Alpinismo

La Saetta del Sorapiss, la folgore di pietra che non c’è più. Nel ricordo di Franz Dallago, il suo salitore

Il terremoto del 1976 ha cancellato la guglia, che fu salita una volta soltanto. Il racconto di una salita unica. E davvero irripetibile

È mancato, qualche settimana fa, Francesco Dallago, per tutti Franz. Se ne è andato mentre passeggiava in una stradina di un villaggio d’Ampezzo, accasciandosi all’improvviso, a 82 anni. Le guide e gli Scoiattoli lo hanno portato in camposanto “a spalla” per tributargli l’ultimo onore.

Qui lo vogliamo ricordare come eccellente alpinista, autore di guide escursionistiche e alpinistiche, persona di grande umanità, ma anche per una sua difficile impresa che, per le vicende che seguirono, di cui diremo, resta assolutamente unica, irripetibile e curiosa.

Scoiattolo e Guida alpina, Franz Dallago è stato uno dei più forti arrampicatori ampezzani, con all’attivo decine di “prime” e “vie nuove”, soprattutto sulla Croda da Lago e sulla Tofana. Proprio sulla Tofana di Rozes fece parte dei componenti della cordata degli Scoiattoli sulla “via del centenario degli Alpini” nel 1972. E si deve a lui la prima invernale della parete nord del Sorapiss (via Müller). Fece inoltre parte di alcune spedizioni extraeuropee nella catena dell’Atlante, nello Yukon, sulle Ande, in Groenlandia, in Nuova Zelanda e in Kenya come ricorda Carlo Gandini in “Le guide di Cortina d’Ampezzo” scritto assieme a Franco Fini.

La magnifica ossessione per quella Saetta

Ma è della Saetta del Sorapiss, a cui Franz ha dedicato anche un libretto dal titolo “La folgore di pietra” che qui vi vogliamo raccontare. Perché sulla Saetta, un poderoso repulsivo pinnacolo che s’innalza sopra il ghiacciaio occidentale del Sorapiss, Franz, insieme ai suoi due compagni di cordata, Armando Dallago (suo cugino) e Paolo Michielli “Strobel” (fratello di Albino, uno dei più grandi alpinisti delle Dolomiti), saranno gli unici a mettevi piede il 9 settembre 1969, e nessuno potrà più mettercelo.

Ma procediamo con ordine. All’epoca Franz aveva 27 anni.  Come lui stesso scrive da poco più di un anno era a conoscenza che la Saetta era ancora inviolata. Se ne meravigliò molto visto che lo schizzo di quella cima appare sulla famosa guida Berti. “Da quel giorno -scrive- il mio primo pensiero è stata la Saetta”.

Nel 1968 andò su, per una prima ispezione, fino alla base del ghiacciaio sopra il quale si ergeva la Saetta. Ma nemmeno col binocolo riuscì a carpire i segreti di quella cima che subito gli apparve “in tutta la sua selvaggia ed aggressiva bellezza, racchiusa in quell’incomparabile e muto scenario di rocce e ghiacciai”. C’è da dire che 55 anni fa, per quanto già in ritiro, i tre ghiacciai di circo del Sorapiss erano molto più estesi di quanto non lo siano oggi.

Durante l’estate successiva (la prima che vedeva Franz in qualità di guida alpina), altra ricognizione per osservare la Saetta: prima dall’alto di una cima attigua e poi dal canalone Comici. Nonostante “l’ambiente pauroso, le scariche di sassi e quel senso di timore che si prova quando ci si trova soli davanti a una grande montagna … di fronte a me sale verso il cielo la più snella, aguzza e levigata cima che finora abbia veduta…”

La decisione di affrontare quell’inedita scalata viene programmata dopo il 15 settembre, quando gli ultimi clienti partono e il freddo, si spera, avrà fermato buona parte dei sassi pericolanti.

Franz e suoi due compagni di cordata vengono svegliati alle 4 e mezza di mattina, dal custode del rifugio Vandelli dove hanno pernottato. Mentre risalgono la morena sotto le ultime stelle che si dissolvono alle prime luci dell’alba, quasi non si accorgono delle rocce e dei sassi coperti da un sottilissimo strato di ghiaccio (l’insidioso verglass), formatosi dopo le ultime piogge e il repentino abbassamento della temperatura.

Franz racconta tutta l’ascensione nel dettaglio, dal superamento del ghiacciaio con i suoi crepacci, alle prime cordate, alle dita che si ghiacciano, alle scariche di sassi, al raggiungimento del punto dove la via Terschak- Degregorio si incontra con la variante di Castiglioni, all’inizio dell’arrampicata su roccia sconosciuta.

Racconta dei camini superati, degli zaini che si incastrano, della roccia che non offre la possibilità di piantare chiodi, degli ennesimi strapiombi, della mezz’ora di riposo una volta raggiunta la Spalla, dell’attacco alla guglia terminale, dell’uso obbligato di qualche chiodo a pressione in una roccia che non accetta quelli normali.

Poi finalmente la cima. La Saetta è vinta in 12 ore, ma non c’è tempo per rallegrarsi. Nevica, sta venendo buio, la via di sesto superiore ha richiesto molte energie. Non è il caso di scendere. Siamo a 3000 metri. Alle 22 i tre si rifugiano incastrati in una spaccatura. C’è un solo posto per sedersi e fanno a turno. Non chiudono occhio. Per riscaldarsi hanno un piccolo fornello a gas col quale riescono a preparare un po’ di the. Sotto i denti mettono la carne in scatola.

Quando torna a far chiaro la discesa è problematica, molto scivolosa per la neve caduta. Si fatica a recuperare le corde. Franz viene colpito di striscio da una sassata, fortunatamente il casco lo protegge. Finalmente dopo alcune calate i tre sono sul bordo superiore del ghiacciaio. Per attraversarlo occorre ancora molta attenzione.

Svuotati delle energie e della tensione nervosa, dopo aver superato una grande serie di pericoli, sono nuovamente al rifugio Vandelli.

Nella relazione finale Franz scrive di 12 ore di arrampicata, di un dislivello di 400 metri, di difficoltà di 5º e 6º grado superiore, di 45 chiodi normali e 8 a pressione. Di un bivacco sulla Spalla in discesa.

La Saetta è vinta per la prima volta. Ma quella sarà anche l’ultima e l’unica volta. Se l’è portata via nel 1976 il terremoto del Friuli con una delle sue poderose scosse, facendola crollare.

Il racconto di Franz Dallago, che un amico, Francesco del Franco, ha curato perché venisse pubblicato nel 1996 da Bibliopolis in soli 250 esemplari, senza scopo di lucro, “da offrire a coloro che condividono la convinzione che l’alpinismo non sia uno sport ma uno stile di vita” è la preziosa testimonianza che ci rimane della Saetta. Ora è andato avanti anche Franz.

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