Alpinismo

8 giugno 1924: cento anni fa la scomparsa di Mallory e Irvine sull’Everest. E quella domanda ancora senza risposta

Poche tragedie dell’alpinismo sono celebri come la scomparsa della cordata britannica esattamente un secolo fa. Il corpo di Mallory è stato trovato, mentre quello di Irvine è ancora nascosto sulla montagna. Ma il mistero resiste: sono arrivati o no sulla cima?

Esattamente un secolo fa, l’8 giugno del 1924, sulle rocce dell’Everest si compie una delle tragedie più note della storia dell’alpinismo. Due alpinisti britannici, George Mallory e Andrew Irvine, rispettivamente 38 e 22 anni, partono da una tenda agganciata alle rocce a 8170 metri di quota, e poi salgono in direzione della vetta curvi sotto a dei pesanti respiratori a ossigeno. 

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Quel giorno l’Everest è avvolto dalle nuvole, spinte da un vento violento. Alle 12.50, quando la coltre per un momento si squarcia, i due vengono avvistati da Noël Odell, il geologo della spedizione. Più tardi Odell annoterà di averli visti “sulla cresta, mentre si avvicinavano alla base della piramide sommitale”. 

L’amico valuta che la cordata di punta poco oltre gli 8500 metri di quota, ma quando si osserva una montagna dal basso queste stime si rivelano spesso errate. E’ l’ultima volta che qualcuno vede George e Andrew vivi. I due alpinisti scompaiono nelle nuvole, e non torneranno più a valle. 

Settantacinque anni dopo, nel 1999, i resti di Mallory vengono scoperti da una spedizione finanziata dalla BBC. Gli alpinisti americani e britannici li esaminano, li fotografano, poi li seppelliscono tra ghiaccio e ghiaia con una breve cerimonia religiosa. Il corpo di Irvine si trova ancora lassù, tra le rocce della cresta Nord-est del “Big E”, probabilmente a poca distanza dalla frequentata via normale tibetana della montagna. 

L’esperienza di Mallory , l’entusiasmo di Irvine

Nel 1924, quando la terza spedizione britannica affronta l’Everest dal versante tibetano, George Mallory è tra gli alpinisti più esperti. Ha salito vie difficili sul Monte Bianco e in altre zone delle Alpi, ha già conosciuto l’Everest durante la spedizione esplorativa del 1921 e nel primo tentativo alla cima nel 1922, quando supera di poco gli 8000 metri. 

Il giovane Andrew Irvine, campione di canottaggio e mago della tecnologia, si spinge ad alta quota per la prima volta, e ha con sé una piccola macchina fotografica della Kodak. Qualche giorno prima altri due componenti del gruppo, Howard Somervell ed Edward Norton, hanno tentato di salire in vetta per un itinerario diverso e senza ossigeno supplementare, ma si sono dovuti fermare poco oltre gli 8500 metri di quota. 

“Il tempo per l’ascensione è ideale”, “alle 8 dovreste cominciare a vederci”, quello dei respiratori è “un peso maledetto per salire” scrive George Mallory in un biglietto affidato il giorno prima, il 7 giugno, ai portatori d’alta quota, tibetani e sherpa, che aiutano la cordata a installare l’ultimo campo. 

Prima di chiudersi la tenda alle spalle e di legarsi in cordata con Irvine, l’alpinista ha lasciato un altro biglietto che verrà recuperato da Odell l’indomani mattina. A quel punto, però, è già chiaro che Mallory e Irvine sono morti. E’ impossibile sopravvivere a una notte all’addiaccio, senza sacco a pelo e senza tenda, sulla cresta sommitale dell’Everest con il rudimentale abbigliamento del tempo.    

Per gli inglesi quella conquista era una questione di Stato

Per i sudditi di Sua Maestà Britannica, che vivono i tentativi di conquistare l’Everest come gli ultimi bagliori della gloria dell’Impero, il fallimento della spedizione del 1924 è un durissimo colpo. Lo dimostrano le straordinarie celebrazioni dell’ascensione vittoriosa, compiuta dal neozelandese Edmund Hillary e dallo sherpa Tenzing Norgay il 29 giugno del 1953. La notizia dell’evento, diffusa dagli altoparlanti durante il corteo per l’incoronazione della regina Elisabetta II, fa letteralmente impazzire la folla. 

