Gente di montagna

Armando Aste

Lo scalatore trentino fu i più grandi alpinisti del Dopoguerra. Di lui si ricordano non solo le notevoli imprese ma, soprattutto, la grandissima umanità

Sono un cercatore di infinito e mi piace guardare alle montagne come
immagine materializzata dell’ascendente cammino dell’uomo.

Armando Aste 

Primo di sei fratelli, Armando nasce il 6 gennaio 1926 a Reviano di Isera, a una manciata di km da Rovereto. Il padre, contadino, e la madre, operaia alla Manifattura Tabacchi di Borgo Sacco, sono così impegnati nel lavoro da dover affidare alla zia Giuseppina la cura del piccolo. Il mulino in montagna di nonno Luigi diventa la sua seconda casa e terreno fertile per formare il suo carattere che tanto lo distinguerà dalla massa degli alpinisti di allora così come di oggi. Forse è solo una coincidenza, ma già il nome dei genitori, Maria e Giuseppe, sembra essere il seme della sua Cristianità. Una fede che cresce rapidamente in lui con la quotidiana recita del Rosario assieme al nonno nella fuligginosa cucina.

Un credente

Sì, Armandone, come lo chiamano gli amici, è prima di tutto un credente, come ribadisce più volte nei suoi scritti. La sua fede lo accompagna in ogni salita e, unita a tenacia e determinazione, è il segreto dei suoi successi. Un religiosità che è motivo di sguardi taglienti nei suoi confronti. In un mondo alpinistico dove la spiritualità sembra non trovare spazio lui non può che divenire un personaggio scomodo. Ma al giovane non importa, vede la religiosità come essenza stessa e naturale dell’uomo.

Armando è buono, altruista e umile, tanto da parlare sempre poco e con grande modestia delle sue imprese, decisamente da prima pagina. Nessun lato nascosto o cambio improvviso del suo carattere o dei suoi valori, sarà coerente con il suo essere per tutta la vita e in ogni ambito, alpinismo compreso. Sarà riconoscente ogni giorno alla madre, per avergli donato “il buon cuore”, e al padre, per avergli dato “l’intelletto”.

Le prime scalate

A 15 anni lascia il comodo fienile del nonno per lavorare, prima come fattorino in una azienda di spedizioni e, poi, come portiere di albergo. Questi lavoretti non bastano per aiutare la famiglia allargata e, quindi, firma l’assunzione alla Mayer costruzioni, prima di prestare servizio nelle ex caserme di Cavalleria di Maia Bassa a Merano nel 1943.

L’anno successivo diventa operaio nella Manifattura Tabacchi dove lavora la madre; è bravo e sale subito al livello di fuochista ed infine a quello di capo operaio della centrale termica.

Oltre alla fatica del lavoro, la sua gioventù è segnata dalla morte della sorella Anna, ancora in fasce, e di due dei quattro fratelli maschi.

Un giorno è attratto da alcuni ragazzi impegnati a salire la Guglia di Castel Corno e, dopo aver colto con lo sguardo qualche rudimento, Armano inizia a scalare senza attrezzatura, scoprendo una passione travolgente. La sua prima vera salita è la Via del Pilastro, sul Baffelan, nel 1947. 

Durante le prime avventure verticali conosce i giovani che l’anno dopo fonderanno il “Gruppo Roccia e Alta Montagna Ezio Polo”, della SAT di Rovereto.

120 quintali di carbone da spalare ogni giorno sono la sua palestra che lo tempra per le salite in tutto il mondo degli anni a venire. Ma, visto il periodo storico, anche Armando inizia nelle montagne di casa, come la Normale al Campanil Basso di Brenta, salita nel 1949. L’incontro con Fausto Susatti segna la svolta; insieme scalano la Costantini-Apollonio in Tofane, la Livanos-Gabriel alla Cima su Alto in Civetta, la Vinatzer-Castiglioni in Marmolada e aprono i loro orizzonti ripetendo la Bonatti-Ghigo al Gran Capucin. 

Nei primi anni cinquanta ripete la via dei suoi maestri ideali, ossia la Fox-Stenico in Ambiez, e con Mario Moser la Steiger al Croz dell’Altissimo. 

Le grandi salite sulle Alpi

Macinate parecchie delle vie più ambite, Armando inizia a prendere la sua strada, fatta da un lato di grandi aperture e dall’altro di ripetizioni, talvolta da solo o in inverno.

In compagnia del suo credo, realizza la terza solitaria alla Preuss al Campanil Basso e la prima in questo stile della via Buhl alla Roda de Vael e della Couzy sulla Nord della Cima Ovest di Lavaredo. Nel 1978, a 52 anni, sale leggero, come nessuno aveva ancora osato, anche lo slanciato ed aereo Spigolo della Torre della Vallaccia. Scalare da solo significa per lui elevare il legame con la montagna ad un livello superiore di intensità e spiritualità.

