoria di Nardi. Ricordano già l’alpinista di Sezze un commovente memoriale sulla cima, e il lungo sentiero che la raggiunge dal versante di Bassiano, che Daniele percorreva nelle sue uscite di allenamento.
L’itinerario più classico verso la cima inizia invece dal Pian della Faggeta, in territorio di Carpineto Romano, e sale alla cresta sommitale traversando una spettacolare faggeta. L’ultimo tratto, su un crinale difeso da pareti rocciose, è un balcone verso la Pianura Pontina, il Circeo e il mare.
Molti escursionisti proseguono la camminata verso i monti La Croce, Erdigheta e Pizzone, da cui si torna al Pian della Faggeta compiendo un bellissimo anello. L’escursione, però, è di grande interesse anche se si torna alla base ripercorrendo il sentiero dell’andata.
Il sentiero è piacevole soprattutto in primavera e in autunno. D’inverno la neve si ferma raramente sul terreno, e quando lo fa offre uno spettacolo speciale. In estate, i boschi e l’esposizione a settentrione consentono di compiere gran parte del percorso all’ombra. Ma è fondamentale una buona scorta d’acqua!
L’itinerario
Punto di partenza: Carpineto Roano (RM), loc. Pian della Faggeta
Dislivello: + 860 m
Tempo: 5.15 ore a/r
Difficoltà: E
Da Carpineto Romano si sale in auto al Pian della Faggeta, dove sono un posteggio (880 m) e una baita, saltuariamente aperta, che offre panini e bevande.
Tralasciando la strada sterrata che prosegue in piano sul pianoro, si segue a piedi quella (segnavia 715) che sale verso destra. Dopo una svolta a sinistra, si imbocca un sentiero che supera dei terrazzi erbosi, e raggiunge un vallone dal fondo roccioso.
Lo si risale a lungo, tra i faggi, fino alla cisterna dell’Acqua Mezzavalle (1210 m, 1 ora, acqua non potabile). Usciti in un vallone erboso con faggi schiantati dal vento, lo si risale fino a una sella erbosa dove si piega a sinistra. Una salita tra grandi faggi porta alla Sella del Semprevisa (1336 m), dove arriva da destra il sentiero che sale da Campo Rosello. Sul valico è l’iscrizione della “Schiazza di Paolone”.
Il sentiero (segnavia 710) continua a salire sulla cresta, tra grandi e bellissimi faggi. Si esce dal bosco, si segue l’orlo delle stratificazioni rocciose del versante pontino e si scavalca un’anticima. Traversato un pianoro, un pendio sassoso porta in vetta (1536 m, 1 ora), magnifico belvedere, dove una croce ricorda Daniele Nardi.
In discesa si riparte sulla panoramica cresta (segnavia 708 e 709), si supera un tratto ripido rientrando nel bosco, e si continua quasi in piano su un crinale rivestito da grandi faggi, oltrepassando il Monte la Croce (1429 m, 0.45 ore), dov’è una piccola croce.
Dove la cresta pianeggiante finisce (1387 m), si scende per un ampio pendio sassoso. Da una sella (1198 m) si risale per tracce al Monte Erdigheta (1338 m), e si continua per cresta fino all’aguzzo Monte Pizzone (1314 m, 1.15 ore), all’estremità sud-orientale dei Lepini.
Si scende verso nord per un crinale, si lascia a destra un sentiero per l’eremo di Sant’Erasmo e Roccagorga, e si raggiunge il Piano dell’Erdigheta. Il sentiero (segnavia 708) risale per un gradino sassoso, continua a saliscendi e poi scende in un vallone boscoso. Si raggiunge la strada sterrata, la si segue superando un tornante, poi il sentiero riporta alla strada (1033 m). Traversato il Pian della Faggeta si torna al punto di partenza (1.15 ore).
Lepini, un Parco nazionale mancato?
La varietà di esposizioni e di quote fa sì che la catena più alta del Preappennino laziale sia un gioiello di natura. Le faggete dei versanti più freschi contrastano con i lecci abbarbicati agli assolati pendii che scendono verso la Pianura Pontina. Sul massiccio vivono circa 1300 specie di piante, più di un terzo dell’intera flora del Lazio.
Tra le piante più interessanti sono specie rupicole come l’euforbia arborescente, la lingua cervina e l’ombelico di Venere, e le campanule del Monte Cacume. Non mancano rarità come il semprevivo di Ricci, la Viola eugeniae e l’orchidea Ophrys incubacea. Nelle aree fresche compaiono il giglio rosso (o di San Giovanni), la dafne e la berretta del prete.
Nei boschi di querce e di faggio vivono l’istrice, il gatto selvatico e il lupo. Abbondano la lepre europea e il cinghiale, reintrodotti a scopo venatorio. Sulle falesie nidifica il falco pellegrino. Completano l’elenco dei rapaci il pecchiaiolo, il gheppio, il biancone e il lanario, tornato dopo decenni di assenza. Nei boschi di quercia da sughero scava i suoi nidi il gruccione.
Su circa 1500 grotte censite nel Lazio, quasi 500 si aprono sui Lepini. Tra queste, l’Ouso della Rava Bianca (-676 metri) e l’Inghiottitoio di Campo di Caccia (-610 metri) sono la prima e la seconda per profondità della regione, mentre la Grotta del Formale (2920 metri) è la terza per lunghezza.
Mura ciclopiche, castelli medievali e palazzi caratterizzano Patrica, Norma, Sermoneta, Carpineto Romano, Segni, Cori, Maenza, e gli altri centri storici dei Lepini. Simbolo del massiccio e della Compagnia dei Lepini, l’ente regionale che ne cura la promozione, è però la semplice capanna di pietre, legno e frasche, utilizzata per secoli (o millenni) dai pastori.
Mentre le catene dei Lucretili, degli Ausoni e degli Aurunci sono tutelate da Parchi regionali, quella che culmina nel Monte Semprevisa non è mai stata davvero protetta a causa dell’opposizione del mondo venatorio. La nascita di un Parco regionale (o meglio, nazionale) dei Lepini, però, porterebbe su queste montagne visitatori e sviluppo.
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