A tu per tu con François Cazzanelli: il Cervino, i concatenamenti, gli ottomila
La giovane guida del Cervino si divide tra exploit sulle montagne di casa, ascensioni con i clienti e spedizioni. A fine mese ripartirà alla volta del Nepal per tentare di salire lo Kimshung
“Kilian è stato straordinario! Con la sua galoppata sui 4000 delle Alpi ha spinto in avanti il limite delle possibilità umane”. Spesso il mondo dell’alpinismo di punta è diviso da incomprensioni e da invidie, ma François Cazzanelli sembra fatto di una pasta diversa.
L’alpinista nato ai piedi del Cervino, guida ma anche figlio, nipote e bisnipote di guide (il suo trisavolo Daniel Maquignaz, nel 1882, compì la prima salita del Dente del Gigante), ha alle spalle decine di ascensioni in velocità e di concatenamenti da record.
Poco più di mese fa, insieme a Giuseppe Vidoni, François ha raggiunto e salito in velocità “Divine Providence”, capolavoro della cordata Gabarrou-Marsigny sul Pilier d’Angle, ha proseguito verso la cima del Bianco ed è tornato in fondovalle in meno di 24 ore complessive.
Nel febbraio del 2019, con Francesco Ratti, aveva traversato in tre giorni l’intera catena dal Cervino alle Grandes e Petites Murailles. Un anno prima, insieme ad Andeas Steindl, aveva salito in un giorno e in sole 16 ore le quattro creste del Cervino (Hörnli, Furggen, Z’mutt e Leone). Nel suo curriculum ci sono anche cinque “ottomila”, decine di ripetizioni di grandi e grandissime vie sulle Alpi, e naturalmente le ascensioni con i clienti.
In questi giorni, grazie a Kilian Jornet e a Filip Babicz, l’alpinismo di velocità è tornato in prima pagina. Che pensi della sua salita degli 82 “quattromila” delle Alpi in 19 giorni, con trasferimenti in bicicletta?
“Penso che Kilian abbia spostato in avanti il limite, non credevo che fosse possibile farcela in un tempo così breve. Certo, c’è un rapporto tra questo record e lo sviluppo del Tor des Géants e dell’Ultra Trail du Mont-Blanc. Ma la collezione dei “quattromila” è alpinismo, e molte vette dell’elenco sono difficili. Mi congratulo!”
Hai mai pensato di fare qualcosa del genere anche tu? Magari con qualche incursione nell’alpinismo di alta difficoltà come aveva tentato di fare Patrick Bérhault?
“Ho pensato più volte alla collezione dei “quattromila”, ma come a una cosa da fare più in là nella vita, non a un progetto concreto. E sì, mi piacerebbe farla a modo mio, non limitandomi alle vie normali”.
Passiamo al Cervino, la tua montagna di casa. Mi aiuti a fare chiarezza tra i vari tipi di traversate di cresta?
“L’idea di concatenare le quattro creste del Cervino è di Marco Barmasse, il padre di Hervé. La traversata “classica”, salendo per la Furggen e la Z’mutt e scendendo per il Leone e l’Hörnli è stata fatta in giornata quattro volte, compresa l’invernale di Hervé e l’ultimissima di Filip Babicz pochi giorni fa. Nel 1992 Hans Kammerlander e Diego Wellig hanno salito in giornata tutte e quattro le creste, scendendo per le normali, e quindi arrivando in cima quattro volte e non due. Andreas Steindl ed io abbiamo fatto lo stesso, portando il tempo da 23.30 a poco più di 16 ore”.
Di fronte a queste imprese alpine, l’immagine della collezione degli “ottomila” sembra essersi appannata. Giornali e tv hanno difficoltà a distinguere tra le salite “pure” del tuo amico Marco Camandona da quelle di Kristin Harila e degli altri che salgono con le bombole di ossigeno e accompagnati da una o più guide
“Non ho nulla contro Kristin Harila, l’ho conosciuta nel 2023, abbiamo salito il Cervino in parallelo (lei era con un’altra guida). Certo, però, per i media è difficile distinguere tra il vero alpinismo himalayano e le file lungo le corde fisse. Anche i ricchi sponsor “generalisti” che aiutano Kristin e altri come lei badano poco al metodo di salita utilizzato. I miei sponsor tecnici invece (Grivel, La Sportiva, Cervino Ski Paradise, Garmin, SkiTrab e Julbo, ndr), sono attentissimi alla qualità dei miei progetti”.
