Alpinismo

Luca Gasparini e Gianluigi Ranieri aprono “Il sabato del miraggio” sul Costognillo, nel massiccio del Velino, in Abruzzo

Nonostante un inverno più che “asciutto”, il ghiaccio dei versanti appenninici esposti a nord consente arrampicate impegnative. Come racconta uno dei due protagonisti della scalata

L’inverno sull’Appennino c’è ancora, e riserva delle belle sorprese a chi le sa andare a cercare. Sul massiccio del Velino le piste da sci sono chiuse, e i pendii esposti a sud sono in condizioni quasi estive. A nord invece, oltre i 2000 metri di quota, la neve e il ghiaccio ci sono, e permettono arrampicate interessanti.

Lo dimostra “Il sabato del miraggio”, la via aperta il 27 gennaio dai romani Luca Gasparini e Gianluigi Ranieri sul versante settentrionale del Costognillo, 2339 metri, una delle anticime del Velino. Una via non estrema ma seria, quattro tiri di corda per 160 metri complessivi, pendenze fino a 80° su ghiaccio e qualche tratto di misto classificato tra M4 e M5. La valutazione complessiva è tra il D+ e il TD-.

Luca Gasparini, 33 anni, è un esperto di questo genere di ascensioni e ha alle spalle circa 50 vie nuove di questo tipo in Appennino. Quest’anno è tornato sulle montagne di casa dopo aver scalato cascate di ghiaccio e linee di misto in Vallunga e sulla Torre Innerkofler sulle Dolomiti. Gianluigi Ranieri, il suo compagno di cordata, ha qualche anno più dell’amico. Negli inverni scorsi ha aperto un’altra via nella zona insieme all’abruzzese Cristiano Iurisci e al romano Emanuele Pontecorvo, autore di ascensioni importanti anche sulla parete Nord del Camicia.

 

Perché il Costognillo, Luca Gasparini?

Il ghiaccio è sempre meno, quest’anno l’“Alpine ice” sulle nostre montagne quasi non c’è. Bisogna cercare, soprattutto ad alta quota. Si trovano itinerari impegnativi, diversi da quelli delle Dolomiti, non estremi ma che consentono di divertirsi.

Su quella cima, o sul vicino Sevice, ci sono ancora linee da aprire?

Le possibilità sono quasi infinite. A limitare la scelta sono la qualità spesso cattiva della roccia, e la scelta (mia, di Gianluigi e di molti altri) di non ricorrere agli spit, ma di proteggersi sono con chiodi tradizionali e friend. Vedere le vie dal basso spesso inganna. Temevamo una “scampagnata” sull’erba, e invece il ghiaccio c’era, eccome. Sui tratti più verticali su roccia, gli appigli erano coperti da una “toppa” di ghiaccio trasparente.

 L’accesso a quelle pareti è lunghissimo. Da dove siete passati?

Abbiamo seguito il sentiero che sale al Velino da Rosciolo fin oltre la vetta del Sevice, 1300 metri abbondanti di dislivello, poi siamo scesi a nord con una traversata delicata. L’alta Val di Teve d’inverno offre un ambiente integro, severo, bellissimo. Tre ore per l’avvicinamento, altre tre per la via, poi di nuovo giù sul sentiero. Nel primo pomeriggio eravamo di nuovo al posteggio.

 Da dove viene la tua passione per l’Appennino invernale?

Ho scoperto l’alpinismo tra il 2015 e il 2016, e il ghiaccio per me è sempre stato importante. Da molti anni, sul Velino e sui massicci vicini, gli alpinisti del Lazio e dell’Abruzzo vanno in cerca di canali di neve e di arrampicate su misto. Sul Velino hanno aperto itinerari di questo tipo Vincenzo Abbate e i suoi amici di Palestrina, ma anche cordate marsicane, dell’Aquila o di Tivoli. I nuovi materiali, e l’esempio che arriva dalle Alpi, hanno alzato il livello delle difficoltà. Ma lo spirito è quello.

 Dove ti sei ispirato per la tua ricerca? E chi è stato il tuo maestro in Appennino?

Nelle scorse settimane ho arrampicato sul ghiaccio della Vallunga, in Val Gardena, e su quello della Torre Innerkofler, al Sassolungo, che offre delle vie bellissime, toste, in ambiente incredibile. Negli anni scorsi ho scalato su ghiaccio anche tra la Civetta, la Marmolada e Arabba. Il mio maestro è stato Cristiano Iurisci, di Lanciano, in Abruzzo. Con Gianluigi ci tenevano a fare qualcosa sul Velino, che per i romani è la montagna di casa.

 Quali altre zone dell’Appennino centrale tieni d’occhio in questi inverni?

Il Peschio Gaetano, un imponente torrione della parete Nord del Sirente offre delle belle linee. Al Gran Sasso c’è qualcosa da fare nella conca del Calderone, verso la Vetta centrale del Corno Grande. Lo stesso vale per la parete Est del Corno Piccolo, ma lì servono condizioni diverse, con più neve e più ghiaccio.

 Stai facendo qualcosa anche in zone più accessibili?

Sì, sto completando una nuova linea di misto moderno sul versante Nord-est del Terminillo, a due passi dal rifugio Sebastiani e dalla strada. E’ la parete di casa di Pino Calandrella, che è un maestro. Ma qualcosa di nuovo c’è ancora.

I parchi e le riserve dell’Appennino non amano l’alpinismo invernale, perché temono che causi disturbo alla fauna. Che ne pensi?

Sulle goulotte e sulle pareti verticali, d’inverno, non ci sono orsi o camosci da disturbare. E poi questo tipo di alpinismo, anche su terreno facile, permette di godere di un paesaggio straordinario e selvaggio.

 Quest’inverno sei già stato più volte sulle Alpi, che da Roma non sono vicine. Come riesci a combinare la tua passione per la montagna con il lavoro? 

Lavoro in un grande albergo della Capitale e da dicembre a marzo, con l’eccezione del Natale, i clienti sono pochi e posso partire facilmente. Da qualche anno sono istruttore della Scuola di alpinismo Paolo Consiglio della sezione di Roma del CAI, e questa è solo una passione. In futuro vorrei diventare guida alpina, e trasformare la mia passione per la montagna in un lavoro. Vedremo.

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