A tu per tu con Valerio Annovazzi, l’alpinista delle imprese silenziose
66 anni, 2 infarti e 5 ottomila, l’ultimo la scorsa estate. L’alpinista bergamasco ha scoperto la montagna come terapia solo dopo i seri problemi cardiaci. Ma poi non ha perso tempo
Valerio Annovazzi, classe 1958 originario di Valtorta in Val Brembana (BG), lo scorso 3 luglio ha conquistato la cima del Nanga Parbat (8.126 m), il suo quinto Ottomila. Una storia singolare la sua, atipica se vogliamo. La dimostrazione che “non è mai troppo tardi per”, che le passioni possono scoppiare anche in età avanzata e soprattutto anche dopo un grave problema di salute. Anzi, forse è stato proprio quell’imprevisto, che Valerio chiama amichevolmente “colpetto” ad aver segnato l’inizio della svolta.
“Il caso di Valerio è stato pubblicato sull’American Journal of Cardiology ed è quindi noto in tutto il mondo”, ha raccontato il dottor Luigi Piatti, il cardiologo che segue Annovazzi. “E’ un esempio che porto, quasi settimanalmente, ai miei pazienti per mostrare come anche dopo un infarto, se curato a dovere, sia possibile tornare ad una vita normale”. Nel caso di Valerio a una vita straordinaria.
Valerio, riservato e di poche parole, si trova in imbarazzo davanti a un pubblico tanto numeroso (400 persone) come quello che lo attendeva la scorsa settimana nel negozio di DF Sport Specialist di Bevera di Sirtori (Lc) in occasione della serata del ciclo “A tu per tu con i grandi dello sport” a lui dedicata. “Non farmi un’intervista nella quale sembro spocchioso o arrogante”, si preoccupa prima di iniziare.
La sua storia, da camionista a scalatore, con alle spalle 2 infarti e 5 ottomila raggiunti sempre solo con le proprie forze, senza l’accompagnamento degli sherpa e senza l’utilizzo di ossigeno supplementare, è dedicata a tutti coloro che non vogliono smettere di sognare. Anche dinanzi alle avversità della vita.
“Era il 2002 quando mi trovai davanti a quest’uomo, poco più che 40 enne, colpito da infarto miocardico. Lo trattammo subito con angioplastica e gli consigliammo, come da prassi, di passare a uno stile di vita più sano, contraddistinto da un’alimentazione corretta e movimento. E di smettere, o diminuire, con le sigarette”, racconta, il dottor Piatti.
Da quel momento Valerio ha iniziato a camminare e non si è più fermato. Ancora oggi, che vive in una bella baita sopra Introbio (Lc), non è difficile incontrarlo sui sentieri.
“Da giovane, nonostante vivessi in montagna, non andavo a camminare. Lo trovavo un passatempo troppo faticoso ed era più facile e divertente rimanere in paese a giocare al pallone”, racconta. “È stato solamente dopo il primo infarto che ho scoperto la camminata in montagna e l’alpinismo.
Durante un trekking organizzato in Ladakh, durante il quale abbiamo salito una vetta (facile) di 6.200 metri, mi sono reso conto che non facevo fatica e allora ho iniziato a pensare a vette sempre fino più alte. Nella mia vita, quando facevo il camionista, avevo letto due libri: uno di Messner e l’altro di Kammerlander. In quest’ultimo Hans raccontava di aver salito solamente 60 metri in un’ora di tempo. Mi ero chiesto come fosse possibile andare così piano… Anni dopo, scalando ad alte quote, l’ho ben capito: quando sei lassù cambia tutto!”.
Il Cho Oyu in Nepal (8.201 metri) è stato il primo Ottomila scalato da Annovazzi, poi è stata la volta del Manaslu (8.156 metri) e del Gasherbrum II (8.035 metri), dove è rimasto bloccato per tre giorni senza cibo a causa del maltempo. Una brutta avventura che però non lo ha scoraggiato. E’ del 2018 la rinuncia alla cima del Makalu a poca distanza dalla vetta e che gli è costata anche le dita di una mano, ma nel 2019 eccolo in vetta al Broad Peak (8.047 metri) ed infine il Nanga Parbat. Ora, all’età di 66 anni, dice di aver chiuso con gli Ottomila, ma cammina ancora moltissimo.
“Ogni settimana, spesso partendo a piedi da casa, colleziono anche 7-8mila metri di dislivello positivo. Non mi pesa e mi fa stare bene. Solo che ora cammino su montagne molto più vicine e alla portata di tutti. Ad esempio non ero mai stato sulle vette del Monte Barro e del Cornizzolo (due cime che quasi vede da casa, ndr), incredibile vero?”.
Accanto a quest’uomo, come spesso accade agli uomini che fanno cose grandi, ci sono due grandi donne: la moglie e la figlia. Ma anche tutta una serie di persone che, da lontano, seguono o hanno seguito le sue imprese silenziose e mai pubblicizzate. Spesso persone con alle spalle una storia di malattia a cui Annovazzi, più con i fatti che con le parole, regala una speranza.