Alpinismo

Everest: il rischio Icefall non è finito

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CAMPO BASE EVEREST, Nepal (dalla nostra corrispondente Cristina Piolini ) — La montagna è così: ti ragala momenti di grande gioia e altri di intenso dolore. In ogni caso emozioni: e forse questo è il suo grande pregio.
 

Il campo base oggi è silenzioso. Tolto il rumore di alcuni generatori, sembra avvolto in una strana quiete. La disgrazia dei 3 sherpa dei giorni scorsi ha scosso un po’ tutti. I loro corpi rimasti sepolti da un crollo dell’Icefall non sono ancora stati recuperati. Altri 4 hanno rinunciato al lavoro dopo quel che è accaduto.
 
E dire che alcuni sherpa avevano previsto il pericolo, in quel tratto sotto il Campo 1, da giorni. I polacchi chiamano quel seracco che si è staccato "la Torre di Pisa". Ma a differenza del momumento "che pende, che pende e mai casca giù" i rischi qui ci sono ancora tutti. Perchè il serracco si è staccato solo per metà. E soprattutto c’è il problema che si passa attraverso un corridoio obbligato senza vie di fuga.  
 
 
Come scrivevo poc’anzi, comunque, al campo base la vita continua. L’accoglienza è sempre bellissima. Ieri al mio arrivo mi hanno fatto delle gigantesche frittelle con il miele e offerto il tea con il latte: troppo difficile rifiutare queste delizie.
Qui ci sono alcuni degli alpinisti più noti del mondo. Ci sono gli italiani. Ho visto Roger l’americano molto provato dalla quota. Per il resto, tutti in branda.
Secondo quanto mi hanno riferito, all’ospedale da campo avviene uno strano fenomeno: entri che stai male di salute, esci che sei morto di portafoglio. Nel senso che per avere una aspirina rischi di dover accendere un mutuo, gasp!
 
Nei prossimi giorni farò una fuga al Campo 2 per portare una tenda. E se starò bene dopo la notte salirò al Campo 3 per portare l’altra tenda e del gas.
 
A presto
  
 

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