Alpinismo

Everest e Annapurna, è tutta una questione di corde. E di “doctors” superspecializzati

Squadre professionali di Sherpa stanno attrezzando gli “ottomila” con chilometri di corde per consentire il passaggio a guide e clienti. Un lavoro indispensabile e pericoloso, che quest’anno sull’Everest sta andando a rilento

Sugli “ottomila” del Nepal, questa è la stagione delle corde. Mentre le guide e i clienti delle spedizioni commerciali iniziano ad arrivare ai rispettivi campi-base, i team incaricati di attrezzare i percorsi srotolano chilometri di corde fisse, e le ancorano a chiodi da roccia, viti da ghiaccio o picchetti da neve. Nell’Icefall, la famigerata seraccata dell’Everest, si utilizzano anche scalette di alluminio.

Quando in Europa e in America si parla delle corde fisse usate sulle grandi cime dell’Himalaya e del Karakorum, lo si fa quasi sempre dal punto di vista dell’etica. Per chi commenta le spedizioni, di solito, poche corde fisse (o nessuna) significano un’ascensione “pulita” e corretta, mentre gli itinerari attrezzati dalla base della montagna alla vetta vengono spesso liquidati come eccessi delle spedizioni commerciali.

E’ fondamentale ricordare, però, che le corde non si fissano sulle montagne da sole, e che per piazzarle in maniera corretta occorrono settimane di impegno da parte di decine (o centinaia) di uomini, in prevalenza di etnia Sherpa.

Un lavoro altamente specializzato, che espone chi lo pratica al rischio di essere investito da slavine e da pietre, o di cadere in un crepaccio se non dalla montagna. Un lavoro ben pagato, rispetto agli stipendi del Nepal, ma che non viene celebrato come merita.

Il 18 aprile del 2014, quando una valanga che si è abbattuta sull’Icefall ha ucciso 16 Sherpa al lavoro, il mondo dell’alpinismo si è finalmente accorto di loro. “Non è stata una tragedia dell’alpinismo ma una tragedia del lavoro” ha commentato in quei giorni Reinhold Messner.

Qualcosa del genere è accaduto un anno dopo, il 25 aprile 2015, quando una valanga staccata da un terremoto ha investito le tende del campo-base dell’Everest uccidendo 21 persone, in maggioranza Sherpa. Anche l’anno scorso, nella parte alta della seraccata, una valanga staccata dal crollo di un blocco di ghiaccio è costata la vita a tre Sherpa al lavoro.

Le attuali condizioni dell’Icefall hanno rallentato il lavoro

Nel 2024, come abbiamo già raccontato, gli Icefall Doctors si sono messi al lavoro il 14 marzo. Di solito, per attrezzare il percorso, bastano dai 15 ai 20 giorni, ma quest’anno le cose sono più complicate del solito. “C’è un intoppo sull’Everest” ha titolato qualche giorno fa sul suo blog lo statunitense Alan Arnette. “Secondo le tabelle normali, a questo punto la via avrebbe dovuto essere pronta, e già utilizzata dai portatori d’alta quota che installano e riforniscono i campi 1 e 2”.  Qualche crepaccio di troppo e, soprattutto, troppo ampio rallenta però le operazioni.

Uno sguardo alla storia degli ultimi quindici anni ricorda che quasi sempre la via attraverso l’Icefall è stata “aperta al traffico” tra il 2 e l’8 aprile, e solo nel 2010 si è arrivati al 16 del mese. Negli ultimi anni, è progressivamente diminuito il numero delle scalette impiegate, dalle 28 del 2013 e delle 27 del 2011 fino alla decina degli ultimi anni.

Questo però non vuol dire che il percorso è diventato più facile, anzi. Le scalette servono a traversare dei grandi crepacci, impressionanti ma ben visibili. Se vengono sostituite da corde significa che la via zigzaga da un blocco di ghiaccio all’altro, con un pericolo maggiore di sprofondamenti e crolli improvvisi.

Alan Arnette, sempre attento alle statistiche, ricorda che solo 51 (il 23%) dei 217 incidenti mortali avvenuti sul versante nepalese dell’Everest tra il 1953 e il 2019 ha avuto luogo nella seraccata, e che la maggioranza delle tragedie è avvenuta oltre gli 8000 metri di quota. “Comunque l’Icefall non è un posto dove perdere tempo” conclude il blogger americano.

Le corde fisse non si usano solamente sull’Everest. Venerdì scorso la 8K Expeditions, una delle più importanti agenzie nepalesi, ha finito di attrezzare fino in vetta la via normale dell’Ama Dablam, 6812 metri, una delle vette più frequentate del Nepal. Ad arrivare in cima, completando il lavoro, sono stati gli Sherpa Ashok Lama, Datuk Bhote, Wongda e Pasang Tenji.

Ultimato il “lavoro” sull’Annapurna i tecnici si trasferiranno sul Dhaulagiri. Poi toccherà al Kangchenjunga

Un’altra grande agenzia nepalese, la Seven Summit Treks, sta invece finendo il lavoro per attrezzare la via normale dell’Annapurna, 8091 metri, che il rapido ritiro del ghiaccio ha reso sempre più pericolosa, e che per questo motivo viene percorsa all’inizio della stagione delle spedizioni.

“Siamo al campo-base, e le nostre guide e i nostri clienti fanno delle rotazioni verso l’alto per acclimatarsi. Il lavoro per attrezzare la via fino in vetta è quasi finito” ha detto al quotidiano nepalese “The Himalayan Times” Chhang Dawa Sherpa, leader della spedizione di Seven Summit Treks.

Appena finito il lavoro sull’Annapurna, gli operai specializzati degli “ottomila” verranno trasportati in elicottero al campo-base del Dhaulagiri, 8167 metri, dall’altra parte della valle della Kali Gandaki, e si metteranno al lavoro anche lì.

Poi toccherà al Kangchenjunga, 8596 metri, l’“ottomila” più orientale del Nepal. Infine, dopo un paio di settimane di riposo, gli Sherpa incaricati di fissare le corde si trasferiranno in Pakistan, e inizieranno ad attrezzare il Broad Peak, il K2 e i Gasherbrum. La corvée degli “uomini delle corde” del Nepal non si ferma.

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