Alpinismo

De Stefani: l’alpinismo è una cosa privata

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MANTOVA — E’ apparso su tutti i giornali con critiche e condanne alle spedizioni improvvisate, alla spettacolarizzazione della montagna e ai soccorsi “non richiesti”, almeno a suo parere. Ma come la pensa davvero Fausto De Stefani? Montagna.tv ha voluto incontrarlo per capire meglio la posizione dell’alpinista mantovano, che ha ufficialmente 13 ottomila nel cassetto e qualche sassolino nelle scarpe che non vedeva l’ora di togliere.

De Stefani, un commento sulle recenti vicende accadute in Karakorum…
Sinceramente non ho più voglia di commentarle. Si è parlato fin troppo di questa storia. Ho dato molte interviste e spesso sono stato frainteso e parafrasato. E’ ora che si faccia un’informazione seria sulla montagna.
 
Potrebbe chiarire la sua posizione. Cosa pensa della tragedia sul K2?
Che l’alpinismo sta un po’ degenerando. Si è persa la voglia di fare apprendistato, di farsi esperienza anche sulle nostre montagne. Ovviamente non si può generalizzare, ma capita sempre più spesso e molte di queste persone te le trovi in Himalaya, attaccate a delle corde fisse che diventano trappole mortali. E non è una novità di quest’anno.
 
Lei ha criticato i soccorsi sul Nanga Parbat. Come mai?
Prima di tutto perchè non li hanno chiesti.
 
Ma non avevano il telefono, anche se avessero voluto farlo non avrebbero potuto.
Questo si mette in conto, nelle spedizioni. Quando si va, si sa che questi sono i rischi dell’andare montagna.
 
A lei, però, è capitato più di una volta di essere soccorso in Himalaya…
Sì, ma non c’entra… ci soccorriamo fra di noi… e alcuni son rimasti là. L’unica che ha fatto un intervento di una dignità straordinaria è la moglie di Karl. Invece ci sono delle persone che vogliono vivere le montagne attraverso chi va in montagna e questo è scorretto.
 
A chi si riferisce? Alla stampa o a qualcun altro?
Alle persone che vogliono vivere le montagne attraverso chi va in montagna. Sicuramente se scrive questo qualcuno capisce.
 
Ha criticato anche le corde fisse sul K2. Perché?
Insomma, accidenti, nel 1990 abbiamo portato giù 15mila metri di corde, e cosa è cambiato? Quante migliaia di corde ci sono ancora fisse?
 
Secondo lei non dovrebbero essere messe?
Le corde fisse vanno messe e vanno tolte, altrimenti poi qualcuno si attacca alle corde usurate e succedono altri incidenti. Forse non è il caso di quest’anno sul K2. E l’Italia non è stata migliore di altre nazioni. Per esempio, nella spedizione dell’anniversario del K2 hanno messo corde fisse a più non posso, sono state portate giù? Magari sì. Bisogna però che i giornalisti inizino a chiedere queste cose, a fare un’informazione seria.
 
Qual è la sua aspirazione per l’alpinismo? Qual era il suo stile di scalata?
Uno sceglie un compagno con cui decide di partire, un compagno di cui si fida ciecamente. Poi è ovvio che i rischi ci sono.
 
Lei ha scalato i suoi ottomila in stile alpino o almeno in stile leggero?
Abbiamo scalato anche in stile leggero, più volte. Ma il problema è spesso e volentieri quello degli sherpa, degli hunza e dei baltì. Hanno nome e cognome, ma non vengono mai citati, perché? Non hanno la stessa dignità degli altri alpinisti? Non sono cittadini di serie B, o animali da soma. Questo si deve sapere.
 
Lei è stato citato sui giornali come alpinista che ha scalato tutti i 14 ottomila, ma dalle statistiche ufficiali risulta che ne abbia 13. Quanti ne ha scalati effettivamente?
Miss Hawley ha messo in discussione la mia salita al Lhotse, è una questione che si protrae da anni e anni. Ma io non ho bisogno che lei mi dia il nulla osta. Come non mi interessa avere un manager che va continuamente là a fare le solite cose.
 
Lei è più volte tornato al Lhotse, anche di recente, ma senza raggiungere la cima. Ma la prima volta l’ha salito?
Ci mancherebbe altro. Ero con Sergio Martini. Poi lui è ritornato sul Lhotse, e ha detto che quella dov’eravamo era davvero la cima. Ma è ovvio che col maltempo non stai lì su una cresta estremamente sottile come quella del Lhotse a bighellonare. Comunque queste sono cose mie private. L’alpinismo è anche una cosa privata.
 
Sara Sottocornola

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