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Tra le vette del Kirghizistan (parte 1)

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BISHKEK, Kirghizistan — La salute, lo scialle bianco, l’amicizia. Sono queste, per un kirghiso, le tre cose più care, un po’ l’essenza della vita. A ricordarlo è un antico detto dei nomadi delle montagne che identificano nello scialle bianco, caldo e avvolgente, il simbolo della famiglia. Un credo che si perde nella notte dei tempi.

D’altra parte per molti aspetti il Kirghizistan, per secoli il passaggio più difficile della Via della Seta, riporta indietro nel tempo. L’attraversamento dell’insidioso passo di Torugart, situato a 3.752 metri di altitudine, costituiva la porta della Cina verso occidente e viceversa. Di lì si passava e si passa per giungere alla leggendaria città di Kashgar, dove Marco Polo fu costretto a sostare dopo essersi ammalato.
 
E da allora poco è mutato: ancora oggi, per chi sceglie di percorrere quella strada, la sensazione è la stessa. E’ il passaggio più bello per recarsi in Cina, nella regione autonoma di Xinijang. E’ un percorso lungo (circa 700 km) e impegnativo, libero dalla neve solo da maggio a settembre, che offre la possibilità di conoscere a fondo la flora, la fauna, la storia, i costumi e la geografia della regione.
 
Il paesaggio è un continuo susseguirsi di fiumi, laghetti, ghiacciai, montagne e praterie dove sparse sono le yurte (boz ooyi in kirghiso) dei nomadi kirghisi. Ambiente selvaggio e affascinante, regno incontrastato di uno degli animali più rari ed elusivi del pianeta: il leopardo delle nevi vive ancora tra queste montagne.
 
Il Kirghizistan, dunque, è soprattutto contatto con la natura. Questa piccola repubblica, situata nel nord-est dell’Asia centrale, è dominata dalle catene del Tian Shan (in kirghiso Tenir-Too) e del Pamir Alay, le montagne più belle dell’Asia centrale. Circa il 95% del territorio è montagnoso e quasi un terzo delle vette supera i 3.000 metri, fino ai 7.439 metri del Pik Pobedy, la Vetta della Vittoria, sul confine cinese.
 
E’ solcata da due grandi valli, Chuiskaya e Ferganskaya, che occupano il nord e il nord-ovest del paese. In un’area relativamente ristretta, quindi, si ha un’enorme varietà di paesaggi che vanno da ambienti con caratteristiche tropicali ad habitat con clima temperato, fino alla steppa, al deserto e ai ghiacciai con nevi perenni.
 
Le bellezze naturali, con le forti tradizioni nomadi di grande ospitalità, costituiscono così la vera risorsa per il Kirghizistan, dove l’industria è quasi inesistente e l’economia si basa su pastorizia e agricoltura. Ed è proprio questo il fascino di questo territorio ancora selvaggio, incontaminato e scarsamente popolato; paese tanto vario e tanto semplice.
 
A dimostrare questa semplicità è il fatto che, per i kirghisi, il bene più prezioso sembra essere il “bishkek”, un attrezzo di legno che serve alla produzione di una golosità di cui nessuno qui potrebbe fare a meno: il kumys, latte di cavalla fermentato. Un utensile così prezioso da aver dato addirittura il nome alla capitale, per l’appunto Bishkek.
 
Nel percorrere le strade e gli impervi sentieri si resta sorpresi dalla grande varietà di flora, dovuta ad altrettanta varietà di ambienti che in molti casi formano micro-habitat esclusivi.
 
(Fine della prima puntata. Appuntamento a domani, con la seconda parte del reportage e nuove foto.)
 
Paola Ottino
 
Immagini di Paola Ottino


Ala-Archa National Park


Ala-Archa National Park


Bimbo a cavallo


Ala-Archa National Park

 
 

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