Con lo stesso ardore vive numerose difficili salite invernali come, per esempio, la Carlesso-Sandri alla Torre Trieste e, soprattutto, la prima italiana della fredda e repulsiva Nord dell’Eiger nel 1962, legato con Franco Solina e Lorenzo Acquistapace, affiancati dalla cordata Mellano-Perego-Airoldi. 

Con Solina instaura un legame forte che li porterà ad aprire due delle più celebri linee sulla parete Sud della Marmolada: la Via dell’Ideale nel 1964, secondo Messner la più difficile delle Alpi in quegli anni, e la Via della Canna d’Organo, un anno più tardi.

Fin dalla sua prima via aperta nel 1950 con Susatti sull’Ago di Nardis, nel Gruppo della Presanella, Armando dimostra grande intuito per la “linea naturale”; ossia la più logica ed estetica, quella che permette quasi sempre di esprimersi in arrampicata libera.

In Patagonia

Attratto dalle vette più slanciate ed isolate, quelle che meglio sono paradigma dell’uomo che tende sempre verso l’alto, questa la sua visione della cima, parte alla volta del gruppo del Paine, sul finire del 1962. Questa spedizione del Cai Monza si conclude con la prima ripetizione della Via degli Inglesi alla Torre Centrale e la prima assoluta alla Torre Sud, lungo una linea dedicata all’amico Andrea Oggioni.

Tornerà nello stesso gruppo patagonico nel 1966, salendo molte cime vergini dopo aver abbandonato il piano iniziale della Torre Innominata del Paine, per il persistere del meteo sfavorevole.

Il “malo tiempo” sarà anche il motivo della rinuncia al Pilone Orientale del Fitz Roy, obiettivo della spedizione organizzata dalla “Città di Rovereto”, alla quale Armando partecipa nel 1971.

Il congedo dall’alpinismo

Nel 1980, dopo 40 anni di lavoro, va in pensione e condivide le sue giornate con la moglie Nedda, scalando e mettendo per iscritto una vita di avventure. 

Il 1985 segna la sua ultima spedizione; ossia quella al Cerro Astidillo, che viene rinominato “Torre Giovanni Spagnolli” per ricordare un grande amico di Armando, nonché Presidente Nazionale del CAI e Presidente del Senato.

Quell’anno il peggioramento della salute del fratello Antonio porta Armando a mettere da parte le montagne per dedicarsi a lui e a chi lo circonda. Con grande naturalezza scrive: “sentivo di dover dare” e così ha fatto. 

Armando Aste, l’uomo con alle spalle oltre 200 bivacchi e migliaia di metri di roccia percorsi nel mondo, si spegne a 91 anni il 1 settembre 2017 a Rovereto.

Lui e la moglie non hanno avuto figli e, così, parte della sua eredità è stata donata all’Associazione Spagnolli per il reparto di maternità dell’Ospedale di Buyengero, in Burundi. Un bellissimo modo di continuare a testimoniare il suo concreto e sincero altruismo.

Oltre a questo, di Armando resta un’eredità alpinistica enorme, affiancata da un film, tanti testi e, soprattutto, i racconti e le memorie degli amici che hanno circondato un uomo di così gran cuore. Proprio i suoi amici per onorarne la memoria hanno aperto il sito www.armandoaste.it, ricchissimo di testi e immagini.

Libri  

  •  Pilastri del Cielo, di Armando Aste, Reverdito editore, 1975
  •  Cuore di Roccia, di Armando Aste, Manfrini editore, 1988
  •  Pilastri del Cielo, di Armando Aste, Nordpress, 2000
  •  Alpinismo Epistolare – Testimonianze, di Armando Aste, Nuovi Sentieri Editore, 2011
  •  Commiato – Riflessioni conclusive di un alpinista dilettante in congedo, di Armando Aste, Nuovi Sentieri Editore, 2013
  •  Nella luce dei monti – Pensieri e sguardi d’insieme, di Armando Aste, Nuovi Sentieri Editore, 2015
  •  Stagioni della mia vita, di Armando Aste, Nuovi Sentieri Editore, 2016
  •  L’Angelina – Vita agresta di un tempo lontano, di Armando Aste, pubblicato postumo, Nuovi Sentieri Editore, 2017
  •  Ho scalato un ideale. Armando Aste, uomo e alpinista, di Maurizio Gentilini, Vita Trentina, 2021

Film 

  •  Il Cercatore di Infinito, regia di Andrea Azzetti e Federico Mazza, 2020

In una ipotetica graduatoria di valori, l’alpinismo viene dopo l’amore il vero amore che significa prendersi cura e condividere. Viene dopo la famiglia, dopo il lavoro, le amicizie, dopo la condivisione. L’alpinismo non può essere un fine, ma solo un mezzo di promozione umana. Perchè il Padre Eterno, quando sarà il momento non mi chiederà quante scalate ho inanellato, ma cosa ho fatto per gli altri.

Armando Aste

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