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Leslie Stephen, alpinista sopraffino e decano degli scrittori di montagna

L’autore di The playground of Europe, scritto nel 1871 è stato anche autore di numerose prime salite sulle Alpi. La sua storia racconta un’epoca straordinaria

Giornalista, filosofo, professore, nonché padre della scrittrice Virginia Woolf. Leslie Stephen (1832-1904), personaggio poliedrico come tanti intellettuali dell’Ottocento, ha lasciato un’impronta fondamentale anche nel mondo dell’alpinismo. Scalatore appassionato, ha conquistato per primo diverse vette alpine scrivendo un unico libro sulle sue imprese, che però è diventato subito un classico nel mondo anglosassone.

Una delle foto più celebri di Leslie Stephen lo ritrae al fianco della figlia, con una lunga barba e un’aria un po’ arcigna. Ha quasi settant’anni e l’alpinismo per lui è un ricordo lontano. A tenerlo alla larga dalle sue amate montagne ci aveva messo lo zampino la prima moglie Harriet Marian Thackeray detta Minny (1840-1875), figlia del noto autore de La fiera delle vanità. Stephen aveva 35 anni quando incontra Harriet a Zermatt: scatta la scintilla e nel 1867 si sposano. Il loro viaggio di nozze è degno di una coppia borghese britannica benestante: le mete sono Grindelwald nell’Oberland Bernese, poi Zermatt, il Sempione, di nuovo le Alpi con il Maloja e l’Engadina. Harriet ritiene pericoloso l’alpinismo e convince il marito a limitare la sua attività. Stephen non rinuncia del tutto, ma sicuramente limita le scalate.

Eppure, da giovane Leslie Stephen, figlio di un ex ministro britannico delle colonie, aveva fatto di tutto per diventare uno scalatore di classe. Per lui non era stato affatto facile, visto che era un bambino di salute cagionevole. Da adolescente al college si applica nel canottaggio e nella corsa, accrescendo la sua resistenza fisica. Poco alla volta, il suo fisico migliora. Quanto agli studi, è un allievo brillante: a 24 anni ha già un incarico di insegnamento. La folgorazione per le montagne risale al 1855, quando il ventitreenne Stephen va per la prima volta in vacanza sulle Alpi, in Austria.

Siamo all’inizio degli anni d’oro dell’alpinismo britannico, un ventennio pazzesco destinato a cambiare per sempre la visione delle montagne. Alfred Wills, imparruccato giudice dell’Alta Corte britannica, nel 1854 ha scalato il Wetterhorn (3692 m). Nel 1857, l’irlandese John Ball sale in vetta al Pelmo (3168 m), nelle Dolomiti. Nello stesso anno, William Matthews fonda l’Alpine Club, che ispirerà tutte le associazioni alpinistiche. Matthews insieme ad altri alpinisti conquista il Monviso (3841 m) e il Castore (4228 m) del massiccio del Monte Rosa nel 1861. Due anni, dopo un altro inglese, Adolphus Moore, è in vetta allo Sperone della Brenva (4410 m), mentre la sua connazionale Isabella Straton compie la prima ascensione invernale sul Monte Bianco nel 1876. L’epopea del Cervino (4478 m) con l’impresa di Edward Whymper nel 1865 traumatizza l’opinione pubblica, ma non arresta la passione per le scalate, consacrata dall’amore degli inglesi per le Alpi.

Leslie Stephen rientra appieno in questo universo di scalatori inglesi dell’epoca più gloriosa. Ogni estate rappresenta per il giovane professore un nuovo appuntamento con le Alpi. Nel 1857 è in Svizzera, in Savoia e a Courmayeur, dove si innamora del Monte Bianco. L’anno successivo, assieme a Thomas Hinchliff, settimo presidente dell’Alpine Club, e alla grande guida alpina Melchior Anderegg, conquista il Wildstrubel (3244 m) nelle Alpi Bernesi. Un altro primato lo ottiene nel 1859, quando raggiunge la vetta del Bietschhorn (3934 m) nel Vallese e meno di un mese dopo è in cima al Rimpfischhorn (4199 m).