Tu quali “ottomila” hai salito?
“Everest, K2, Lhotse, Manaslu (con un record di velocità) e Nanga Parbat, dove ho aperto una variante. In più ho tentato il Kangchenjunga e il Broad Peak. Sull’Everest ho accompagnato un cliente, e ho utilizzato il respiratore da 8300 metri in salita e fino a 8500 metri in discesa”.
Vorresti salirli tutti e 14?
“Per ora ho dei sogni diversi”
Enrico Camanni, parlando di te e dei tuoi amici, ha scritto di un “rinascimento alpinistico della Valtournenche”. C’è davvero? O riguarda l’intera Valle d’Aosta? E tu sei il capo o il simbolo del gruppo?
“Un rilancio dell’alpinismo valdostano c’è davvero, e la Valtournenche è il suo epicentro. Siamo un bel gruppo di amici, siamo tutti guide, stiamo bene insieme e questo conta molto. Ma non sono certo io a potermi definire il capo o il migliore del gruppo!”
Nella tua crescita come alpinista hai avuto dei maestri o degli esempi?
“Sì, e te ne cito tre: Patrick Gabarrou, Erhard Loretan e Christophe Profit. Tre grandi alpinisti, tre grandissime guide, che hanno ispirato tutti noi.
Usi la parola “guida” molto spesso. Pensi davvero che un alpinista che è anche guida alpina abbia qualcosa più degli altri?
“Io naturalmente parlo della mia esperienza e della mia vita. Ma sì, credo proprio che a un alpinista di alto livello, se non è guida alpina, manchi qualcosa”.
Eppure molti amici che sono diventati guide alpine, in passato, mi hanno raccontato che l’attività con i clienti rendeva loro molto difficile continuare con l’alpinismo di alto livello.
“Fare l’alpinista di alto livello e la guida non è impossibile, ma bisogna gestire bene il proprio tempo. Dopo una spedizione o dopo una salita alpina importante ho bisogno di tornare al mio lavoro di guida sulle montagne di casa. In altri momenti succede il contrario, soprattutto quando le condizioni in alta montagna diventano perfette. Certamente fare la guida ti insegna a creare e curare i rapporti umani, e ad aiutare gli altri a realizzare i propri sogni. E questo è bellissimo”.
Mi puoi dire qualcosa dei tuoi progetti futuri?
“Per me è difficile parlare delle cose in anticipo, le salite si raccontano dopo averle fatte. Ma sì, tra qualche settimana tornerò in Nepal con la banda dei miei amici valdostani, da Francesco Ratti a Emrik Favre e a Jerôme Perruquet. Tenteremo il Kimshung, una bella cima di 6781 metri nel Langtang, e cercheremo di dare una mano a Sanonani, la onlus con cui Marco e Barbara Camandona aiutano i bambini nepalesi”.
A fine luglio tu e Giuseppe Vidoni avete salito Divine Providence al Pilier d’Angle, con salita e discesa in giornata dal fondovalle. E’ un exploit che è stato giustamente applaudito, e che hai raccontato più volte. Un mese dopo la tua percezione di quella salita si è modificata?
“Per metabolizzare un’esperienza come Divine Providence serve tempo. Ci siamo preparati tantissimo, quando ce l’abbiamo fatta abbiamo capito che era un’ascensione importante. Prima di partire ci sono stati i dubbi, le paure, le notti insonni, perché non sapevamo se fosse possibile farcela. Ora che ci siamo riusciti, qualcuno potrà migliorare il nostro tempo, anzi lo farà certamente. Sarà stata la nostra salita, però, a dargli un punto di riferimento”.