Si è conclusa sul Monte Bianco la straordinaria carriera di Patrick Gabarrou
Ha all’attivo quasi 300 vie nuove, e alcune come Divine Providence e il Supercouloir sono diventate mitiche. “Marie porte du ciel”, aperta sul Picco Luigi Amedeo del Monte Bianco, è stata la sua ultima impresa.
Massiccio del Monte Bianco, maggio del 1975. Sui pendii della Vallée Blanche gli sciatori scendono verso la Mer de Glace e Chamonix. In alto, contro il cielo azzurro, si stagliano le rocce rossastre del Pilier Gervasutti e di altre meravigliose strutture di granito. Fa caldo, il riverbero del ghiacciaio è violento, la neve nei canali si scioglie formando delle vere e proprie cascate.
Mezzogiorno non è l’ora più adatta per attaccare una via di ghiaccio, ma due giovani francesi iniziano a scalare a quell’ora. Si chiamano Jean-Marc Boivin e Patrick Gabarrou, hanno entrambi 24 anni, puntano a una sottile striscia di ghiaccio che s’incunea tra due pilastri di granito. Dopo essere usciti sulla cima chiameranno il nuovo itinerario Supercouloir. Un nome adatto a una via che aspira alla perfezione.
Negli anni Settanta, grazie a una nuova generazione di alpinisti, e all’invenzione delle piccozze da piolet-traction, sul Monte Bianco e altrove nascono itinerari su ghiaccio più ripidi e difficili dei precedenti. Dato che in estate il ghiaccio si riduce o scompare, e d’inverno le condizioni sono estreme, l’apertura del Supercouloir fa scoprire a molti la primavera. Nel 1977 Gian Piero Motti, nella sua “Storia dell’alpinismo”, scriverà che Boivin e Gabarrou sono riusciti “a salire là dove, in tanti decenni, nessuno si era mai accorto che ci potesse essere una via”.
Il primo giorno arrampica in testa Jean-Marc, affrontando una cascata d’acqua, aggirando un gran blocco di neve marcia, e proseguendo su roccia. L’indomani tocca a Patrick superare da capocordata le lunghezze più dure del Supercouloir. Dopo un tratto verticale, la pendenza si stabilizza sui 70-75°.
Alla fine di ogni tiro di corda i due devono issare a forza di braccia il saccone, prima del secondo bivacco un muro verticale di una cinquantina di metri costringe Patrick Gabarrou a impegnarsi a fondo. Il terzo giorno non ci sono problemi, la discesa verso il Col du Midi è facile. In pochi mesi il Supercouloir entrerà nella storia.
Jean-Marc Boivin, nato in Cambogia e residente a Digione, si segnala per ripetizioni in tempi da record (2 ore e 45 minuti, da solo, sul Linceul delle Jorasses che a Desmaison e Flematti ha richiesto una settimana), alterna all’alpinismo lo sci estremo e il deltaplano, ha spesso un atteggiamento guascone. Muore nel 1990, prima di compiere 40 anni, durante un salto con il paracadute accanto al Santo Angel, la più alta cascata del mondo, in Venezuela.
Patrick Gabarrou, coetaneo dell’amico, è un personaggio più tranquillo. Nato a Évreux in Normandia, grande specialista del ghiaccio, scova e sale negli anni centinaia di goulotte e couloir ripidissimi sul Monte Bianco, sul resto delle Alpi francesi, nell’Oberland e nel Vallese. Una ricerca che lo porta ad aprire quasi 300 vie, e che prosegue nel nuovo millennio.
Un altro anno importante è il 1984, quando con François Marsigny sale la Cascata Nôtre Dame accanto al Pilastro Rosso del Brouillard e traccia Divine Providence sul Pilier d’Angle, un’altra via che diventerà una classica di altissima difficoltà.
Laureato alla Sorbona, cattolico praticante, Gabarrou sarebbe potuto diventare professore di filosofia. “Mi avrebbe fatto piacere aiutare i giovani a riflettere sul senso della vita. Io lo faccio sui sentieri e nelle ascensioni in montagna” racconterà.
Durante le guerre balcaniche degli anni Novanta, l’alpinista prende la patente da camionista e porta in Kossovo e in Bosnia gli aiuti raccolti a Cluses, la cittadina dove vive. Nello stesso periodo si impegna nel movimento ambientalista fino a diventare presidente della sezione francese di Mountain Wilderness.
Poi s’innamora di Franca Torre, piemontese di Bra, che gestisce il rifugio Remondino sull’Argentera. I due si sposano, e quando Patrick è libero dai suoi impegni come guida diventa un po’ un rifugista anche lui. Pochi giorni fa, al Meeting di Rimini, grande appuntamento dei cattolici italiani, tiene una conferenza dal titolo “Divine Providence, la ricerca dell’essenziale nell’alpinismo”.
Quest’anno Patrick compie 73 anni, e decide di dire basta all’alpinismo di alta difficoltà e alle vie nuove. Da anni ha individuato un possibile itinerario sul Picco Luigi Amedeo, nel selvaggio versante italiano del Bianco, la propone più volte all’amico Christophe Profit ma i due non trovano il momento giusto.
La scorsa estate, a Chamonix, Gabarrou incontra due giovani alpinisti, Clément Dumont e Clément Parisse, e decide di andare con loro. La cordata realizza l’ascensione in tre giorni, con una notte nel vecchio e glorioso rifugio Quintino Sella e un bivacco sulla cresta sommitale. L’ultimo giorno, dalla vetta del Monte Bianco, i tre scendono verso il rifugio del Goûter e Chamonix.
Patrick Gabarrou, fedele alle sue radici cattoliche, e d’accordo con gli amici dedica la nuova via alla Madonna, battezzandola Marie porte du ciel, cioè Maria porta del cielo. Qualche anno fa, ha battezzato la sua ultima via sul Cervino Echelle vers le ciel, Scala verso il cielo.
“La mia storia è conclusa, provo serenità e gratitudine. La mia vetta del cuore è il Gran Paradiso, perché è una grande montagna facile, e perché in cima ha la statua della Madonna” racconta Gabarrou dopo l’impresa a Enrico Martinet, che lo intervista per La Stampa.
Poi l’alpinista francese volge lo sguardo su sé stesso. “Se potessi dire in che cosa sono bravo, sceglierei lo sguardo. So vedere dove salire, scegliere nuove vie per arrivare sulla cima. Questo è per me un dono, l’ho scoperto da ragazzo e ho continuato a coltivarlo. Io vedo la via, questo sono io”. Grazie Patrick Gabarrou! Merci beaucoup!