AlpinismoGente di montagna

A tu per tu con Fay Manners, sempre alla ricerca della linea perfetta

Dalle pareti del Galles alle grandi montagne di extraeuropee, la poliedrica alpinista britannica si racconta. Ma anche l’impegno per una maggior sostenibilità delle spedizioni e il sessismo nel mondo della montagna

Gli occhi azzurri e i capelli biondi ne tradiscono le origini britanniche, ma Fay Manners vive a Chamonix dove si è trasferita quando ha sentito il bisogno di svegliarsi ogni mattina con le montagne fuori dalla finestra. Oggi è un’atleta professionista, ed è costantemente alla ricerca della linea perfetta, a casa sua o in spedizione in giro per il mondo.

Quando sei entrata in contatto con l’alpinismo per la prima volta e come ne hai fatto la tua professione?

Sono cresciuta nel Regno Unito, non c’erano grandi montagne attorno a me. Così sono entrata in contatto con l’alpinismo abbastanza tardi. In realtà ho sempre praticato tantissimo sport. Lavoravo come data scientist e giravo molto per il mio Paese, ma cercavo anche belle attività per riempire il weekend. Quindi ho iniziato a viaggiare da sola nel Galles del Nord e nei Breacon Beacons per fare trekking e arrampicata. Più rimanevo in montagna, più mi sembrava di essere a casa. Così nel 2015 mi sono trasferita a Chamonix, la Mecca dell’alpinismo. Avevo realizzato che volevo trascorrere tutti i singoli momenti della mia vita in montagna. Non era una semplice passione, ma una necessità.

Solamente nell’ultimo anno sono diventata un’atleta sponsorizzata (Fay è ambassador di The North Face, ndr.), e posso quindi concentrarmi sull’allenamento e sui miei progetti senza bisogno di avere un altro lavoro. È molto diverso da prima, quando facevo tanta attività in montagna ma lavoravo da remoto: adesso posso uscire quando le condizioni sono buone, non quando ho tempo e sono libera. Un’intera stagione con la montagna come priorità, a cercare nuove linee, è stata un grande passo avanti per me.

In passato non osavo neanche pensare di fare l’atleta come professione: i miei mi avevano sempre detto che, soprattutto per una donna, era impossibile guadagnare con lo sport. Era più che un sogno, e adesso è la dimostrazione che se uno lo vuole davvero, si può fare.

Hai fatto molte spedizioni in giro per il mondo, tra cui recentemente quella sulle Torri di Trango: qual è stata la più importante per te?

Dipende da cosa intendi per importante. Ad esempio, in Pakistan con i fratelli Pou abbiamo aperto e ripetuto molte vie, però per me l’importanza di una spedizione va al di là dei risultati. Quella che considero di maggior valore per me è stata in Alaska nel 2022, dove io e la mia amica Michelle Dvorak volevamo scalare la cresta Cassin sul Denali.

Si tratta di una via classica molto prestigiosa, la via dei sogni per un sacco di persone. Richiede tante abilità diverse: sciare, arrampicare su ghiaccio e misto, saper recuperare qualcuno da un crepaccio, saper trovare la via…è stato come mettere insieme tutta la nostra esperienza alpinismo, e usarla in una sola via.

Ho imparato molto da quel viaggio, è stato una buonissima base per tutte le spedizioni che ho fatto in seguito, anche dal punto di vista logistico e organizzativo. Era la nostra prima spedizione insieme, e ora lei è una compagna di cordata molto importante per me, ogni anno progettiamo qualcosa insieme. L’anno scorso abbiamo aperto due vie di roccia in Groenlandia, e quest’autunno andremo in India.

Ho un altro ricordo molto vivido dell’Alaska: al Campo base c’era un alpinista americano che, quando gli abbiamo detto quale via avevamo intenzione di scalare, ha chiesto: “Ma avete mai fatto dell’arrampicata tecnica prima?” Ho risposto solo di sì, e mi sono sentita molto offesa, perché sapevo che lui stava dubitando di noi per il semplice fatto che eravamo due ragazze. Quell’inverno avevo scalato le Grandes Jorasses, l’Eiger…avevo decisamente fatto dell’arrampicata tecnica, ma lui mi ha fatto sentire insignificante con quei pochi commenti. Ho imparato che è sempre sbagliato fare supposizioni sulle persone senza conoscerle. Ricordo come mi sono sentita, e sto molto attenta a non comportarmi così nei confronti di qualcun altro: la montagna dovrebbe essere un luogo egualitario.