A consentire alla Gran Bretagna (e solo a lei) di tentare la cima più alta della Terra, Chomolungma per i tibetani e gli sherpa, è un permesso firmato dal Dalai Lama, il monaco-sovrano del Tibet, alla fine del 1920. La prima esplorazione dei ghiacciai ai piedi dell’Everest avviene l’anno successivo, nel 1922 la seconda spedizione supera per la prima volta gli 8000 metri.

L’avventura del 1924 finisce dopo il dietrofront di Somervell e di Norton il 4 giugno e la scomparsa di Mallory e Irvine quattro giorni dopo. Altri quattro tentativi britannici, negli anni Trenta, non riescono a fare di meglio. Nel dopoguerra la Cina invade e chiude ermeticamente il Tibet, re Tribhuvan del Nepal apre i suoi confini, e la storia dell’Everest si sposta sul versante meridionale. Hillary e Tenzing arrivano a 8848 metri da quel lato. 

Vetta sì o vetta no?

Non appena raggiunta la cima, dopo aver abbracciato Tenzing, Hillary scende verso le prime rocce che affiorano dalla neve e dal ghiaccio sul versante del Tibet, e cerca tracce del passaggio di Mallory e Irvine ventinove anni prima. Non le trova, perché i segni del passaggio dell’uomo a quella quota sono quasi sempre effimeri. Ma il mistero di quel tentativo rimane.  

Oggi, come pochi giorni dopo la tragedia, sappiamo che i due alpinisti del 1924 sono rimasti per sempre sull’Everest, ma non sappiamo se abbiano o meno raggiunto la cima. Ci si è chiesti più volte (e i tecnici della Kodak non lo hanno mai escluso) se dalla macchina fotografica di Irvine, ammesso che venga mai ritrovata, possa essere estratta un’immagine in bianco e nero della vetta. 

Sappiamo che, quando lascia l’ultimo campo a 8170 metri di quota, Mallory ha in una tasca una foto della moglie Ruth, destinata a essere lasciata sulla cima, e che quella foto non gli viene trovata addosso settantacinque anni dopo, nel 1999. 

L’altoatesino Reinhold Messner, che arriva da solo sull’Everest nel 1980 superando il canalone raggiunto per la prima volta da Norton, è affascinato dalla tragedia del 1924 e le dedica un libro,La seconda morte di Mallory”. Racconta di aver ascoltato per la prima volta quella storia da sua madre quando aveva cinque anni, poi narra la storia delle prime spedizioni all’Everest e il suo incontro con Noël Odell, ormai anziano.

Ho la sensazione che Mallory e Irvine non possano essere stati sulla cima. Ma lo spirito di Mallory è rimasto lassù. La morte, la seconda morte e le speranze di chi rimane sotto non contano nulla per chi cammina oltre le nuvole” scrive il “re degli ottomila” nel suo libro.  

Geoffrey Winthrop Young, uno dei più grandi alpinisti britannici di sempre, amico degli alpinisti scomparsi e che scrive qualche anno dopo gli eventi, la pensa in modo completamente diverso da Messner. “La mia impressione è che l’incidente sia accaduto in discesa, come avviene nella maggioranza dei casi. Se le cose stanno così, allora la cima è stata raggiunta, perché Mallory era Mallory”.  Il mistero dell’Everest c’è ancora. 

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Un commento

  1. Molti sostengono che Mallory non avrebbe mai potuto scalare il second step per le difficoltà che comporta, ma io non ha mai capito perchè non possa essere accettato il fatto che, se anche così fosse stato, lo stesso non possa aver trovato una via alternativa aggirando lo scalino e dirigendosi verso il couloir Norton e di li alla vetta (itinerario questo con difficoltà assolutamente alla portata del Mallory) come provò a fare Wyn Harris 9 anni dopo. In fondo, sembra ormai appurato che Odel, quando vide Mallory e Irvine, questi erano sul primo scalino per cui nulla vieta che abbiano adottato tale soluzione in quanto dal primo gradino tale percorso era ancora fattibile. Conoscendo la determinazione di Mallory, l’ossessione per la montagna, i dettagli della foto non trovata e degli occhiali da sole in tasca, non escluderei così categoricamente, come sentenzia con supponente certezza Messner, che non siano stati in vetta ad ora tarda.

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