L’anno successivo, è la volta del Blümlisalp (3664 m) nelle Alpi Bernesi. Il carnet delle prime ascensioni di Leslie Stephen si arricchisce con lo Schreckhorn (4078 m), uno dei quattromila più ambiti dell’Oberland Bernese, poi con il Monte Disgrazia (3678 m) nel 1862 e con lo Zinalrothorn (4221 m) nel 1864. L’ultimo primato di Leslie Stephen sarà legato all’ascesa del Mont Mallet (3989 m) nel massiccio del Bianco nel 1871.

Al nome dell’intellettuale britannico sono associati anche i due primi attraversamenti dell’Eigerjoch e dello Jungfraujoch partendo da Wengernalp, dove Stephen era solito soggiornare all’Hotel Jungfrau. Era già sposato con Harriet quando, durante una vacanza a Santa Caterina Valfurva, sale insieme alla guida Pietro Compagnoni sul Gran Zebrù (3857 m). Non va poi dimenticato che dal 1865 al 1868 è alla guida dell’Alpine Club inglese, di cui è il quarto presidente dalla fondazione.

Dopo il 1871, la vita personale di Stephen si complica. Con la moglie e la figlia Laura si trasferisce a Londra, dove inizia a dedicarsi al giornalismo e alla critica letteraria. La morte di Harriet e le nozze nel 1878 con la vedova Julia Jackson sconvolgono lo scenario familiare. La casa si popola, oltre alla figlia di lui, dei tre figli di lei, a cui seguiranno quattro figli in comune della coppia. Assorbito dal lavoro e dalla routine familiare, Leslie Stephen chiude con le ascese alpine. Dagli anni Ottanta, l’unica meta di vacanza diventerà la villa in Cornovaglia. Rimasto vedovo per la seconda volta, il grande alpinista scompare a causa di un tumore all’età di 72 anni.

Nell’empireo dell’alpinismo Stephen è entrato non solo per le vette conquistate, ma anche per il suo libro The playground of Europe (in italiano, Il terreno di gioco dell’Europa, Vivalda, 1999) dato alle stampe nel 1871. Il titolo del volume propone l’alpinismo come attività sportiva e le Alpi come l’arena in cui i talenti ci si cimentano. Oltre alla narrazione autobiografica delle sue imprese, realizzata con uno stile che sarà d’ispirazione per chi scriverà di montagna, Stephen fa alcune interessanti osservazioni. Andare in montagna è uno sport come il cricket o il canottaggio: si vince se si arriva in cima; si perde quando si è costretti a ritirarsi. Non esistono eroi, anche se qualcuno – come in tutte le professioni – si pavoneggia dei suoi successi. C’è poco da vantarsi di fronte alle guide, “uomini migliori di me”, scrive Stephen, che oltre ad avere “abilità, forza e coraggio” hanno l’ulteriore difficoltà di “portare con loro zaino e cliente”.

La nascita del turismo sta intanto cambiando il mondo della montagna. È un trend che Stephen intercetta, lasciandoci una gustosa descrizione del turista comune, un essere che prova “una radicata avversione al paesaggio di montagna”, che non sa vivere senza il Times, che “è condannato a vedere un certo numero di cose, e più ne vede in una volta sola, meglio è”. Gli anni passano, e quando qualcuno smette di essere alpinista, “qualcosa di ciò che ha conquistato rimane lui: non dimentica il linguaggio della montagna; il suo occhio sa riconoscere ancora lo spazio, l’altezza e la bellezza delle cime. Prova tuttavia un certo dolore quando si aggira come un fantasma nei luoghi dei suoi passati piaceri”. E “deve aspettarsi di sentire qualche volta inevitabili fitte di rimpianto”.

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