Quindi credi che nel mondo dell’alpinismo ci sia ancora del sessismo. In che modo questo influenza le tue attività?

Ci penso ogni giorno. Credo che le montagne possano offrire uguali opportunità per gli uomini e per le donne. Ma ci sono molte consuetudini radicate in profondità e difficili da rompere. Ho realizzato che quando sono fuori con degli uomini, li lascio sempre prendere il comando, mi fido delle loro decisioni, mi fido della loro valutazione del rischio valanghe. Ieri sono andata a sciare con un’altra donna molto forte e ho preso io tutte queste decisioni. È stato molto rigenerante, e mi sono resa conto che cado in questo ruolo secondario solo quando sono con altri uomini.

E io sono un’atleta, sono ovviamente sicura della mia capacità di scelta, e quindi so che anche molte altre donne lo sono. È qualcosa che sto ancora imparando su me stessa, e facendo attività con altre donne mi rendo conto di alcune cose che mi aiutano quando poi sono in giro con dei maschi. Credo che ci sia ancora molto lavoro da fare.

Scialpinismo e arrampicata sono le tue specialità: qual è la tua preferita?

Difficile a dirsi. Amo tutti gli sport, nella vita non ne ho mai trovato uno che non mi piaceva. Mi sono promessa di scegliere l’attività da fare a seconda del luogo in cui mi trovo e delle condizioni. Adesso sono a Chamonix e fuori sta nevicando, quindi domani ci sarà una bellissima polvere e andò a sciare. Ma se ci fossero state condizioni diverse avrei fatto ghiaccio. Cerco di godermi le cose quando ci sono perché gli sport, davvero, mi piacciono tutti.

Qual è l’aspetto dello scialpinismo che ti affascina di più?

Per me sciare è un’esperienza dall’inizio alla fine. Ci sono tantissime variabili, la neve è imprevedibile, non sai mai come sarà finché non ci sei sopra, raramente è tutto perfetto. A volte devi aspettare anni per sciare una linea nella sua migliore condizione, e con il cambiamento climatico ti chiedi sempre se potrai tornarci un’altra volta. E quando arriva la powder, e magari l’hai attesa, è tutto così fluido e i movimenti sono così semplici…è la genuinità dell’esperienza che la rende, per me, speciale.

Poi mi affascina il fatto che lo sci è incredibilmente tecnico: essere forti non è abbastanza, devi avere equilibrio, essere coordinato, sapere affinare ogni movimento. Puoi sciare tutta la vita e ancora non pensare di essere un bravo sciatore.

Ti stai allenando per un progetto da compiere a brevissimo termine. Di cosa si tratta? 

No, si può dire! Il mio piano per questa stagione è sciare tre linee iconiche sulle Alpi senza usare l’auto o alcun tipo di impianti, ma muovendomi tra le montagne in bici. L’ho chiamata Human Powered Ski Trilogy. Ho già in mente alcune opzioni di linee da sciare, sicuramente la parete Est del Cervino, e al momento sto osservando attentamente le montagne per aspettare che vadano in condizioni. Ho bisogno che siano tutte sciabili nello stesso momento, e di una finestra meteo abbastanza lunga. Mentre l’anno scorso ho viaggiato molto, quest’anno ho deciso di progettare qualcosa con la sola energia dei miei muscoli, di essere stanziale in un posto e conoscerlo a fondo.

Questo ha a che vedere con il tuo approccio alla sostenibilità…

Si, sto lavorando con una compagnia chiamata Pinnacle, che mi supporta da questo punto di vista, dandomi consigli su come essere più attenta all’ambiente come atleta, e a calcolare le emissioni soprattutto durante le spedizioni. Cerco di scegliere con responsabilità la mia attrezzatura e prolungare il più possibile la sua vita. Ad esempio, uso lo stesso paio di sci e le stesse piccozze da più di tre stagioni, e quando qualcosa si rompe cerco di ripararlo invece che prenderlo nuovo. Sto anche lavorando sul non lasciare traccia in montagna; gli americani sono molto bravi in questo e sto cercando di portare queste tecniche in Europa, portando via tutto con me.

Hai accennato  a una spedizione in India: qual è il piano?

Questa invece è un po’ più segreta! Posso dirti che io e Michelle viaggeremo in India a settembre, per sei settimane. Il piano è aprire una nuova via sulla parete Nord, ancora non scalata, di una montagna di 7400 metri. Abbiamo trovato la maggior parte degli sponsor ma stiamo cercando ancora dei finanziamenti.

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